I vantaggi di viaggiare sull’onda di un cuneo spaziale

Vi siete mai chiesti quante diverse tecnologie si siano succedute sulla rampa di lancio di Cape Canaveral? Il centro di un programma spaziale nazionale, il più vasto, duraturo e significativo al mondo, che riuscì a portare grazie al programma Apollo una certa quantità di uomini sulla Luna. Molte, moltissime, oppure sotto determinati aspetti, decisamente poche. Sto parlando, nello specifico, del sistema necessario per portare un “carico” (sia esso un satellite, rifornimenti per l’ISS o veri e propri esseri umani) fin oltre la stratosfera terrestre, là dove la caduta libera permanente è uno stato continuativo nel tempo, o persino oltre, sperimentando la completa e assoluta mancanza di gravità. Perché un razzo che punti a superare la cosiddetta velocità di fuga, che sia esso un semplice susseguirsi di stadi, oppure il booster di un sistema Space Shuttle o simili arcane diavolerie, è sempre sostanzialmente la stessa identica cosa: una macchina concepita per espellere ad alta velocità la materia. Ma non semplicemente “dove capita” bensì in una singola direzione, affinché l’effetto di azione-reazione faccia sollevare il ponderoso meccanismo, verso la sua elevata e distante destinazione spaziale. Il che, diciamolo pure, limita notevolmente le alternative. Se da A deriva B, ne deriva che C…. Osservate tutti i migliori razzi delle ultime spedizioni umane nello spazio. Noterete alcuni elementi di massima perfettamente in linea tra loro: una forma lunga ed affusolata; la capacità di suddividersi in stadi, allo scopo di diminuire la propria massa man mano che il carburante si sta esaurendo; un posteriore composto da un ordinata pluralità di campane, rivolte rigorosamente verso il terreno. Sono queste gli ugelli, ovvero i canali di scarico del suddetto maelström, la tempesta perfetta di fuoco, fiamme, zuppa di atomi combusti sparata affinché il razzo in questione, in tutta la sua magnificenza, possa raggiungere l’Empireo distante dei suoi insigni predecessori. O almeno, PARTE di lui possa riuscire a farlo. La punta. Perché già, persino il Falcon Heavy di SpaceX, il più avveniristico e moderno sistema per portare fin lassù…. Satelliti? Navi spaziali marziane? Inutili automobili elettriche? (Ebbene, anche questo è il mondo in cui viviamo) che ha fatto della riusabilità un punto fermo del suo sistema d’impiego, non può che abbandonare i due propulsori laterali a metà del viaggio, e un’intero stadio del suo corpo centrale, destinato all’autodistruzione, poco prima di procedere con la fase culmine della sua missione. Ecco, dunque, la verità: nel mondo delle esplorazioni o sperimentazioni spaziali non è semplicemente mai esistito, nonostante l’impegno e il sincero interesse da parte di numerosi programmi di ricerca, un razzo del tipo SSTO (Single Stage To Orbit) ovvero privo di punti di distacco, tra i suoi singoli componenti destinati al rientro più o meno catastrofico nell’atmosfera.
Le ragioni sono diverse, a partire dalla già citata riduzione di massa (meno peso=meno potenza necessaria) fino alla letterale necessità, a diverse altitudini di sostituire le succitate “campane” da cui viene sviluppata l’espansione esplosiva del carburante. Certo, basta effettivamente pensarci: ogni motore, parlando in modo particolare di qualsiasi jet che si basi sul principio della reazione newtoniana, ha un’altitudine a cui risulta essere maggiormente efficiente. Ovvero lo strato presso il quale, in effetti, l’ampiezza della struttura usata per espellere il getto corrisponde in maniera proficua alla pressione dell’aria, evitando che l’energia vada sprecata in un’inutile espansione omni-direzionale. Ma un razzo che intenda raggiungere l’orbita per sua imprescindibile caratteristica, dovrà sperimentare tutto, dall’aria relativamente densa del suo decollo fino a quella ultra-rarefatta dell’ultimo segmento di viaggio. Come potremmo mai, detto questo, disporre di una singola campana in grado di direzionare il getto dall’alfa all’omega dell’impresa… A meno che si tratti, nei fatti, di una struttura di tipo “virtuale”. Ascoltatemi: non sono impazzito. Sto piuttosto parlando di un qualcosa che potreste non conoscere, a causa dell’ingiusto abbandono da parte dei principali players delle aspirazioni cosmiche umane: il leggendario motore aerospike. Un sistema talmente avanzato, che venne sottoposto a test d’impiego negli anni ’60, poco prima di essere abbandonato in quanto giudicato tecnicamente irrealizzabile, o comunque troppo costoso da da portare ad effettiva realizzazione. Per poi effettuare un breve tentativo successivo, per quello che avrebbe dovuto diventare il successore, mai realizzato, dello Space Shuttle americano. Ma poiché viviamo in un’epoca di cambiamenti, ecco quello che sta per succedere: qualcuno ha raccolto la torcia, iniziando a correre verso quella remota destinazione. Molto presto, di una simile tecnologia sentiremo parlare ancora, e ancora…

