Drone dimostra lo stato dell’enorme Apple Campus 2

“Cos’è questo rumore, Steph?” La coppia di operai si trova sul tetto della struttura in prossimità di uno dei nove atri giganti che collegano gli otto edifici gemelli della pantagruelica struttura, destinata a diventare l’edificio più esteso in senso orizzontale al mondo, persino più del Pentagono di Arlington County: “Ah, niente di cui preoccuparsi. È soltanto il bulldozer che rimuove la cima della collina nord, dove dovrà sorgere il centro fitness per i dipendenti della compagnia.” Le prime avvisaglie del tramonto coloravano di un rosso distante le cime sottostanti degli aceri, gli albicocchi e i cachi che i ragazzi avevano iniziato a piantare, secondo le precise istruzioni di Dave Muffly, il più accreditato perito arboricolo dell’università di Stanford. “No, non quello. So riconoscere il suono di un motore. Intendo l’altro, quello che…” Steph si voltò per osservare il gesto del suo collega. “Si, si, ho capito. Ti stai riferendo al rombo gutturale della macchina pneumatica che installa i pannelli di vetro curvo provenienti dalla Germania, ciascuno largo 14 metri ed alto 3,2, costruiti con una tolleranza minore di qualsiasi altro mai prodotto prima d’oggi. Passerà presto, ora finiamo di montare questo ennesimo pannello solare.” A sottolineare le sue parole, Steph impugnò l’avvitatore elettrico e lo puntò verso l’obiettivo. Allora con gli occhi strabuzzati per il fastidio, il collega gridò sopra il frastuono “Voglio dire… Questo dannato…RONZIO” Frrrrr, Frrrr “Come una specie di…Frullatore?” Frrrr. Quando cominciò a notarlo anche Steph, gli bastò alzare lo sguardo per comprendere l’arcana provenienza del suono “AH, AH, AH. Vuoi dire che non l’avevi ancora sentito? Noi li chiamiamo Falchi della California. In genere ne passa uno a metà mattina, poi c’è quello del primo pomeriggio. Ce n’è uno bello grosso e bianco, che viene a giorni alterni. E poi, naturalmente, questo qui a cadenza mensile. Credo appartenga a un ragazzo del posto che pubblica i video sul web… È un continuo!” Non farci caso mio giovane collega, aggiunse mentalmente mentre fletteva l’indice destro sul pulsante del cacciavite. Anche questa, meditò fra se, prima o poi passerà.
Inconvenienti del mestiere. Piccole complicazioni inevitabili. Quando lavori presso uno dei cantieri più famosi e pubblicizzati al mondo, ma distanti dai costosi appezzamenti presso i centri delle metropoli statunitensi con le loro ordinanze limitative in materia di droni, occorre accettare la realtà dell’occhio digitale dei curiosi, che senza nessuna ragione specifica perlustrano costantemente l’area che verrà graziata dal titano di acciaio, marmo e vetro, al fine di mostrare un qualcosa di universalmente interessante per tutti noi. Niente di simile, del resto, era mai stato tentato prima, meno che mai da una compagnia privata appartenente al mondo dell’alta tecnologia. Perché, voglio dire: un conto è decidere di aver bisogno di uno spazio più grande per i propri 13-14.000 impiegati in loco, tutt’altro compiere il balzo mentale per cui l’unico modo appropriato per affrontare questa necessità è costruire un titanico anello su quattro piani più altri due sotterranei di parcheggio, con 260.000 metri quadri di superficie rinchiusa tra materiali come il rimpasto di marmo del terrazzo alla veneziana, usato comunemente per i musei e le residenze di gran pregio, cemento, metallo e i succitati pannelli di vetro, un prodotto esclusivo della compagnia Seele/Sedak. Non credo che molti capi d’azienda avrebbero guardato a un simile progetto dai costi spropositati pensando: “Si, questo è ciò di cui abbiamo bisogno adesso per crescere continuando ad essere il non-plus ultra della nostra categoria, l’unica cosa che ci manca e serve per primeggiare.” Ma lui, naturalmente, non era così. E con lui intendo il compianto e geniale Steve Jobs, probabilmente il più grande product man di tutti i tempi, che aveva avuto l’iniziativa rara di ricercare una posizione di predominio per l’Apple grazie a lui rediviva non più soltanto grazie al marketing, ma usando quest’ultimo come mero gradino per la sua scalata verso il successo, assieme alla qualità e quantità delle sue idee. Tanto che parlare di questa ottava meraviglia del mondo oggi, un simile Anfiteatro Flavio dei nostri tempi o moderno Colosseo, non può prescindere da un’analisi di colui che tanto fortemente l’aveva desiderato, al punto da contattare di persona lo studio di architettura di Norman Foster, e dire ad uno dei professionisti più quotati di questa generazione: “Norman, mi serve aiuto. Ma se facciamo insieme questa cosa, ti chiedo di non considerarmi un cliente. Io sarò parte attiva del tuo team.” Molti costruttori autorevoli a questo punto, si sarebbero fatti qualche domanda. Ma Steve, permettetemi di chiamarlo per nome come del resto ormai fanno tutti, possedeva quel potere particolare, definito “Campo di Distorsione della Realtà” (Come cambiano i tempi! Una volta l’averemmo chiamato carisma e sarebbe finita lì) Così alla fine, il suo ultimo sogno si realizzò. O per meglio dire, dopo la fine. Tuttavia fu deciso che quel momento sarebbe giunto presto, molto presto…

