Snack pre-natalizi: il dolce gusto della cavalletta ugandese

Questione di vita o di morte: ecco il modo in cui viene descritto il tipo di situazione in cui l’uomo moderno andrebbe a ritrovarsi, suo malgrado, a trarre un qualche tipo di nutrimento proteico dagli esseri più basilari del consorzio vivente. Privi di scheletro, privi di polmoni, senza organi complessi né sangue, sostituito da emolinfa ed emocelle, in quantità decisamente più ridotta: insetti. Poiché sono piccoli ed ingrati, verdi, invadenti saltatori e volatori fastidiosi, sempre in qualche modo detestabili ed “impuri”. Ma la percezione pubblica, assieme a un vago e indefinito senso di colpa per le condizioni planetarie vigenti, hanno ormai permesso il profilarsi all’orizzonte di un domani gramo, in cui non avremo più suini, né polli, né bovini, resi incommestibili dal propagarsi di un qualche letale virus, o in alternativa troppo rari per poterne fare l’uso fino ad oggi dato per scontato. E senza alcuna cotoletta né un hamburger potenziale, allora, finalmente ci rivolgeremo a Meridione. Per porre la domanda che da sempre abbiamo mantenuto ai margini della nostra preoccupazione: formiche, ragni, mosche o bruchi? Qual’è l’artropode dal gusto più squisito e appetitoso? Sfera o globo delle mie brame, ecco la risposta (forse inaspettata) il tettigonide del Bush, anche detto cavalletta dalle lunghe antenne (Ruspolia differens) benché le sue abitudini gregarie, a conti fatti, risultino bastanti a farlo ricadere a pieno titolo nella categoria biologica delle locuste.
Altrimenti non si spiegherebbe l’atmosfera di festa popolare che tende a diffondersi ogni anno a maggio, e poi di nuovo verso la metà di novembre, quando la stagione delle piogge causa un’ampia serie di modifiche nel territorio africano d’Uganda, culminanti con l’aumento esponenziale della popolazione del temuto artropode, distruttore dei terreni coltivati dall’uomo. E quando le locuste o cavallette che dir si voglia, dopo tutto si tratta di una distinzione informale, percepiscono uno stato di sovrappopolazione, la loro reazione è sempre quella di formare grandi sciami, poco prima di spiccare il primo balzo e mettersi a migrare. Una condanna, questa, ma anche un’occasione. O per lo meno in questo modo viene vista nella regione a Sud-Est della città di Masaka, considerata il polo nazionale di una fiorente, quanto redditizia industria. Ignote restano, tutt’ora, le remote origini di questa tradizione culinaria del popolo ugandese, benché la tipica reazione degli occidentali che assaggiano la cosiddetta nsenene saltatrice lascino intendere come debba trattarsi di ben più che una mera soluzione culinaria dell’ultima spiaggia. Pare, piuttosto, che possano persino definirsi deliziose, a patto che il cuoco conosca la ricetta giusta per valorizzarne il gusto implicito di partenza. Che prevede, nella maggior parte dei casi, la frittura in padella con generose quantità d’olio di semi, previa aggiunta di sale, spezie e cipolla tagliata finemente, prima di essere condite e servite in un piatto. Oppure adeguatamente asciugate, prima di essere afferrate con le mani come fossero meravigliose patatine. Come spesso capita, l’unico limite è la fantasia…

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L’acuto richiamo del pika, guardiano della montagna