Il motore Aerospike rappresenta una tecnologia capace di cambiare le regole dell’esplorazione spaziale. Ma il suo costo elevato, unito ai pochi test pregressi, scoraggiano i progettisti dal trovargli un effettivo impiego.

Volendo descrivere nei termini più semplici il funzionamento dell’Aerospike, attraverso una semplice dimostrazione grafica come quella inclusa qui sopra, esso non è altro che una serie di piccoli ugelli, concepiti per generare tutti assieme la stessa energia di quello singolo usato convenzionalmente. I quali sono stati disposti ad arte, secondo la metodologia messa in pratica per la prima volta dalla compagnia statunitense Rocketdyne, ai lati di una struttura rastremata che può essere di due tipi: tonda, nel qual caso si parla di realizzazione di tipo toroidale, oppure del tutto simile al classico fermaporta presente in tutte le vostre case, sarebbe a dire un cuneo, portato a restringersi verso  la sua parte sottostante/posteriore. Ora l’idea, come accennato nel passato paragrafo, dimostra una notevole scaltrezza procedurale. Per effetto delle turbolenze causate dalla stessa espulsione del carburante combusto, infatti, si generano delle variazioni di pressione tra struttura in questione e l’aria circostante, che portano il getto ad aderire perfettamente alla curvatura della “punta” (per l’appunto,spike). La quale corrisponde, per una questione tutt’altro che casuale, alla curvatura ideale della campana comunemente usata al suo posto, per una naturale tendenza ulteriormente accentuata dall’effetto di separazione degli scarichi del motore stesso, generalmente posizionati in corrispondenza della superficie tronca del “cono” o “cuneo” veicolare. Questa particolare configurazione, assai prevedibilmente, presenta un grado di complessità e conseguente costo di realizzazione inevitabilmente superiore a quello del comune ugello a campana. Ma anche alcuni, significativi vantaggi in aggiunta a quello principale: 1 – Ridurre la massa del veicolo, integrando parti della sua struttura principale nello scarico del motore, senza dover quindi disporre di strutture aggiuntive. 2 – Poter direzionare i micro-getti singolarmente, ottenendo la maneggevolezza migliorata del thrust-vectoring, del tutto analoga a quella dei più moderni aerei militari. 3 – Ridondanza. Anche se un propulsore dovesse guastarsi, il razzo potrà fare affidamento sui suoi numerosi fratelli, per arrivare comunque, in un tempo lievemente più lungo e con un po’ di carburante in meno, fino alla zona sicura dell’orbita terrestre.
Eppure, per una serie di ragioni non necessariamente interconnesse tra di loro, l’Aerospike non superò più lo stato di prototipo fin da quando i tedeschi, nel 1941, ne avevano fatto uso per il loro aereo sperimentale a reazione Me 262. Nonostante la già citata lunga serie di test condotti nella San Fernando Valley californiana da parte della compagnia staccatosi da una costola della North American Aviation nel 1955, per diventare principale fornitore ed aiutante della NASA nei suoi delicati processi mirati a concedere agli Stati Uniti il predominio nello spazio cosmico distante. Ma la Rocketdyne, come dicevamo, arrivò troppo presto (o troppo tardi?) con la sua duplice concezione di Aerospike lineari e toroidali, portando all’accantonamento del proprio lavoro entro la decade immediatamente successiva. Eppure, non fu fatica del tutto sprecata, se è vero che negli anni ’90, finalmente, la Lockheed Martin ebbe modo di ricevere un appalto per la realizzazione del “Nuovo Space Shuttle” un aereo spaziale che avrebbe dovuto raggiungere, ipoteticamente, l’orbita con un solo stadio. X-33 si chiamava, nella sua prima iterazione, ed avrebbe potuto vantare un potente motore del tipo XRS-2200, direttamente ispirato ai J-2 di oltre trent’anni prima. Fatto sta con i risultati delle prime simulazioni tecniche, si arrivò alla conclusione che il peso e l’affidabilità dei serbatoi sarebbero stati sempre meno che ideali. E nel 2001, con la cancellazione del progetto Venturestar a causa della mancanza di fondi, anche la nuova versione del motore RS-2200, in grado di produrre 2.410 kN di potenza, fu spostato in qualche polveroso magazzino, dove resta tutt’ora. Quale remota speranza può dunque restare, allo stato corrente dei fatti, per questo fulmine roboante del passato? La risposta dobbiamo cercarla, ancora una volta, nel settore privato. Assieme al coraggio imprenditoriale di pochi spregiudicati eletti…

