L’evoluzione robotica del treno espresso Shinkansen

Ci sono paesi che, nell’immaginario comune, esistono in uno stato di pericolo costante. Così gli Stati Uniti o l’Inghilterra, che nei film sono il costante bersaglio di pericolosi terroristi internazionali, magari seduti su poltrone girevoli con gatti bianchi dal pelo morbido e setoso, piuttosto che psicopatici al comando di un esercito privato di scagnozzi, armati solamente di un odio estremamente sviluppato per la società civile (e sferraglianti AK-47, direttamente dalle fabbriche della Avtomat Kalašnikova). Il Giappone, nel frattempo, è un caso particolare. Che sebbene non conosca nello stesso modo la paura, si può dire che anteponga la qualità, alla quantità degli attacchi narrati dalla cultura Pop dei nostri giorni: alieni, mostri giganti o rettiliani che riemergono dalle profondità terrestri, samurai che viaggiano nel tempo, mutanti radioattivi, intere famiglie di cani-procioni possessori di un filo conduttore privilegiato con il mondo potenzialmente infernale degli yokai, i mostri sovrannaturali della tradizione. Contrastare una simile classe di pericoli, non è difficile immaginarlo, richiede un certo tipo di agenti, che non sono certo 007 o l’ex-poliziotto divorziato John McClane. Tutto viene portato ai massimi termini, mentre lo stesso supereroe di stampo occidentale, nient’altro che una persona dotata di forza o poteri particolari, si trasforma in qualcosa di più imponente e molto spesso, efficace. Un prodotto della scienza, poiché la cultura dello Shinto non possiede il concetto di “salvatore divino” come il cristianesimo e il Buddhismo. Che alla figura del Bodhisattva, l’Illuminato che torna sulla Terra per assistere i viventi, preferisce gli spiriti invisibili delle montagne, degli alberi e dei fiumi. O del metallo e il potenziale bellico dei macchinari. Qualsiasi cosa, purché sia inanimata: ci penseranno gli esseri umani a dargli l’energia o l’inconraggiamento di cui necessita per trasformarsi. Questo è in buona sostanza, il princìpio generativo del mecha, o come preferiamo definirlo da generazioni, il robottone da combattimento pilotato.
I mecha nella cultura giapponese sono un po’ ovunque: nei fumetti, nei cartoni animati, nel cinema e nei videogiochi. Così come avviene, incidentalmente, per le mascotte aziendali, pupazzi in qualche maniera buffi o attraenti che personificano l’una o l’altra realtà commerciale, non poi così diversi da ciò che è diventata negli anni la figura di Topolino per la Disney. È perciò del tutto inevitabile, attraverso lo scorrere degli anni, che le due correnti non finiscano per incontrarsi, creando un super-robot che è anche una pubblicità ambulante, di qualcosa che è in realtà molto più che un semplice brand, costituendo piuttosto una realtà quotidiana per centinaia di migliaia di giapponesi. Avete mai sentito parlare del Nuovo Tronco Ferroviario? Probabilmente lo conoscete con il suo nome originario, 新幹線 che per la cronaca, si pronuncia Shinkansen; un modo migliore di vivere il concetto di ferrovia, nato nel 1959, in cui non occorreva più scegliere tra il fare molte fermate, oppure raggiungere rapidamente il punto d’arrivo. Semplicemente perché la locomotiva, per la prima volta nella storia, riusciva a raggiungere i 220 Km/h. Ma quello era naturalmente, soltanto l’inizio… A.D. 2011: entrano in servizio i gli Shinkansen Serie E5, elettrotreni in grado di raggiungere i 320 Km/h, in uso sulla linea Tokyo-Aomori che congiunge la parte settentrionale dell’isola centrale dello Honshu. Per commemorare l’evento, le ferrovie giapponesi elaborano un progetto promozionale con la Takara Tomy, compagnia multimediale specializzata nella produzione di giocattoli e merchandise. Da questa fortunata congiunzione, quindi, nasce la linea di possenti mecha trasformabili Shinkalion (bando agli inglesisimi, la pronuncia è Shinkariòn). Proprio di questi giorni è la notizia che, come si era capito ormai da anni, il franchise si stava muovendo verso il culmine nipponico, pressoché irrinunciabile, della creazione di una serie animata televisiva, destinata ad inserirsi nel lungo, e profittevole filone degli show robotici orientati a un pubblico di bambini. Non senza sollevare auspicabilmente, in via del tutto collaterale, anche l’interesse di qualche otaku (in questo contesto “fan”) del mondo dei treni, con in casa vetrinetta d’ordinanza dei modellini, fondamentale per evitare l’accumulo di polvere sui preziosi oggetti della sua fissazione.