Esiste tra gli animali di piccole dimensioni, una particolare frequenza al di sopra della quale ogni verso inizia ad assomigliarsi: uccelli, mammiferi e rane, il cui gesto di affermazione dell’io si trasforma, all’orecchio di chi si trovi a coglierne l’essenza, in una sorta di trombetta più o meno modulata, le cui implicazioni possono essere di vari tipo. Richiamare una potenziale partner, spaventare i rivali, avvisare i propri simili dell’avvicinarsi di un predatore… Oppure nel caso di particolari specie, tutto questo e molto altro, nella rispettabile approssimazione di un vero e proprio linguaggio. E tra le foreste e i dirupi rocciosi del Nord America, così come le vaste praterie dell’Est e le steppe eurasiatiche, un tale suono riecheggia, carico dello stesso significato, nell’apparente riconferma di uno dei fondamenti della linguistica applicata agli animali: che le configurazioni possibili di un apparato fonatorio, dopo tutto, non sono moltissime, e il metodo espressivo di specie diverse non può che finire per assomigliarsi vicendevolmente. È soltanto con l’avvicinarsi alla fonte di un tale episodio, quindi, attraverso l’impiego di potenti obiettivi fotografici, binocoli da bird-watching o perché no, i propri stessi agili nonché lievi passi, che la corrispondenza inizia a rivelarsi per quello che è: il prodotto di una effettiva somiglianza esteriore, da parte degli esponenti di un genus pseudo-cosmopolita per cui soltanto la nostra Europa Occidentale, in effetti, resta un territorio distante e sconosciuto. Così come lui/loro, incidentalmente, continuano ad esserlo per noi: gli ochotonidi/Ochotoni dalle orecchie corte e la coda pressoché inesistente, con assoluta identità di famiglia e di genere, le cui 30 specie vengono collettivamente denominate “pika”, fornendo secondo una nozione largamente non confermata l’ispirazione segreta del nome di Pikachu, famosa mascotte del mondo dei videogiochi e cartoni animati. Laddove in effetti, il suo appellativo è stato dimostrato provenire dalle due parole giapponesi pika (ピカ ; scintilla) e chū (チュー ; onomatopea indicante il verso del topo).
E nessun pika, pur trattandosi di un roditore, può essere paragonato in tutta coscienza all’abitante prototipico delle nostre campagne o indesiderato ospite delle case, essendo loro degli appartenenti a pieno titolo dell’ordine dei lagomorfi, lo stesso di cui fanno parte lepri e conigli, onnivori piuttosto che vegetariani e benché prolifici, difficilmente inclini ad improntare delle vere e proprie invasioni. Soprattutto nella loro doppia accezione d’oltreoceano, le due specie Ochotona princeps (o piccolo capo coniglio) e Ochotona collaris, il cui stile di vita altamente territoriale prevede una sostanziale segregazione delle coppie in età riproduttiva con le loro piccole famigliole, nelle rispettive zone del talus (cumulo di pietre) sul versante di una montagna o collina sufficientemente elevata. I pika in effetti, contrariamente ai succitati orecchie-lunghe dalla caratteristica coda a pom-pom, sono animali dalla vita sedentaria e particolarmente poco adattabili, per cui sopravvivere al di sopra di un’apparentemente ragionevole temperatura di 25 gradi risulta impossibile dopo soltanto poche ore, essendo stati identificati in funzione di questo come dei letterali “termometri del riscaldamento globale”. Ecco perché nella mappa distributiva del proprio areale, rispettivamente statunitense e canadese, i simpatici batuffoli di pelo si presentano come abitanti di vere e proprie isole/bioma, situate tra la cima degli alberi e le alture prive di sufficienti fonti di cibo vegetale. Di tutt’altra natura è invece la situazione di molte specie asiatiche, come i pika del Gansu, Ladak Nubra e delle steppe kazhake (Ochotona pusilla) a cui una temperatura ambientale più bassa permette di occupare direttamente le pianure, dove l’abbondanza gli consente una convivenza non del tutto dissimile da quella di suricati o cani della prateria. Un contesto in cui la capacità di farsi sentire dai propri simili, nel momento in cui dovesse avvicinarsi un possibile predatore, diventa sinonimo e principale ragione della propria stessa continuativa sopravvivenza…

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Via dall’incubo dell’overbooking sulle ali di uno squalo volante

Fin dagli albori dell’universo tecno-ingegneristico e per quanto ci è dato di ricordare, sono sempre esistite tre bestie sacre: la prima dall’aspetto di un drago o simile creatura alata, inerentemente legata all’elemento del fuoco; la seconda che cammina solamente sulla terra, spesso nascosta in agguato nell’erba con zanne e denti acuminati; la terza invece, acquatica e feroce predatrice. Lungi dall’essere sempre tascabili per mera definizione (come narrata nella parabola ludica del franchise giapponese Pokèmon) grazie all’interpretazione funzionale dell’aeronautica contemporanea, simili creature sono adesso ricomparse dove meglio possono influenzare l’opinione dei potenti: sul muso dell’ultimo, potenzialmente rivoluzionario progetto della Embraer, compagnia brasiliana terza produttrice di aerei a reazione nel mondo. Stiamo parlando, inutile specificarlo, di un potente jet adibito al trasporto passeggeri, bimotore per esser più precisi, che si propone come diretto concorrente della new wave di questo particolare ambito produttivo, che ha recentemente visto un trascinante successo d’ordini per i modelli A220 della Airbus e 737 MAX della Boeing. Velivoli relativamente piccoli e considerati regionali per la classificazione tradizionale, tuttavia dotati di un’autonomia e affidabilità tali da rivaleggiare coi parenti più grandi, dimostrandosi anche loro pari, o persino superiori nel fondamentale rapporto tra costi operativi e numero di passeggeri trasportati. Come distinguersi, dunque, quando i rivali commerciali sono due simili colossi, dalle riserve finanziarie dedicate al marketing pressoché infinite? Ovvio, facendo comparire sui propri show planes l’aspetto inconfondibile di tre dei più magnifici carnivori esistenti al mondo: squalo, tigre ed aquila di mare.
Vederli in foto basta già a rendere l’idea, ma è soltanto sperimentandone l’estetica da più angolazioni, con video come quello riportato in apertura, che è possibile ammirare in pieno l’opera di Clodoaldo Quintana, artista della matita e graffitaro di Cruzeiro (San Paolo) incaricato dalla succitata compagnia di ornare tre esemplari dimostrativi del nuovo E195-E2, rinominato per l’occasione The Profit Hunter (il cacciatore di profitti). Immagine destinata a diventare più che mai intrigante, per un universo di possibili compagnie clienti, notoriamente alla ricerca dei migliori margini possibili in ciascun frangente della loro esperienza operativa passata, presente e futura. Spesso anche a discapito del comfort e l’effettiva serenità di volo. Ecco, dunque, un approccio radicalmente diverso: siamo qui di fronte alla seconda revisione, con una capacità di trasporto di fino a 132 passeggeri, della nuova serie degli E-Jet, aerei con una lunga storia operativa a partire dal 1999 e che di nuovo nel 2016, ripartendo ancora una volta da zero, hanno visto decollare il capostipite di una nuova generazione, l’E190-E2 da 114 sedili. Tutt’ora in stato d’ordine per oltre 60 esemplari (circa due terzi del modello con livrea dimostrativa stravagante) e in grado di costituire, assieme al rimandato E175 da 80 posti, una versione meno impegnativa dello stesso jet. Ma apparirà chiaro sotto gli occhi di tutti, a fronte di una così originale iniziativa, qual’è il modello considerato più commercialmente ed esteticamente aggressivo. Ovvero capace di superare inerentemente, grazie alla maggiore efficienza, particolari pratiche drammaticamente inappropriate. Almeno dal punto di vista dei passeggeri che ne restano direttamente colpiti… Ed appiedati.