L’X-33: un velivolo degno di entrare a pieno titolo nel parco mezzi di qualsiasi squadra intergalattica di supereroi. Peccato non sia mai stato effettivamente costruito, benché chi può dirlo: tutto potrebbe succedere, ancora.

È possibile notare proprio in questi giorni, esplorando Internet, un rinnovato interesse nei confronti di questo capitolo poco noto della storia aeronautica ed aerospaziale. Quasi come se, da un giorno all’altro, la perfetta realizzazione di un razzo con Aerospike potesse sorgere dal suo silo nascosto, per innalzarsi unico e indiviso, raggiungendo finalmente quel Graal lungamente auspicato della capacità di volo SSTO. Il che in effetti, rispecchia almeno in parte la verità: sto parlando del progetto portato avanti dal 1999 ad opera della ARCA Space Corporation, compagnia di Las Cruces in Nuovo Messico, che dopo alcuni successi nel campo dei droni militari spera di riuscire a lanciare entro la fine dell’anno il primo esemplare del suo razzo modello Haas 2CA, pubblicizzato come capace di inviare 100 Kg in orbita al prezzo di un singolo milione di dollari. Riuscendo a farlo, per di più, con pochissime ore di preavviso, grazie a una procedura di preparazione al lancio che risulta essere di gran lunga la più semplice del settore.
Riuscite ad immaginarne la ragione? Ce n’è soltanto una possibile: la presenza retroattiva di un vero e proprio motore Aerospike. Del tipo lineare fatto funzionare a perossido d’idrogeno e kerosene, tanto per essere più precisi. È perciò possibile che proprio questo sistema desueto, giudicato troppo problematico e costoso da sviluppare per le missioni scientifiche mirate al trasporto di umani, trovi infine la sua tardiva applicazione in un settore diverso, quello estremamente redditizio delle telecomunicazioni. Certo: ciò che funziona in piccolo può sempre essere riprodotto su scala sovradimensionata. Che speriamo non sia troppo lunga, complessa e/o gravosa da implementare. Dopo tutto, il Pianeta Rosso potrebbe anche stancarsi di aspettarci, nel suo pervasivo e sabbioso silenzio.

ARCA Haas 2CA: non trovate anche voi che assomigli ad un gigantesco evidenziatore? O magari un rasoio… – Via

Lascia un commento