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Immagini fantastiche dal festival dei droni di New York

New York Drone Film Festival

Si dice che alcuni particolari individui, appartenenti al culto geograficamente trasversale dello Sciamanesimo, possano sperimentare l’esperienza di separazione tra corpo e coscienza, lasciando dietro le proprie mortali spoglie per avventurarsi, come un soffio d’anima, tra i venti e le correnti del mondo per osservare, non visti né percepiti, gli eventi e le situazioni. Ed è proprio questa capacità di concentrarsi, tanto simile alla meditazione dei buddhisti, a dimostrare che una simile esperienza non è un sogno. La mente umana: uno strumento che seleziona e suddivide, cataloga, costruisce; si, da sveglia. Mentre nel momento stesso della cessazione della coscienza, e questo lo sa bene chi si sveglia all’improvviso, si scatena una tempesta d’immagini più simile a una carrellata di momenti, ciascuno totalmente scollegato a quelli precedenti. Ed è soltanto nel momento in suona la sveglia, dopo un’intera notte trascorsa involontariamente a cogitàre, che nel sollevarsi delle palpebre si attiva il meccanismo, molto antico ed altrettanto ben oliato, che s’impegna a dare un senso alla sequela dei ricordi immateriali. Così, nel mondo odierno tecnologico, possiamo simulare questo stato. Così facendo, con un dispositivo di radiocomando remoto ben stretto tra le proprie mani, e il cielo immenso che proietta il suo richiamo. Sempre verso il basso e poi di nuovo, inevitabilmente all’indirizzo di chi scruta verso il Sole ed ha il coraggio di premere GO.
Un drone può essere davvero molte cose: telecamera volante, veicolo da corsa, compagno poco loquace ma tutt’altro che silenzioso di mille o più avventure. Ma di sperimentarle tutte assieme… Nel corso di appena tre minuti che ci portano dalla caldera di un vulcano, alle profondità marine, dal gran tempio di Balor (con tanto di Tyrion Lannister ripreso di spalle) al resort sciistico di Golden Alpine nella Columbia Inglese (Canada) ove sciatori illuminati corrono come altrettante code di cometa…Non ci era, di sicuro, mai capitato. Questo video è talmente bello ed in qualche maniera appassionante che innumerevoli siti, dal recente evento della sua pubblicazione, l’hanno ripreso senza preoccuparsi eccessivamente di qualificarne la provenienza ed entrare nel merito dei contenuti. Il che è un peccato, perché simili elementi sono assolutamente primari per comprenderne la rilevanza notevole nella storia della videografia. Siamo ad un punto di svolta, precario e significativo, di ciò che costituisce il nostro documento  per i posteri più articolato e significativo, la registrazione degli eventi a mezzo telecamera e questa intera sequenza costituisce, indubbiamente, un importante mattone dell’intero edificio. Forse persino, la chiave di una volta d’ingresso per intere nuove generazioni d’appassionati potenziali. Questo perché il New York Drone Film Festival, talmente nuovo da non avere neppure un articolo di Wikipedia (um, qualcuno dovrebbe provvedere…) nasce sulla carta nel 2014, si trova attualmente alla sua seconda edizione ed è non soltanto il primo evento del suo tipo al mondo, ma anche un happening dalla notevole risonanza mediatica e l’alto numero di visitatori. Avvalendosi dell’avveniristico Liberty Science Center di Jersey City, edificio equipaggiato con la più grande cupola per proiezioni IMAX mai costruita. Che tuttavia quest’anno ha visto esauriti i posti disponibili per il pubblico nel giro di sole 6 ore, con oltre 5.000 persone accorse per assistere ai migliori tra i 350 film provenienti da 45 paesi, con l’obiettivo di determinare un vincitore per ciascuna delle 13 categorie in concorso. Un’interesse la cui origine, prendendone in esame anche soltanto alcuni, diventa più che ampiamente giustificato…