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Tutto da rifare: la “mucca” più grande di Internet è completamente nera

L’avete visto, l’avete ammirato, l’avete relegato nell’angolo preposto della vostra memoria. Si può dunque ragionevolmente affermare che, entra la metà dell’ultima settimana di novembre, sia giunto a conclusione il ciclo mediatico di Knickers il bue australiano. A cui l’antonomasia dei titoli di giornale è giunta concedere un pronome femminile, ancor prima dell’intercorsa castrazione, mentre celebravano l’altezza impressionante di 1,94 metri, di poco insufficiente a garantirgli l’ambito titolo di bovino in assoluto più alto sotto il cielo, tutt’ora appartenente all’Italia*. E se stavate per stare per richiudere la pratica, e con essa il relativo cassetto dei super-quadrupedi da fattoria, aspettate ancora un attimo, poiché siamo dinnanzi al più tipico dei colpi di scena: lo scorso mercoledì, durante le registrazioni per una trasmissione della Tv australiana Global News, Karl Schoenrock e sua moglie Raelle della fattoria canadese di Kismet Creek (Manitoba) hanno provveduto a rimisurare in diretta Dozer, il loro “mucco” baio appartenente alla stessa razza frisona, ed ordine di dimensioni, del campione situato agli antipodi, ottenendo un risultato più che mai inaspettato: la prova innegabile che rispetto ai 192 centimetri risultanti dall’ultima volta, l’animale era cresciuto ancora, raggiungendone in effetti 198. In altri termini, ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato era successo. I 15 minuti di fama per Knickers: già finiti. Lunga vita al nuovo re muggente!
Ciò che occorre comprendere innanzi tutto, in relazione a dei simili quasi-record, è che molta della loro forza trainante deriva dal contesto, il periodo e la fortuna di chi sia, per primo, a spostare la notizia online. Ovvero nel caso dell’altro giorno, l’agenzia inglese di fama internazionale Reuters, causando un effetto domino attraverso le sezioni “curiosità” o “animali” delle principali testate giornalistiche, verso una trafila che avrebbe condotto il loro momentaneo beniamino verso gli allori dell’immaginario popolare entro la fine del week-end. Il che richiedeva, ovviamente, l’alterazione del piccolo dettaglio relativo al sesso dell’animale, in realtà assolutamente determinante per comprendere le ragioni e modalità delle sue eccezionali dimensioni. Fattore in effetti caratteristico di qualsiasi maschio castrato alla nascita, come vuole la prassi nell’industria zoologica al fine di perseguire un ampio ventaglio di obiettivi gastronomici, è il mancato arresto della crescita per il mutamento della situazione ormonale e relativa chiusura delle funzioni preposte a livello osseo, il che porta alla nascita di tali e tanti super-animali. Come l’effettivo detentore ancora oggi del record mondiale, il sopra menzionato bue bianco di razza chianina “Bellino” di Rotonda in provincia di Potenza, formalmente iscritto nel Guinness Book of Records con l’impressionante misura di 2,027 metri (benché per qualche ragione misteriosa e potenzialmente preoccupante, al momento il suo nome sia stato rimosso dal sito dell’organizzazione).
La cui storia effettivamente non possiamo dire di conoscere allo stato dei fatti attuali, essendo trascorsi in effetti ben otto anni dal conseguimento del record, ovvero circa la metà della vita di un bovino anche nella migliore delle ipotesi, mentre per quanto riguarda entrambi i  suo possibili successori, il Canadese Dozer e l’australiano Knickers, entrambi potrebbero raccontarne una più che mai conforme allo stereotipo del caso…

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