Tra tutte le creature preistoriche addomesticate per semplificare la vita alla famiglia Flintstones, i protagonisti del cartoon “Gli Antenati”, ce n’è sempre stata una in grado di suscitare un certo grado di compassione da coloro che sapevano cogliere le implicazioni latenti. Poiché necessariamente presente, benché mai mostrata, al pari del pellicano che lavava i piatti e il mini-dinosauro con l’incarico di aspirapolvere, doveva figurare in casa un animale parlante pronto ad esclamare alla telecamera “Odio il mio lavoro!” dopo aver permesso a un utilizzatore umano di espletare uno dei propri bisogni fondamentali nel massimo del comfort, senza dover fare ricorso ad implementi anacronistici quali lo sciacquone, o l’acquedotto. O magari, perché no, una pianta. Forse per accentuare l’effetto comico o poca flessibilità creativa, gli originali sceneggiatori degli anni ’60 della serie (ed i loro molti Progenitori) evitarono tendenzialmente a personificare o dotare di sentimenti le presenze radicate prese in prestito della giungla selvaggia e piena di misteri, che necessariamente avrebbe dovuto circondare il gremito insediamento di Bedrock. Un errore, a dire il vero, in alcun modo indotto o agevolato dalla natura, specie quando si considera l’effettiva esistenza, in uno dei luoghi rimasti più prossimi a quel mondo ancora scevro di sostanze inquinanti o stabilimenti industriali pesanti, di una pianta in particolare che parrebbe aver dedicato la sua lunga e articolata vita alla raccolta sistematica degli escrementi. Con una metodologia precisa, la cui efficacia potrebbe indurre anche i più entusiastici cultori dei miracoli capaci di ottimizzazione autonoma all’intervento, per lo meno preliminare, di un Gran Disegno. Poiché chi, se non un saggio Demiurgo, avrebbe potuto concepire qualcosa di straordinariamente ingegnoso quanto il processo ultra-specializzato della Nepenthes rajah, calice vegetativo concentrato unicamente sopra l’oasi verticale del monte Kinabalu, il singolo massiccio più svettante del Borneo? Una di quelle piante costruite come un recipiente, che per certi versi ricordano un’orchidea pur non dovendo ricorrere allo stesso stile subdolo di procura delle sostanze nutritive, estratte da quest’ultime stritolando e togliendo forza alle piante più grandi. Il che non significa, d’altronde, che le appartenenti a questo verde genere siano del tutto prive di un intento subdolo nascosto, vista la loro propensione ben nota a lasciar cadere malcapitati insetti all’interno dello spazio deputato, per poi lasciarli affogare nel proprio nettare al fine di digerirne la preziosa essenza. Il che costituisce di suo conto il nocciolo della questione, poiché se questa specie, rara e preziosa, forma dei bicchieri della morte alti fino a 40 cm, e tenendo in considerazione la marcata preferenza dell’evoluzione per la conservazione dell’energia in eccesso, è del tutto lecito chiedersi quale possa essere l’artropode abbastanza grande da doverci cadere all’interno. Almeno finché il primo naturalista non ha notato, con sua suprema sorpresa, la frequenza con cui gli esponenti di una distintiva specie di toporagno, il Tupaia montana simile a uno scoiattolo per abitudini e comportamento (pur non essendo, affatto, un roditore) erano soliti recarsi sopra la suprema foglia, per leccare con trasporto il nettare fruttato che appositamente ricopriva il suo elegante coperchio. Pur essendo troppo grandi, ed agili, per caderci all’interno. Il che d’altra parte non valeva per quanto concerne per i loro piccoli ma preziosi escrementi…
Tutti sanno che non c’è concime più efficace, in natura come nell’agricoltura condotta dall’uomo, che il letame. In quel ciclo straordinario che permette alle bestie erbivore di restituire un qualcosa, in modo totalmente automatico, dopo aver tolto la vita a schiere interminabili di piante innocenti. Soltanto sarebbe stato lecito pensare che una pianta carnivora e notoriamente in grado di crescere su terra poco fertile, come il sostrato ricco di minerale serpentino del monte Kinabalu, avesse ormai imparato a fare totalmente a meno di una simile sostanza. Poiché difficile risultava immaginare un modo in cui le deiezioni animali avrebbero potuto raggiungere il suo stomata, lo spazio abilitato alla digestione prossimo allo stame, assai distante dalle sue radici poco sviluppate ed ormai prossime all’atrofia. Almeno fino allo studio pubblicato nel 2010 sulla rivista Plant Signaling & Behaviour dal naturalista dell’Università della Malesia Lijin Chin e colleghi, capace d’identificare la vera, eccezionale ragione per cui il toporagno smebrava indotto a recarsi in quel punto critico, non privo di pericoli della sua giornata tipo all’interno della foresta. Soggiornando mentre conduceva il proprio pasto irrinunciabile, con un nettare a tal punto ricco di sostanze chimiche irresistibili all’olfatto, in una posizione totalmente obbligata in bilico sul bordo della pianta. Così che le feci, fuoriuscendo, non potessero evitare di caderci all’interno! Riuscite ad immaginare un rapporto mutualistico maggiormente complesso, ancor più preciso di questo nell’intera storia a noi nota della natura? Una pianta e un animale le cui forme rispettive, perfezionate attraverso innumerevoli generazioni dalla pressione della selezione naturale, hanno permesso di creare un processo in grado di fornire nutrimento reciproco ad entrambi. Davvero i rifiuti di qualcuno possono essere il tesoro di altri. E non c’è niente, alcuna concessione alla decenza, che possa impedire a questi frequentatori delle cime arboricole di continuare a leccare il bordo della propria incomparabile toilet pendente.
Volendo analizzare ulteriormente la situazione, si può dunque notare come i calici delle Nepenthes non ancora cresciute abbastanza, troppo delicate e morbide per poter sostenere il peso del toporagno, evitino per quanto possibile di attirarne l’attenzione, mancando ancora della netta colorazione violacea che risalta sopra il verde della foresta, oltre a produrre quantità di nettare minori e conseguentemente, in maniera facilmente immaginabile, profumare molto meno. Lasciando i piccoli cercatori costretti a rivolgersi altrove, nella loro perenne ed incessante cernita dei migliori luoghi in cui dar sfogo ai propri bisogni.
Verificabile soltanto in un singolo luogo al mondo, circondato da una fitta giungla e situato ad un’altitudine minima di 1.800 metri sul livello del mare, il nesso magico è stato progressivamente osservato anche in relazione ad altre piante più piccole appartenenti al genere Nepenthes, la N. lowii ed N. macrophylla, Benché l’unico animale capace di condurlo a compimento sembri effettivamente essere il Tupaia montana, per questioni principalmente interconnesse al conveniente sovrapporsi del proprio areale. Il che non sarebbe per forza un problema, in ipotetici scenari in cui le potenzialità di smaltimento di un’ipotetico calice gigante dei tempi pre-moderni potesse essere asservito alla necessità basiche dei nostri Antenati. Una contingenza portata alle sue estreme conseguenze e che in effetti alcuni potrebbero ricordare dalla seconda stagione dell’anime giapponese tratto dal manga di Akihito Tsukushi Made in Abyss (2022) in cui la pianta immaginifica, usata come toilette dalla protagonista, era anche stata dotata di una pratica ed agile lingua. La cui funzione pratica e sottilmente inquietante, nel contesto speculativo delle circostanze ivi mostrate, sarà di certo preferibile non menzionare nel presente contesto.