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Estate 2016: la lunga stagione delle zanzare robot

SCAMP Robot

Molte parole sono state spese sulla presunta inutilità del dittero succhiasangue, che disturba le nostre notti, si riproduce con estrema efficacia e talvolta finisce per diffondere problematiche malattie. Piccole forme saettanti, appena visibili nella luce del Sole al tramonto; creature ronzanti (persino il rumore dà fastidio!) che ben pochi esitano ad uccidere, persino tra coloro che si dicono amanti degli insetti. Perché in fondo, cos’ha di paragonabile, la vicina genetica del pappatacio o del flebotomo comune, con un utile e benamata ape, o persino una feroce vespa predatrice, che per lo meno elimina la diffusione di altre piccole creature invasive…  Esse semplicemente sono, e attraverso quel fitto e insistente svolazzare, mettono alla prova l’umana pazienza? Certo. Eppure, a volerla comprendere, c’è anche un’utile lezione che possiamo apprendere dalla vicenda esistenziale di simili creature. Se c’è qualcosa di cui sarebbe difficile dubitare, in effetti, è proprio la sua efficacia nel portare a termine quello che fa. Un animale parassita, naturalmente, dovrebbe essere del tutto incapace di sopravvivere sulle sue forze, totalmente incapace di procacciarsi il cibo sulle sue forze. Mentre la forma della zanzara, per invertire una famosa citazione del web sul calabrone, attribuita, a seconda dei casi a personalità del calibro di Albert Einstein o Marilyn Monroe, è perfettamente adatta a volare. E lei lo sa benissimo. Come anche il qui presente robotista, parte del gruppo di ricercatori del laboratorio BDML dell’Università di Stanford (Biomimetics and Dextrous Manipulation Lab) il quale ne ha ripreso le caratteristiche assieme ai suoi colleghi, per creare un dispositivo volante che non solo rivoluziona il concetto di drone, ma apre la strada a numerose innovazioni tecnologiche che di qui a pochi mesi potremmo anche ritrovare nei campi più diversi, incluso quello militare.
C’è un che di lievemente inquietante, in effetti, nel vedere il gesto disinvolto con cui il  giovane lascia decollare il suo SCAMP, questo l’acronimo del robo-quadricottero, dal palmo aperto di una mano, soltanto per vederlo fluttuare verso il muro ed attaccarvisi, iniziando la sua inesorabile scalata verso la cima. La suggestione è un po’ la stessa creata a suo tempo dalla scena del film Dracula di Bram Stoker, con l’attore Gary Oldman nel ruolo dell’improbabile Conte, che risaliva la torre del castello aggrappandosi come una sorta di gigantesco ragno umano. Ed anche l’utilità, sostanzialmente è quella: giacché possiamo presumere, nell’analisi scientifica di quell’altro goloso d’emoglobina, che la “modalità pipistrello”, per così dire, comporti un dispendio di energie vampiresche relativamente