Presso il centro di ricerca della piccola città di Pont-à-Mousson, nella parte nord-est della Francia, il consumo energetico del viaggio nel tempo è stato largamente calibrato e approfonditamente stabilizzato. Benché la casistica acclarata, contrariamente a quanto si era pensato originariamente in letteratura, permetta effettivamente una singola “direzione” di spostamento: il futuro. E soltanto un soprattutto un soggetto di questo particolare esperimento, tondo, piatto e del diametro approssimativo di un metro e venti. La cui materia costitutiva, persino all’osservatore meno addentro a quel contesto di studio, non potrà apparire come null’altro che un semplice, resistente agglomerato residuo della produzione dell’acciaio, quello che comunemente siamo abituati a definire il ferraccio, o più correttamente la ghisa. Così dapprima qualche giorno, quindi settimane e poi mesi, incrementano progressivamente il proprio susseguirsi, mentre l’ingombrante braccio meccanico segna imperterrito il loro passaggio ed in effetti, ne agevola l’accelerazione. Stiamo parlando, tanto per essere chiari, di un oggetto non dissimile dal tipico attrezzo usato per l’addestramento degli astronauti allo stress del decollo missilistico, simile per concezione ad una giostra in uso presso i più profondi e occulti gironi accanto tra il lago d’Averno e il fiume Flegetonte. Tranne che per qualche dettaglio appena degno d’esser menzionato, tra cui la tonalità gialla intensa e la collocazione, all’estremità opposta rispetto al mozzo centrale, di un asse d’appoggio sopra cui campeggiano pneumatici posizionati in parallelo, prelevati direttamente da un’automobile, un furgone o un qualche tipo di (piccolo) autocarro. Il che risulta essere un fattore niente meno che fondamentale, per il raggiungimento dell’effetto desiderato sui soggetti dello spostamento lungo l’asse metafisico, che da questo punto in poi chiameremo semplicemente “tombini”.
Il fatto che occorre assolutamente evidenziare, a questo punto, è la natura e appartenenza operativa del suddetto centro di ricerca a una specifica compagnia, niente meno che la SAM, originariamente nota come Anonyme des hauts fourneaux et fonderies de Pont-à-Mousson, prima della fusione (!) nel 1968 con una delle più enormi ed economicamente potenti multinazionali mai create in terra di Francia, l’azienda precedentemente nazionalizzata della Saint Gobain S.A. Nata oltre 350 anni fa per volere o con i beneplacito del monarca Luigi XIV, che conoscerete senz’altro con il soprannome di larga circolazione di Re Sole, per la finalità specifica di competere contro la produzione di specchi provenienti dalla Repubblica di Venezia. Per cui il passaggio dalle superfici vetrose riflettenti, alla produzione di pesanti manufatti in ghisa, il passaggio è senz’altro breve o quanto meno, reso continuativo grazie alla perpetuazione degli stessi standard di eccellenza esemplificati da un approfondito controllo della qualità. Del tipo che richiede, qualche volta, una certa spietatezza nel mettere alla prova la validità dei prodotti fatti uscire dalla porta principale delle proprie instancabili fonderie…
Ciò che s’intende per viaggio nel tempo in questo caso, come avrete certamente già avuto modo di comprendere, è rappresentato dunque dall’usura velocizzata dei suddetti orpelli discoidali, ad un ritmo pari quello di parecchi anni nel giro di un periodo decisamente più gestibile. Qualcosa che difficilmente potremmo immaginare funzionale alla verifica di ogni singolo tombino prodotto, ma d’altronde molto utile per mettere alla prova ciascun nuovo modello o eventuali cambiamenti nelle metodologie della filiera produttiva di partenza. Attraverso il reiterato calpestìo prodotto, un giro dopo l’altro, dalla strana e originale macchina chiamata unicamente il Carrousel Routier (“Giostra Stradale”) le cui caratteristiche vengono chiarite nel video a corredo ed alcuni dei cataloghi più approfonditi di quel marchio. 