L’unica mancanza del delfino in abito da sera

Lo splendore scintillante delle acque a largo della Tasmania abbagliava lo sguardo, rendendo indistinte le forme scure visibili all’orizzonte. François Péron, l’unico aiutante superstite del grande naturalista, nonché capitano della nave Nicolas Baudin, alzo la mano sinistra per proteggere dal sole il suo singolo occhio funzionante, mentre con la destra impugnava saldamente il cannocchiale, momentaneamente reso inutile dalle condizioni di riverbero dei mari del Sud. Con una smorfia, tentò ancora una volta di mettere a fuoco, quindi scrollò le spalle. “Marinaio, cosa vedi laggiù?” Il mozzo addetto alla pulizia del ponte, venendogli vicino, sobbalzò in maniera evidente: “Per mille balene, che io sia fulminato! Quelli sembrerebbero proprio… Pinguini?” Fu allora che Péron iniziò a crederci veramente. A molti chilometri dalla costa, un colossale gruppo di 1.000, 1.200 esemplari visibilmente bianchi e neri. Che sobbalzavano al di sopra dell’onde, senza quasi toccarne la sommità. Se soltanto non fosse stato colpito da quel pallino prussiano vagante dieci anni prima, durante il sanguinoso assedio della città-fortezza di Landau! Adesso era difficile comprendere le proporzioni o la distanza di quello che stava vedendo e tutto ciò che poteva fare, era andare dalla persona che odiava maggiormente su questa nave. Un sentimento, tra l’altro, ricambiato. Lasciandosi dietro l’interlocutore basito, quindi, il giovane studioso fece un balzo verso il castello di prua, tentando di accelerare il passo. Baudin si trovava, come amava spesso fare, al timone, mentre il secondo ufficiale era intento a leggergli una lista delle provviste a bordo, da un foglio malamente scarabocchiato quella stessa mattina. In un primo momento, l’uomo non parve granché appassionato. “Pinguini? Non farmi ridere! È del tutto impossibile a questa latitudine. Non so cosa diamine credi di aver visto, ma…” Fu proprio mentre cercava le parole, per uno scherzo del destino, che una nube oscurò momentaneamente la luce di un simile mezzogiorno di fuoco. “…Passami subito quel cannocchiale, ragazzo!” Dopo una momentanea esitazione, Péron decise di assecondarlo. Mentre il vice restava da parte con espressione neutrale, poté quindi osservare da vicino l’espressione del suo interlocutore di poco prima che mutava lentamente, dalla curiosità alla sorpresa, quindi marcata esultanza. “De..Delfini” articolò con la bocca, senza lasciarne uscire un singolo suono. Con movimenti fin troppo rapidi, impugnò quindi il timone, iniziando a girarlo verso il nuovo obiettivo. La scelta trovò conferma nel suono sordo di un alighiero metallico, appoggiato alla murata esterna di babordo, che si adagiava rovinosamente sul ponte della nave a seguito del contraccolpo.
Se voi foste stati nei panni dell’ex-soldato già imprigionato per anni a Magdeburg, dopo aver partecipato sulla linea del fronte alla Rivoluzione Francese del 1789, scegliendo poi di partire per l’altro lato del mondo a seguito di una delusione di amore riportata nell’anno 1800, avreste probabilmente fatto lo stesso errore. E questo, principalmente per una particolare caratteristica delle due specie esistenti dei lissodelfini, anche detti delfini-eubalena: la loro forma complessiva straordinariamente affusolata e idrodinamica, dovuta all’assenza visibile di una pinna dorsale. È in effetti, una vista alquanto insolita: ecco il più amichevole cetaceo dei sette mari, per lo meno secondo lo stereotipo coltivato da noi umani (un po’ meno per le innumerevoli prede nuotatrici di cui si nutre) privato dall’evoluzione dello strumento di stabilizzazione composto principalmente di cartilagine e grasso, un po’ come il nostro naso, ritenuto importante anche per la termoregolazione dell’animale. Il perché in effetti, nessuno può dire realmente di saperlo, benché sia indubbio che l’effetto complessivo finale sia quello di una creatura strana ed ultraterrena, ulteriormente accresciuta dalla livrea di questo insolito cetaceo bianco e nero. Paragonato talvolta all’orca assassina, ma anche detto su Internet “il delfino Yin e Yang” per la maniera geometrica in cui le due tonalità s’incastrano l’una con l’altra, l’animale è caratterizzato da una dimensione piuttosto convenzionale, con una lunghezza che si aggira tra i 2,5 e i 3 metri circa, ed un peso di 60-100 Kg. Nonostante questo, a tal punto si restò colpiti dalla mancanza della pinna, che sia il nome scientifico (Lissodelphis, da “liscio”) che quello comune, facente riferimento a niente meno che la balena franca o “giusta” (right whale, poiché non affonda, quando arpionata) unico cetaceo già noto a condividere una tale cospicua carenza, fanno riferimento alla maniera in cui la creatura in questione, noncurante della praticità offerta da una superficie di stabilizzazione verticale, nuota felicemente verso i suoi territori di caccia e d’accoppiamento. Ma i meriti di questa splendida e aggraziata creatura, ad un’analisi più approfondita, non si fermano certamente qui…

Nota: la foto di apertura, scattata da Pablo Caceres a largo di Valparaiso,  è comparsa in un tweet dalla Blue Planet Society lo scorso 5 gennaio.

Un bagnante brasiliano trae in salvo un cucciolo rimasto spiaggiato di Lissodelphis peronii, in quello che rappresenta probabilmente il singolo miglior video della specie online. Un gesto meritevole d’encomio, che ha permesso al piccolo cetaceo, quanto meno, di provare a fare ritorno al suo branco ormai distante.