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Artista dei Lego ripercorre la storia dei carri armati

Questa è per i ribelli, i fuorilegge, i guerrieri al di fuori degli schemi. Per chi è disposto a tutto, tranne seguire l’ordine prestabilito. Voi che vedete una scatola di costruzioni e piuttosto che cercare le istruzioni, iniziate a chiedervi “Che cosa può fare lei per me?” Come pretende il vero spirito dell’ingegneria… Si armeggia coi mattoncini per molti motivi. Chi ama quella sensazione tattile e cerca soltanto la sfida di assemblare il set, come si trattasse di un comune puzzle bidimensionale. E chi invece non si accontenta davvero, finché non ha esaurito il combustibile nel serbatoio (tank) della creatività. C’è stato un tempo lontano, prima del fortunato sodalizio con il brand multi-generazionale di Star Wars, in cui la compagnia svedese di costruzioni non solo per bambini aveva giurato di fare il possibile per: “…Non essere associata a stili di gioco che glorificano i conflitti o lo spargimento di sangue di alcun tipo, pur riconoscendo la capacità dei bambini di distinguere il gioco dalla realtà.” E in effetti, avete mai visto un jet militare, un elicottero, un carro armato fatto di Lego? Certo che si. È semplicemente impossibile stemperare la metafora del conflitto dall’animo umano, non importa quanto si è giovani e innocenti. Si potrebbe persino affermare… Il contrario. A meno che si stia effettivamente parlando dell’operato del nostro Sariel, celebre esperto polacco che ha associato la sua produzione a una particolare serie di costruzioni cosiddette “per giovani adulti”. Le Lego Technic note per l’ampia selezione di ingranaggi, cremagliere, motorini elettrici e funzionalità avanzate. Come i telecomandi. Difficile, a quel punto, allontanare la propria mente dal proposito di costruire una riproduzione in scala dei propri veicoli preferiti. E caso vuole che a lui, più di ogni altra cosa, piacessero i carri armati.
La visione di questo Mark V che avanza maestoso sul parquet del salotto, superando ostacoli come libri, assi inclinati e fortificazioni occupate dall’agguerrito criceto di casa evoca immagini di un importante momento tecnologico, in cui venne raggiunto probabilmente l’apice della filosofia di sviluppo inglese alla base della nave di terra (la Landship) il veicolo che avrebbe annichilito l’importanza primaria delle trincee nella prima guerra mondiale. Era un’esigenza profonda nata dal senso stesso del conflitto bellico che stava tenendo bloccato il mondo, e che nell’idea dei suoi principali promotori tra cui lo stesso Winston Churchill, all’epoca maggiore al comando degli Ussari di Sua Maestà, doveva cancellare quello spazio invalicabile che era la terra di nessuno, le centinaia o migliaia di metri, che separavano una lunga buca dall’altra, dove vigeva soltanto la regola orribile della mitragliatrice. Fu quindi determinato in terra d’Albione, con largo anticipo sull’offensiva di Somme lungamente progettata da inglesi e francesi contro il dilagante impero tedesco, che tutto quello che serviva era un grosso apparato corazzato semovente che fosse in grado di abbattere il filo spinato, assorbire il volume di fuoco delle armi leggere ed offrire copertura di prima scelta alla fondamentale, benché vulnerabile fanteria. Nonché ovviamente, rispondere al fuoco. La prima epoca del progetto fu portata a compimento grazie all’opera, principalmente, di un comitato guidato dai tenenti Walter Wilson e William Tritton operante nel corso dell’estate del 1915, per cui venne coniato il nome in codice di tank. Fu dopo tutto, la loro prima creazione dal nome di Little Willie, una sorta di contenitore, o per meglio dire una scatola perfettamente squadrata in grado di spostarsi alla vertiginosa velocità di 2 Km orari (escluso il peso dell’armatura, che non fu mai montata). Ben presto ci si rese conto, tuttavia, come un simile approccio al design sarebbe stato del tutto incapace, una volta raggiunta la trincea nemica, di uscirne nuovamente fuori e continuare la propria importante funzione strategica sul campo di battaglia. Prima della fine di quell’anno, dunque, il design originario fu sostituito da una scocca vistosamente romboidale, con i cingoli che risalendo sulla parte frontale gli avrebbero permesso di fare presa in molte impossibili situazioni. Il suo nome era Mother e in effetti, di lì a poco avrebbe dato i natali ad un’ampia serie varianti, di “marchi” numerati dall’uno al dieci, destinati a diventare una vista comune sui campi di battaglia di ciò che restava della terribile grande guerra. Ma nessuno immaginava, realmente, dove si sarebbe arrivati di lì ad appena 25 anni, dopo la duratura, ma instabile e insoddisfacente pace che era stata imposta dai vincitori con il trattato di Versailles.

