Misteriosa nube viola sboccia sulle coste del Venezuela

La meteora è quell’evento accidentale che consiste nell’intersezione tra l’ellisse disegnato dalla Terra attorno al Sole ed un oggetto proiettato nello spazio, infiniti Eoni a questa parte, verso una destinazione totalmente ignota. Qualche volta atteso con tanto di data sopra il calendario, dagli astronomi e la gente del pianeta qui-presente, in quanto momento topico di transizione tra il “prima” ed il “dopo”. Per i desideri che si avverano, o addirittura l’estinzione della specie? Nessuno può ben dire, a conti di fatti, di conoscere il futuro esito di una futura contingenza. Ma c’è un’altra e molto più specifica tipologia, tra gli eventi che compaiono nei Cieli, cui nessuno, proprio nessuno può sognare di attribuire neanche quell’accenno di una logica crono-situazionale. Ed è il caso della foto-meteora, che appartiene al regno delle cose straordinariamente piccole, essenzialmente il regno quantistico delle particelle prive di un perché.
Il video ha fatto la sua comparsa, originariamente, sulla pagina Facebook di Rodney Mc Lean, subacqueo di professione (forse un istruttore?) della ridente cittadina di Tunapuna, sull’isola di Trinidad, 11 Km a nord-est del Venezuela. Il quale lo scorso pomeriggio del 31 ottobre non ha semplicemente potuto fare a meno di puntare la telecamera del proprio cellulare quasi perpendicolarmente in alto, aprendo ancora una volta la finestra virtuale del popolo di Internet verso una speciale categoria di misteri: quella degli Oggetti Volanti non Identificati o per usare l’acronimo in lingua inglese, U.F.O. Eppure limitare il principale soggetto di una tale inquadratura, misterioso disco ampio oltre un chilometro che sporge tra le nubi, dal colore intenso ed un forma quasi impossibilmente compatta, alla sola opera dei prototipici omini verdi nei propri dischi volanti sarebbe sembrato alquanto riduttivo; così che in mezzo ai commenti di YouTube, per non parlare delle varie discussioni nate in merito su Reddit, trovano espressione le più improbabili e selvagge teorie, da una manifestazione della volontà Divina (adirata per l’impeachment di Trump, nientemeno) a complesse cospirazioni per il controllo artificiale del clima, al cui confronto l’annosa ancorché spesso discussa questione delle chemtrails finirebbe per sembrare un mero gioco da ragazzini. Mentre una sperduta voce fuori dal coro, prevedibilmente inascoltata e quasi inudibile in mezzo al caotico rumor di fondo, sembra sussurrare ai margini della coscienza una parola pregna di significato: pileus. Verso cui nessuno prevedibilmente sembra in alcun modo, circostanza o ragionevole contesto, riservare più di un singolo pensiero transitorio. Già! Pileus, termine latino che significa, letteralmente “cappello/copricapo” come quello che talvolta indossano i cumulonembi (tipiche nubi a progressione verticale) quando il formarsi di una zona relativamente calda all’interno porta copiose quantità di vapore acqueo a risalire il cosmico edificio, soggiacendo sulla montagnosa sommità, neanche fossero il proverbiale coronamento acciambellato del vulcanico Kilimangiaro tanzaniano. Normalmente candide come la neve, o la metafora da me usata per descriverle, ragion per cui proteste iniziano ad accumularsi per il modo in cui l’esemplare sudamericano appare di un violetto scuro inconcepibile per l’occhio umano. Una questione… Impossibile? No è possibile, nei fatti. E davvero interessante…

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Le parrucche stravaganti poste in capo al sistema giudiziario inglese