16 tonnellate complessive di cui 8 a pesare sull’asse delle ruote, alimentate da un motore da 55 Kw per un raggio di rotazione pari a ben 13 metri, e una velocità massima di 60 Km/h. In grado di compiere, quando le condizioni sono ideali e l’intenzione presente, fino 600 giri l’ora, pari a 5.000 in un’intero giorno lavorativo. Riuscendo a simulare un totale impressionante di 20 anni di traffico, nel periodo complessivo di un singolo mese. Ed è in questa maniera che le decadi (virtuali) passano e continuano ad accumularsi, permettendo di verificare quei coperchi di metallo nei fondamentali campi di resistenza, stabilità, vibrazioni e rumore prodotto, un qualcosa che normalmente avviene soltanto tramite metodi parziali o mero empirisimo. Ora naturalmente, come metodologia impiegata sarà chiaro che ci troviamo innanzi a quel particolare tipo di macchinario giustificabile soltanto in un’azienda dalle dimensioni spropositate, come nel caso dei circa 180.000 dipendenti posseduti dalla Saint Gobain su scala globale, per il suo costo operativo e di funzionamento, ma soprattutto un ritorno d’investimento difficilmente misurabile sui tempi brevi o medi. Tanto che l’obiettivo principale, per i più cinici, potrebbe anche essere individuato nel mero bisogno di far scena o comunque disporre di un valore aggiunto “ulteriore”, da includere nei materiali di marketing per connotare l’immagine commerciale del proprio brand. Il che del resto non è del tutto compatibile, ad un’analisi più approfondita, con la storia pregressa della SAM, la cui storia orgogliosamente narrata nel sito corporate racconta dell’originale scoperta di un giacimento di ferro nel dipartimento di Meurth-et-Moselle nel 1854, da cui ebbe inizio la produzione locale d’infrastrutture metalliche ed in modo particolare varie tipologie di tubi. Ma il vero punto di svolta della “vecchia signora”, com’erano soliti chiamarla gli abitanti del posto, sarebbe giunto soltanto all’inizio del XX secolo con l’invenzione della tecnica di produzione a centrifuga, alle origini della ghisa duttile o sferoidale, il cui reticolo cristallino permetteva una lavorazione più precisa e resistente potendo massimizzare le migliori caratteristiche del prodotto finale. Mostrando un’attenzione alla qualità che assai difficilmente sarebbe stato possibile coerentemente ad una dottrina operativa di tipo approssimativo o superficiale.
Poiché alla fine, l’effettivo funzionamento dei processi industriali in uso nel mondo contemporaneo è ben diverso da quello in opera all’epoca remota del Re Sole. Quando l’aderenza a particolari standard qualitativi non poteva che surclassare, per importanza ed attenzione, la rapidità nel produrre ingenti quantità di oggetti, al fine di ottenere un qualche tipo di monopolio. Sebbene la validità degli specchi usciti originariamente dagli opifici della Saint Gobain, a quanto sappiamo, si fosse comunque dimostrata abbastanza valida da mettere in difficoltà temporanea la Serenissima, tanto da portare il Doge alla proclamazione di nuove leggi che impedivano ai vetrai di praticare il proprio mestiere al di fuori della laguna. Ma al giorno d’oggi, quando fondere 1.000 tombini dall’alba al tramonto viene chiamato semplicemente un turno diurno di metà settimana? Non si può prescindere dal fare affidamento sulla rapidità E qualità, per conservare il proprio predominio su un mercato in perpetuo mutamento. Un compito per perseguire il quale, la grande lancetta meccanica di un ponderoso orologio non è che uno dei plurimi strumenti a disposizione. Forse non il più diretto, accessibile, conveniente o usuale. Ma nessuno, in alcun luogo, potrebbe mai dubitare della sua spaventosa dedizione alla propria singolare raison d’être.