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Lo spinner creato usando un trio di Lada siberiane

Tre volti, tre realtà, tre diversi modi di vedere il mondo. Interconnessi grazie al punto di raccordo di una piccola piastra rotante? Da tenere in mano e far girare fino all’ossessione? Vi dice nulla? Certo, non tutti gli spinner sono creati uguali. Ve ne sono di altamente tecnologici, capaci di ruotare per ore ed ore. Ed altri che invece, a causa della bassa qualità del cuscinetto a sfera, durano soltanto il tempo di un lungo sospiro. È perciò tanto più eccezionale, e inaspettato, l’aspetto ed il funzionamento di questo speciale fidget spinner, i cui Alfa e Omega non sono quelli di un giocattolo. Ma tre mezzi pienamente omologati per circolare su strada. Ed condannati a fare la speciale cosa e solamente quella, di orbitare attorno all’asse immaginario di un invisibile pianeta. Perché l’unione fa la forza. Ma c’è soltanto una cosa che può farla, ancor più di così: la separazione col frullino, che poi conduce alla riunione successiva a mezzo fiamma ossidrica (ed un mare di pazienza.) Si potrebbe addirittura dire che a quel punto, la sgommata si trasformi in una sorta di stile di vita. Sempre che non lo fosse già da prima. E il senso ultimo dell’esistenza possa palesarsi, nella mente di coloro che si trovano al volante.
Buongiorno a tutti, sono “il Meccanico” e questo è Garage 54, direbbe l’inventore, se fossimo sulla Tv statunitense. Ma poiché ci troviamo in Russia, e questa è Novosibirsk, principale centro abitato del Distretto Siberiano, la spiegazione d’apertura è molto più prolissa, e al tempo stesso incomprensibile per noi. C’è questa tendenza, tra la popolazione russa, dell’apparente quantità pro-capite di sedicenti ingegneri, estremamente superiore alla media internazionale. Perciò il video di partenza (che qui sopra potete osservare in forma abbreviata dal sito Sputnik News) può diventare l’occasione di spiegare punto per punto la particolare procedura, assieme a considerazioni sulle caratteristiche notevoli dell’auto di partenza. Già, al singolare, poiché siamo di fronte, di lato e dietro al tempo stesso, a quella che costituisce a tutti gli effetti una congiunzione retroattiva di tre mezzi totalmente uguali. Modello: Lada VAZ 2108, più comunemente detta Samara, proprio come lo spettro della bambina killer nel remake americano del film The Ring (ma anche dell’omonima regione bagnata dalle acque del fiume Volga, non troppo lontano dal confine settentrionale del Kazakistan.) Macchina chiamata per antonomasia Zhiguli nel titolo del video, anche se in effetti quel particolare nome sarebbe riferito ad un particolare motore pur sempre lì prodotto, appartenente a una vettura un po’ più antica. Che incidentalmente, fu anche un significativo pezzo d’Italia: la VAZ-2101, alias Kopeyka, alias Fiat 124. Dev’essere una storia alquanto interessante, quella dell’arrivo di un simile veicolo nostrano fin laggiù, come testimonia niente meno che la geografia, a ridosso della zona collinare che si chiama per l’appunto Zhiguli. Poiché basta scorrere con gli occhi sulla mappa per trovare, poco più a sud, un altro toponimo, questa volta decisamente più affine a noi: Togliatti come il segretario del PCI dal 1921 fino allo scioglimento del Comintern, sopravvenuto nel 1943. Al quale fu dedicata, poco dopo la sua morte nel 1964, l’intera città di Stavropol’-na-Volge, dove proprio lui aveva trasferito la catena di montaggio della macchina sopracitata, agevolando un vero e proprio Rinascimento di una simile remotissima regione. Ma corsi e ricorsi, come si dice, nella rotazione cosmica dei contrappesi stretti delicatamente tra le dita. Perciò perciò stato proprio a partire da questo luogo, nel 1984, che sarebbe nata la nuova meraviglia della tecnica, di un’automobile per la prima volta di “classe media” con prestazioni, motore e sospensioni di tutt’altra caratura. Nonché sopratutto, totalmente originale. E quindi adatta ad essere esportata, a prezzo di convenienza, fin qui da noi e verso il resto dell’Europa, in forza di una qualità costruttiva decisamente superiore.
Quel mezzo di trasporto che oggi ritroviamo, allegramente fatto per tre volte a fette, e quindi ricongiunto come le manopole di una roulette. Per… Il sogno, la visione, la difficile mansione di crear la vita… Frankenstein, che cosa sei! Soltanto in Russia, è possibile trasformarsi in scienziati pazzi nel cortile della propria casa/officina. Senza che qualcuno, passando casualmente oltre la staccionata, possa elaborare la saliente, pregna e disinformata domanda: “Perché mai?”