Ci sono grandi meriti, ma anche un senso fondamentale di malinconia, nell’essere gli ultimi rappresentanti di un qualsiasi tipo di concetto o procedura. E questo è vero sia a livello delle usanze nazionali che nello specifico, per coloro che possiedono e dirigono, attraverso i mari tempestosi di quest’epoca post-moderna, l’espressione commerciale di un’antica tradizione di famiglia. Sto dunque per annunciare, per il tramite di quest’introduzione, la figura di Christopher Allan, Direttore del settore Legge e Cerimonie presso l’antica e stimata sartoria londinese di Ede & Ravenscroft, nel presente video intervistato in uno dei concisi, e come sempre memorabili servizi della serie GBS – Great Big Story. “Udite, udite” (e toglietevi il cappello. Non toglietevi i capelli) “Innanzi ai gentiluomini e le gentildonne della Corte, fa il suo ingresso colui che, a suo modo, può permettere l’esistenza di codesto approccio, se vogliamo dirlo, Visuale alla questione.” Perché un conto è dire che la legge è uguale per tutti, mentre tutt’altra cosa dare forma a quel sentimento secondo cui coloro che la praticano, ed in molti casi la difendono, dovrebbero anche loro assomigliarsi tutti quanti. Nel vestiario, il modo di parlare, nell’aspetto e addirittura, quel che hanno sulla testa.
Già, parrucche. Come tanti altri accessori di vestiario, in origine un sinonimo di vanità, per poi diventare un segno di decoro, distinzione, addirittura pudica avvenenza situazionale. Intrinsecamente associate alle figure dei giudici e degli avvocati inglesi nonostante esse costituiscano, nello schema generale delle cose, un’aggiunta relativamente recente al loro guardaroba, benché fosse sempre esistito, fin dal XIV secolo, una “convenzione” ad abbigliarsi in una certa maniera, dar risalto a dei particolari aspetti implicati dal proprio ruolo. Poiché l’immagine ha un potere, come ben sapeva re Edoardo III (1327-1377) iniziatore della guerra dei cent’anni essendosi autoproclamato re di Francia, in aggiunta all’Inghilterra, ma non prima di aver dato ad intendere che ogni giudice preposto all’esercizio della legge britannica portasse un certo tipo di mantello, in base alla stagione ed alle circostanze. I quali dovevano essere d’ermellino o taffetà (seta) e di colore verde in estate, viola d’inverno, rosso per le alte cerimonie, venendo donati a tale scopo proprio a spese e per premura della Corona stessa. La questione sarebbe stata dunque formalizzata soltanto nel 1635, attraverso l’atto del re Carlo II intitolato The Judges Rules; non che ve ne fosse stato alcun bisogno, fino a quel momento: la parola ed il volere del Re sono legge, anche quando non vengono accompagnati dal suo sigillo sopra un foglio o carta dei diritti dei suoi sottoposti… Salvo rare, problematiche eccezioni. Caso volle, in effetti, che la particolare storia personale di quel sovrano, il cui padre era stato decapitato dal dittatore Oliver Cromwell sulla pubblica piazza, prima di ritornare al trono grazie alle campagne militari dei lealisti avesse trascorso quasi un’intera decade in esilio, spostandosi tra l’Olanda e la Francia d’epoca Barocca. Ove il concetto della moda e del gusto derivava, in quel periodo, principalmente da una singola eminente figura: quella di Luigi XIV, l’abbagliante Re Sole. E tutti sanno che costui, ogni qualvolta appariva in pubblico era solito indossare spettacolari ancorché voluminose parrucche. Ad ogni modo, secondo alcuni, l’inclusione della regola per indossarle “volenti o nolenti” all’interno delle sue aule di legge, potrebbe anche essere stata una sorta di benigna vendetta, verso quell’elite che nel momento del bisogno, aveva mancato di agire per proteggere la propria dinastia…

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Missione compiuta: da oggi gli aerei potranno atterrare senza un pilota

Non tutti sono in grado di accantonare, per lo meno in linea di principio, il senso istintivo di terrore che deriva dal decollo a bordo di un piccolo aeroplano, ove il grado di ridondanza garantito dai sistemi a bordo è necessariamente inferiore a quello della maggior parte degli aeromobili gestiti da una compagnia: un singolo esemplare di ciascun sistema informativo e di controllo, un singolo motore e soprattutto nella maggior parte degli ansiogeni casi, un singolo pilota in grado di riportarlo, la termine dell’escursione al limite dell’imprudenza, sulla terra da cui si era originariamente sollevato. Immaginate quindi ora il caso in cui costui, per l’improvviso giungere di un qualche tipo di malore, dovesse ritrovarsi totalmente privo di sensi o in qualsivoglia modo egualmente privo di gestire un simile essenziale passo del suo contributo nei confronti delle procedure. Creando il caso di un aereo perfettamente in grado di volare, potenzialmente carico di passeggeri eppure non di meno condannato, semplicemente perché a bordo non c’è più nessuno, a meno di un miracolo, ore di videogiochi ed enormi quantità di sangue freddo, che sia in grado di salvare la vita di se stesso e i propri tre o quattro compagni di sventura. Un qualcosa su cui oggi, con il grado di efficienza raggiunto dagli automatismi nei campi tecnologici di natura più diversa, sarebbe totalmente lecito arrivare a perdere il sonno, come fatto metaforicamente negli ultimi otto anni dalla celebre compagnia per l’aviazione e i GPS consumer, Garmin. Otto anni ben spesi, mi sentirei d’aggiungere, passati a lavorare in gran segreto a ciò che è stato presentato al pubblico, giusto l’altro giorno, con il nome alquanto descrittivo e carico di nuove prospettive di Emergency Autoland. Nient’altro che il coronamento ulteriore, e rossa ciliegina a bordo di particolari aeromobili (come un tasto che fronteggia il panico situazionale) del loro sistema di aiuti di volo noto come Autonomi, facente parte del comparto informatizzato nella soluzione completa per l’avionica di bordo in tre console, la Garmin G3000. Che ora si arricchisce, per lo meno nei modelli mono-motore Cirrus Vision SF50 (il primo ed unico “jet personale”) ed il lussuoso aereo da turismo Piper M500, di un’ulteriore elemento di controllo tra i più facili da utilizzare, concepito proprio per le mogli, figli e amici di coloro che possiedono le doti necessarie a farli decollare. Ma non più essenziali, a quanto sembra, nel caso in cui s’intenda ritornare ad appoggiare i propri piedi sopra il saldo suolo, a seguito dell’imprevisto maggiormente irrisolvibile per propria implicita definizione. Basterà infatti ai succitati spettatori, totalmente incerti sul da farsi, aver ricevuto l’essenziale briefing pre-volo, consistente nel corretto gesto da compiere in caso d’emergenza. Perché una voce calma e computerizzata si palesi ad informarli che i comandi sono in quel preciso attimo stati impugnati da abili e robotiche mani. Mentre un timer messo in evidenza al centro degli schermi inizierà a calare inesorabile, fino all’atteso momento in cui a costoro sarà infine concesso di aprire lo sportello per scendere sopra l’asfalto della pista. Potendo riprendere, nonostante l’esperienza al limite che si sono ritrovati a sperimentare, il pieno controllo delle propria vite…

