Il canto del vapore nell’ultima segheria tradizionale americana

Ah, i suoni rilassanti della foresta californiana in una tersa mattinata autunnale! Il canto armonioso del blue jay o ghiandaia azzurra americana, che si accompagna al lieve stormire delle fronde alla brezza proveniente dal Pacifico distante. L’assordante muggito del wapiti di Roosevelt in amore, che soverchia il motore di automobili distanti. Il ringhio lamentoso delle linci intente a definire i limiti del proprio territorio, a costo di provare le unghie sopra il pelo e sulla pelle dei propri simili apparentemente confusi. E un fischio sibilante, accompagnato dal fragore, dal tuono e il rombo e il fuoco del vulcano, proveniente dal complesso di edifici che ormai da oltre un secolo è presente, ad est della città di Redding, non troppo lontano dall’ufficio postale di Oak Run Road. Nell’area stranamente priva di alberi, situata tra le due macchie boschive (entrambe patrimonio Nazionale) di Shasta-Trinity e Lassen. Ove l’uomo intento a manovrare quelle leve ha imposto la sua legge, prelevando quanto necessario a…
Già, gli Stati Uniti occidentali! Terra d’oro e cercatori di quest’Ultimo, solennemente intenti a procacciare i presupposti della propria fama di ricchezza sin dal tempo delle origini, soltanto successivamente sostituiti da coloro che aspiravano alle luci di Hollywood e un altro tipo di vendetta contro il fato. Caso vuole, d’altra parte, che un diverso tipo di ricchezza naturale fosse posta, almeno in parte, sotto il suolo di una terra tanto fortunata. E con questo intendo, le propaggini delle radici, di quegli alberi di sicomoro e pioppo e frassino, il pino grigio e l’ontano, l’ippocastano e vari salici piangenti. Che pur non raggiungendo le vertiginose quote delle altissime sequoie sulla costa, potevano dar vita a un’ampia varietà di materiali nel campo edilizio, giungendo a offrire basi per un certo tipo di ricchezza ed una lunga saga familiare.
Sto parlando, tanto per venire al punto, di Ed Phillips e i suoi discendenti. L’uomo che verso la fine del XIX secolo, ragazzo poco meno che ventenne, capì che avrebbe realizzato il proprio sogno di bambino, costruendo e governando le complesse operazioni di una grande segheria. Concetto ben diverso, quest’ultimo, da quello che potremmo immaginare al giorno d’oggi: fatto di possenti macchinari ed imponenti ruote ad acqua, interconnesse tra di loro e collegate, tramite rudimentali trasmissioni e rulli di metallo, a una serie per allora avveniristica di seghe circolari. Quelle acquistate, grazie al patrimonio della sua famiglia attiva sino a quel momento in campo metallurgico, direttamente dall’attività della vicina Myers Mill, attività prossima al fallimento per una serie di sfortunate casistiche e probabile cattiva gestione. Così fu attorno 1897-98, per quanto ci è dato di sapere, che Ed con suo fratello Frank diedero inizio ad una simile avventura, lavorando giorno e notte con l’aiuto di attrezzi manuali, una singola ruota di mulino modello Pelton e macchinari fatti funzionare grazie all’energia muscolare degli animali. E tutto sembrò andare per il meglio, almeno fino 1913, quando un improvviso incendio, forse causato dalle lampade a kerosene che i due impiegavano all’interno di edifici costruiti prevalentemente in legno, fu la fine di un così riuscito esperimento. Erano gli anni antecedenti alla prima guerra mondiale, questi, ed un nuova pervasiva tecnologia si stava palesando ad ogni livello della società americana. Così al capostipite di tale impresa, ormai rimasto solo in famiglia, venne la geniale idea: perché non ricostruire la segheria Phillips, con le stesse modalità di un vero e proprio treno a vapore? Inclusa quella, particolarmente inaspettata, di potersi spostare dove “l’Oro” aveva un’altezza solidità migliore…

Il trasporto dei grandi tronchi poteva avvenire fino all’invenzione del vapore in un solo modo: attraverso il galleggiamento sull’acqua di un lago, fiume o palude. Metodo che a conti fatti, trova tutt’ora un valido impiego nonostante i validi progressi effettuati.