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Che farebbe Batman per un fidget spinner gigante?

Voglio dire, è un problema tipico di tutte le scuole. Ci sono insegnanti che sembrano adattarsi, in un primo momento, alle innovazioni che provengono dalla modernità. E permettono di utilizzare in classe tablet, laptop, penne con il riconoscimento calligrafico integrato. Poi qualcuno si porta la Playstation, e all’improvviso…Viene criticato. Assurdo! È impossibile pretendere di avere al mondo dei supereroi, se non gli si permette di far pratica nelle ore perse fra tre mura e una finestra, dinnanzi ad una cattedra mal messa. Se far roteare i pollici è un diritto, allora non vedo proprio perché dovrebbe essere proibito un blocco da 2 Kg e mezzo d’ottone, con i bordi frastagliati e la forma aerodinamica del pipistrello. Incredibile! Quell’arpia della prof. d’inglese me l’ha sequestrato. E adesso tiene nella borsa il mio fondamentale ausilio alla concentrazione roteante. Quando ci sono STUDI, sanciti da vere ISTITUZIONI sull’utilità di tenere occupate le mani mentre si libera il cervello per seguire la lezione. Eppure, di oggetti simili la storia della didattica è letteralmente colma! Si chiamano cappucci della penna, gomme da cancellare, temperamatite… E adesso, vorreste farmi credere che un fidget spinner merita minore considerazione? Soltanto perché è una cosa che si compra, come un “giocattolo”, ed ha un’aspetto più grazioso e in qualche modo divertente… Che male potrebbe mai esserci in tutto questo? E poi, qui si stanno facendo dei favoritismi. Non vedo perché proprio io, soltanto perché ce l’ho leggermente più grande. Quella gorgone è giunta scrivere sul mio diario “COSO vibra in aria il batarang.” Ah, ah, non credetegli. Lei affermerà che il dannato gingillo mi è sfuggito di mano. Per partire come un elicottero e piantarsi nel muro, scardinando l’interruttore della luce. Ma in verità vi dico, quella crepa già c’era. Se la compagna di classe ha gridato, mentre le volava il bianchetto ed andava a frantumarsi in una chiazza contro la lavagna, saranno chiaramente stati dei problemi solamente suoi. Io che non ho colpa, adesso non so più che cosa fare. E batto nervosamente il piede sotto il banco costellato di variopinti chewing-gums. Come, cosa, chi ha parlato?
Sarebbe certamente difficile confermare l’effettiva identità di PressTube, uno degli astri nascenti della nuova cultura dei makers/destroyers del Web, che consiste nel disporre in primo luogo di un’attrezzatissima officina, quindi usarla per fare cose folli sotto l’occhio appassionato della collettività. In questo, lui è un po’ come un cavaliere grigio-scuro, che perlustra Gotham City andando alla costante ricerca di guai. Mentre in effetti la scelta di questa particolare foggia per la sua ultima, riuscita creazione, non è altro che una risposta alle richieste del suo vasto pubblico, così come lo erano state le dozzine di altri loghi, forme e suggestive sagome impiegate in precedenza, con la finalità di dimostrare la maestria nella realizzazione di un processo che in effetti, ben pochi di noi hanno avuto modo di sperimentare in prima persona: la fusione fatta in casa di UN metallo. L’ottone, per essere più precisi, quello ricavato dallo squagliamento di copiose quantità di bossoli (a questo punto sarà chiaro che siamo in Freedom Country, U.S.A.) ricevuti in dono dal vicino poligono di tiro. Roba da mandare in visibilio il visitatore medio di YouTube, alla costante ricerca di quel fluido incomparabile che è l’intrattenimento di seconda mano. Acquisendo il merito necessario a sostituirsi, almeno in parte, a quell’attività che dava il nome al canale, sempre uguale e un po’ derivativa, di schiacciare cose con la pressa industriale. Perché cavalcare l’ultima fad è sempre in linea di principio, assai proficuo, e c’è della notevole soddisfazione, per una volta, nel produrre un qualche cosa di duraturo, invece di distruggere il lavoro d’altri. Così Anthany ha preso il fido pennarello nero Sharpie, e con una precisione che va parecchio oltre l’umano ha tracciato la figura del chirottero sopra il polistirolo. Quini, tra il silenzio collettivo che proviene dal profondo senso di stupore, ha acceso i fuochi dell’invenzione…

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