Nonostante il suo aspetto affascinante, a causa della maniera in cui migra continuamente, spostandosi in grandi branchi che appaiono e scompaiono da un lato all’altro dell’intero emisfero australe, il Lissodelphis peronii non è un animale che sia stato sottoposto a studi particolarmente approfonditi. Situazione simile, del resto, a quella del Lissodelphis borealis che vive agli antipodi estremi, avvistato soltanto di rado nelle acque immediatamente al di sotto del Circolo Polare Artico. Quasi nulla sappiamo, ad esempio, delle loro abitudini riproduttive, fatta eccezione per la maturità sessuale raggiunta attorno ai 2,20 metri di lunghezza, quindi presumibilmente i 6-9 anni di età. Per quanto concerne la stagione riproduttiva, essa viene posizionata grosso modo tra novembre ed aprile, ma anche questo costituisce principalmente una congettura basata su ipotesi non del tutto provate. A causa della frequenza con cui singoli esemplari finiscono accidentalmente nelle reti dei pescatori sudamericani, tuttavia, si sospetta che la specie non sia particolarmente rara, esonerando di conseguenza l’organizzazione internazionale dello IUCN dall’inserirla nella sua lista rossa degli animali a rischio di estinzione. Con una classificazione di pericolo minimo, per quanto concerne la variante settentrionale, e stato “sconosciuto” per il lissodelfino del Sud. Le temperature preferite sono piuttosto basse, variando tra i 2 e i -20 gradi, il che li porta a condividere l’habitat spesso con il lagenorinco dalla croce (Lagenorynchus cruciger) un altro delfino, più piccolo, dalla comparabile livrea bianca e nera. Entrambe le specie sono quindi preda di squali o del temibile nototenide della Patagonia (Dissostichus eleginoides) un mostruoso perciforme, lungo all’incirca due metri, dall’aspetto marcatamente preistorico e molto apprezzato, a sua volta, dagli uomini, per l’ottima resa in cucina. Trovandosi quindi ben lontani dal fondo della catena alimentare, i lissodelfini cacciano a loro volta un’ampia gamma di pesci lanterna, crostacei, molluschi di vario tipo ed anche, secondo alcune recenti teorie, il brodo di microrganismi comunemente identificato come krill. Benché sia altamente probabile che il loro consumo dello stesso, causa la bocca notevolmente più piccola, non possa neppure avvicinarsi a quello delle macro-balene da cui prendono il nome in lingua inglese.
Entrambe le specie di lissodelfini condividono con i loro cugini dotati di pinna dorsale la struttura fluida del macro-branco, che può teoricamente raggiungere anche le svariate migliaia di esemplari, anche se nel caso specifico gli avvistamenti attestati si aggirano sulla cifra di 1.000. Grandi assembramenti di cetacei, capaci di variare sensibilmente anche più volte al mese, con ingressi e partenze di dozzine e dozzine di singoli gruppi familiari, anche appartenenti a delle specie distinte. Quando in viaggio, queste vere e proprie mandrie oceaniche sono uno spettacolo difficile da dimenticare, con gli adulti che compiono balzi di fino a  7 metri di lunghezza dalla superficie del mare, sembrando fluttuare momentaneamente al di sopra degli stringenti legami gravitazionali. In tutto l’emisfero australe, tuttavia, l’avvistamento di massa dei L. peronii  resta un’occorrenza sufficientemente rara da fare notizia, comparendo molto spesso sulle pagine dei giornali. (Vedi ad esempio questo resoconto, con video, di un incontro avvenuto a largo dell’isola Kaikoura.)

Il lissodelfino boreale presenta, rispetto al suo parente dei mari del Sud, delle macchie bianche meno pronunciate. Anche lui impiega, tuttavia, una mimetizzazione di Thayer, con la parte inferiore più chiara e quella superiore scura, al fine di compensare luci ed ombre del tipico ambiente marino.

È sorprendente quanti animali si aggirino nei nostri mari, colpendo grandemente la fantasia, eppure riescano a restare largamente sconosciuti. Nessun documentario televisivo è mai stato dedicato ad una di queste specie, nessuno studio approfondito da parte di uno scienziato di fama. Successivamente al ritorno dalla spedizione australe di Baudin, dove anche il capitano perse la vita assieme al resto degli scienziati, l’ex soldato Péron diventò molto famoso in campo accademico. Egli aveva infatti fatto in modo di compilare, assieme all’artista Charles Alexandre Lesueur, il più straordinario catalogo, con oltre 100.000 specie, degli esemplari e gli avvistamenti frutto dell’epico viaggio per mare. Tra le sue memorie che ci sono giunte intatte, forse meno degno d’encomio è invece il resoconto Voyage de découvertes aux Terres Australes (1807) la cronistoria nella quale fa di tutto, ad ogni occasione, per screditare e mettere in cattiva luce le scelte del suo defunto ufficiale superiore. Péron sarebbe morto di tubercolosi nella sua città natale di Cérilly nel 1810, all’età di soli 35 anni. Un’eventualità meno tragica ed imprevista, a quell’epoca, di quanto potrebbe istintivamente sembrare al giorno d’oggi oggi.
La scelta di dare il suo nome al lissodelfino peronii, a quel punto, era già un fatto acclarato da ben 6 anni, grazie alla prima descrizione scientifica dell’animale compilata in patria da parte del Prof. Bernard Germain de Lacépède. Un gradito riconoscimento, questo, dei meriti conseguiti in quegli anni di formazione scientifica, non soltanto dai laureati e dagli studiosi di fama, ma anche da tutti gli avventurieri, i corsari, le figure che lavoravano fuori dagli schemi accademici convenzionali. Tesori meno evidenti dello scibile umano, così come potrebbe definirsi questo stravagante cetaceo, al di sotto dei confini del Mare.

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