Il concetto di segheria portatile, al giorno d’oggi, è generalmente riferito ad una macchina capace di alimentare grazie all’energia elettrica o il carburante uno o più banchi da taglio, capace di essere richiusa in un fattore di forma compatto ed agganciata al rimorchio di un possente fuoristrada. Ma per l’epoca, si trattava di qualcosa di assai più avveniristico e bizzarro: il “treno forestale” dei Phillips si presentava, in effetti come un’evoluzione dei grandi carri utilizzati originariamente dai fratelli per trasportare i tronchi lontano dal corso del fiume, con ruote create a partire da sezioni trasversali di un tronco di pino di Ponderosa, rinforzate con listelli d’abete, e un telaio metallico fuoriuscito dalla Redding Iron Works, azienda metallurgica di allora. L’impressionante veicolo quindi viaggiò per l’area circostante della California settentrionale durante per tutto il periodo fino agli anni ’20 del ‘900, quando ritroviamo Ed, coi suoi quattro figli maggiori, che lavora presso la segheria di tipo veneziano (i.e: ad acqua) di Cow Creek, acquistata grazie ai significativi profitti dell’attività paterna. Ma furono proprio loro, Clayton, Clifford, Edmund Jr. e Arthur, ad avere l’idea fondamentale: perché non prendere la caldaia di quel vecchio trattore a vapore ed affiancarla ad altre, per trasformare un simile luogo nel tempio di un diverso tipo di energia?
Può sembrare facile, dinnanzi ai vertiginosi progressi della modernità, relegare il principale metodo dell’epoca della Rivoluzione Industriale come un approccio ormai superato alla risoluzione di problemi semplici, come indurre il moto circolare in quel tipo di seghe provenienti, secondo le diverse interpretazioni dall’Olanda o la Germania del ‘700. Mentre l’osservazione del mondo naturale c’insegna come due princìpi generativi possano evolversi in parallelo, attraverso la prosperità di specie distinte, per approdare a stili di sopravvivenza ed efficienza che risultano egualmente funzionali. E non è detto, in tale specifico caso, che quello radicalmente differente debba necessariamente risultare il migliore. Dunque la segheria dei Phillips, che ebbe ragione di tacere brevemente solo all’epoca della seconda guerra mondiale, quando i quattro fratelli vennero inviati al fronte assieme a tanti altri giovani americani, di tempo per “evolversi” ne avrebbe avuto parecchio. Sino alla concessione in eredità per mancanza di figli all’epoca dell’ormai necessario pensionamento, alla prole degli altri quattro nipoti di Ed, figli dei suoi figli più giovani, estremamente ben disposti nei confronti dell’antica attività familiare. Ed è così che un tale luogo ritroviamo, nel frastuono dell’odierno mercato del legaame globalizzato, intento a far ciò che da sempre gli è riuscito meglio: sfruttare, e in conseguenza di ciò valorizzare, l’universo degli alti alberi californiani.

La fabbricazione di scatole può sembrare un’attività umile e priva di implicazioni manuali, almeno finché non si ha la fortuna di vedere il tipo di maestrìa artigiana che comporta, una volta rimossi gli ausilii di una moderna catena di montaggio. E l’energia elettrica…

Stando al sito ufficiale della compagnia dunque, esauriente fonte per la rilevante cronistoria familiare, la segheria Phillips costituisce attualmente una stabile azienda che opera principalmente in due settori: la produzione di legname ad uso edilizio e la fabbricazione di pregiate scatole in legno, particolarmente apprezzate dalla fiorente azienda vinicola californiana. Usate ad oggi per proteggere le bottiglie all’interno di involucri marchiati a fuoco, piuttosto che per l’impiego ormai anacronistico nel trasporto della frutta e altre vivande presso i mercati rionali. Ma la cosa che colpisce maggiormente gli occasionali visitatori o più frequenti spettatori dei loro video promozionali online, è la maniera in cui neppure una singola macchina, tra le diverse utilizzate, venga alimentata con null’altro che la stessa antica, tradizionale spinta del vapore. Grandi caldaie accolgono copiose quantità di carbone, mentre i più recenti depositari della tradizione dei Phillips si occupano di alimentarle, spingendo avanti e indietro i meccanismi di controllo dei carrelli e sostituendo, quando necessario, i denti consumati delle seghe circolari modulari di progettazione moderna. Mentre per il resto, è tutto come allora. Quasi come se l’usura dei complessi meccanismi assemblati in quest’epoca, del consumismo a tutti i costi e la costante spesa di risorse, spesso a sproposito, non potesse in alcun modo tangere a coloro che hanno mantenuto saldo il filo di collegamento con i loro insigni predecessori.
Nient’altro che una naturale conseguenza di tutto ciò, dunque, risulta l’attuale mantenimento in condizione operativa da parte della famiglia di un’organizzazione no-profit per la protezione e sfruttamento controllato dei 920 acri di foresta circostanti la proprietà, assieme alla missione fortemente sentita di far conoscere e mantenere operativi gli antichi metodi impiegati per lo sfruttamento del legname californiano. Perché soltanto vasti meriti e una copiosa fortuna possono giungere, verso colui che riesce a mantenere florido il contatto con le sue radici. Anche se taglia qualche ramo, preservando l’alto albero nel suo complesso metaforico, per la posterità.

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