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L’espediente logistico dei camion che si alzano per salutare il Sole

Moderna cavalletta di metallo che s’innalza, le sue zampe quasi perpendicolari al suolo. Una testa temporaneamente priva di occhi, scesi prima di effettuare il gesto e dare l’ordine: “Capo, siamo pronti. Sollevare!” Quale verso può seguirti, nel tuo lungo viaggio verso il cielo? Che pensieri ti accompagnano al momento in cui sarai di nuovo libera, dal peso e dal bisogno, dallo stato di suprema servitù procedurale? C’è in effetti un sentimento, che prende l’origine all’interno del “cervello” rimovibile di simili creature (colui o colei dotato/a, per sua autonoma immanenza, di due gambe, di due braccia… E così via a seguire) e che matura dal momento esatto in cui la coppia di esistenze si ritrovano a collaborare, ricevendo da una terza parte il carico alla base della loro operazione. Che può essere di molti tipi, ma il peggiore, da molti punti di vista, è quell’ammasso indivisibile, o Zeus non voglia che si tratti di biomassa (orribile, maleodorante. Benché un ottimo concime) o ancora oggetti piccoli e persino granulari, fluidi simili alla sabbia; roba, insomma, che una volta dentro al tuo cassone non sarà poi tanto rapida a lasciarlo.
Già perché la cavalletta, in molti tendono a chiamarla un autoarticolato. Ed il momento che sto descrivendo è la Consegna: quando l’eventuale stress accumulato, in una guida lunga centinaia, oppur migliaia di chilometri, deve trasformarsi nella forza necessaria per portare a termine l’ultima delle sfide: manovrare col velante, con il cambio ed i pedali, finché il mostro insettile non venga messo in posizione. Affinché la natura, se così siamo disposti a definirla, possa compiere il suo corso pre-ordinato. Ora mettere qualcosa dentro, ovvero dare da mangiare alle creature di quel mondo, non è mai difficile. Mentre arduo tende a risultare, sopratutto per quelle cose che non possono fare affidamento su un sistema digerente, tende a volte a risultare l’escrezione. Il che in ultima analisi, non è certo condizione necessaria nella vita del trasportatore! Quando esiste, sul pianeta Terra, quella forza che può compiere il miracolo sostituendosi a noialtri, le persone. Già, la forza che governa sopra tutte le altre: che dicono si chiami Gravità.
Ecco dunque la ragione, di una simile Fatica: quelle “zampe” sono parte, a conti fatti, di un dispositivo. Idraulico, possente, fatto tutto di metallo. Che una volta preso il camion dalle redini del suo padrone, sfruttando l’energia che viene da una serie di motori elettrici, lo sollevano fino a un’angolazione di 60, 65 gradi. E poi lo scuotono, con poderosa enfasi, facendo fuoriuscire tutto il contenuto del suo corpo cubitale. Semplicemente magnifico, a vedersi! E stranamente sconosciuto, fuori dal proprio settore tipico di appartenenza. Che può includere, a seconda dei casi, il trasporto di segatura, carbone, pietrisco e altri materiali da costruzione, pneumatici, grano e addirittura frutti della terra come le patate o rape, indelicati per definizione, privi di un qualsiasi filtro dai detriti fino al termine ultimo della filiera. Detriti che finiscono, tutti assieme, entro il silo o nastro trasportatore situato sotto quello che potremmo definire, in lingua inglese, come Truck Dumper o Hydraulic Dumper. Oppur nel nostro idoma, lo Scaricatore. Imparare a conoscerlo, è dovere…

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