congruo. Mentre possiamo presumere che sfruttare la propria agilità e forza sovrumane, per aggrapparsi alle asperità di un vecchio maniero e fare ritorno alla propria bara (rigorosamente prima dell’alba) sia un’impresa assolutamente da nulla, per il signore delle tenebre perennemente redivivo. Lo SCAMP ad ogni modo, nonostante il suggestivo acronimo, che sta per Stanford Climbing and Aerial Maneuvering Platform ma significa anche un qualcosa di affine a “simpatico malandrino”, è uno strumento creato rigorosamente al servizio del bene. Come già altri progetti comparabili fuoriusciti dallo stesso ambito accademico, la sua presunta finalità in tale forma sarà l’assistere in caso di disastri naturali, volando sulla scena per effettuare rilevamenti e trovare i sopravvissuti. Con in più il vantaggio aggiunto, come dicevamo, di poter risparmiare la limitata energia a disposizione nelle sue piccole batterie, posandosi a riposare sulle superfici verticali, prima di spiccare nuovamente il volo verso località maggiormente accoglienti. Così facendo, inoltre, potrà aggrapparsi e salire verso l’alto, guadagnando quota senza ricorrere alla dispendiosa accensione continuativa delle sue quattro pale. Ed è una visione certamente inaspettata, questa di un essere così evidentemente artificiale, che tuttavia si comporta in maniera del tutto paragonabile a quella dell’insetto più odiato del mondo! Che di sicuro, mentre risaliva gli edifici dell’università, deve aver fatto voltare parecchie teste, dando adito a un senso diffuso d’entusiasmo misto a sorpresa. Quest’ultima, tuttavia, soltanto per le matricole, o tutti coloro che si trovavano lì in via occasionale. Questo perché in effetti, il robot in questione non è un’invenzione che viene dal nulla, ma soltanto l’ennesima, e forse più affascinante applicazione di un vasto ventaglio di concetti, che il laboratorio BDML sta prendendo in analisi da ormai diversi anni, portandoli fino alle loro conseguenze più estreme. Un progetto trasversale, che mira a dimostrare, reimpiegandola, l’utile capacità di certi animali ad aderire alle superfici, trovandosi quindi avvantaggiati nella loro locomozione, o dotati di una forza di molto superiore al dovuto. Pensate, ad esempio, a una formica che trascina un qualcosa di molto superiore al suo peso. Potrebbe davvero farlo, se non avesse l’innata dote di “aggrapparsi” al suolo, prima di ciascun singolo oh, issa! Seguito da un singolo passo e poi di nuovo, piedi ben saldi e tirare? Un’impresa che la camminatrice può compiere, unicamente grazie a una cuticola flessibile presente sotto ciascuna delle sue sei zampe. Mentre la zanzara robot di Stanford, in effetti, sfrutta un sistema notevolmente diverso…

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In viaggio con il drone nella segheria automatizzata

Logs to Lumber

“Se potessi essere una mosca…” Diceva giusto l’altro giorno: “Sulla parete interna dell’enorme capannone di… Allora finalmente, conoscerei la verità.” Ma non puoi ridursi alla grandezza di pochi centimetri, l’ipotetico analista dell’industria delle materie prime, né può avere occhi sfaccettati, ali semi-trasparenti, peli sulle zampe e una bocca che si apre in senso verticale. Deve accontentarsi di un telecomando. E di sistemi per volare, ai nostri tempi ce ne sono molti. Tra cui quello meno tipico, ormai dato per scontato, del rotore aerodinamico che crea il cuscino d’aria. E sai che c’è di meglio, ancora? Quattro simili cose, poste in parallelo sopra l’utile dispositivo, con la telecamera e il trasmettitore dell’intera situazione. Un drone, lo spione. Ben sancito, ciò sia chiaro, dall’umano proprietario. Di un luogo talmente notevole, nel suo funzionamento, che non poteva essere altrimenti: per ciascun impiegato in carne ed ossa, ci lavorano due meccanismi o macchinari. Con un po’ di fantasia, si potrebbero chiamare addirittura dei robot. Strumenti ad alta operatività, come la gru a rotaie che scarica il legname dagli autotrasportatori, per depositarlo in alternanza presso grandi mucchi per lo smistamento, oppure lungo il viale che conduce dentro alla catena di lavoro, dove saranno trasformati, senza sprechi, in materiali utili alle costruzioni: travi, listelli, tavole, masselli… È tutta una questione di saper scegliere le giuste procedure, in ogni caso. Come quello di pubblicizzare il proprio nome online, attraverso l’impiego di un sistema tanto affascinante.
E pur considerando la questione da ogni lato, non è certo facile comprendere, dalla mera osservazione del presente video, quale sia stata l’origine dell’idea. È possibile immaginare uno scenario in cui qualcuno, tra le voci dell’azienda, forse addirittura il grande capo, avesse un hobby. E questo fosse la ripresa aerea delle operazioni. O è altrettanto valido, ipoteticamente, lo scenario di una compagnia di marketing, assunta per promuovere quel nome, che consiglia la realizzazione di un potente video di divulgazione, così. E potrebbe sembrare quasi superfluo, il curare l’immagine fino a un tale punto estremo, per aziende come questa che operano principalmente nel settore B2B (ovvero, mai rivolgendosi al cliente finale) ma è pur vero che, una volta raggiunto il vertice del proprio settore, non si può far altro che sfondare il proverbiale soffitto di vetro. E ritrovarsi, d’improvviso, tra le mosche dalle massime ambizioni. Di certo, nell’ultima impresa promozionale della grande compagnia di legname Vaagen Brothers, operante “da oltre 50 anni” nel settore nord-est dello stato di Washington, quasi al confine con il Canada, è che l’intera opera creativa mostra una cura registica degna di essere notata, con in più il valore aggiunto di mostrare un qualcosa che, il più delle volte, viene fatto nascosto agli occhi della collettività. Il che, del resto, è comprensibile, sebbene non condivisibile: questo scenario spesso reso drammatico attraverso le metafore, del mondo che consuma se stesso, noi che divoriamo le risorse, verso la futura dannazione dell’ambiente e tutto quello che rimane… Quando in effetti, la realtà si offre a vari gradi d’interpretazione. Resta certamente indubbio come lo scenario offerto dall’eccezionale opera di adeguamento ed implementazione condotta dai titanici macchinari della presente segheria, che paiono perfettamente in grado di sezionare un’intera regione della foresta Amazzonica in due giorni o giù di lì (sempre lei, la pietra di paragone) possa fare una certa impressione, soprattutto a chi considera la Natura come un valore a se stante, in qualche maniera separabile da noi, che la sfruttiamo pur facendone comunque parte. Proprio così, è difficile negarlo: Universo>galassia>stella>pianeta>regno animale>uomo. Mentre invece, i vegetali? Erano lì, pronti da prendere. Persino chi si riconosce nell’ideale e nello stile di vita del veganismo, alla fine, qualche cosa dovrà pur mangiarla. In una casa, dovrà viverci. E l’industria del legname non è certo la cosa peggiore che potremmo fare di diversi ettari di verde pronti da sfruttare…Anzi!

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