Nelle vaste sale silenziose della biblioteca del complesso abbaziale di San Gallo, riccamente decorate ed affrescate nello stile di una società ormai desueta, strane brezze e strani sentimenti si aggirano nelle ore successive al tramonto. I putti sopra gli scaffali e scrutano da dietro i capitelli questi spiriti del mondo, che si affacciano dalle costine degli antichi manoscritti. E gli affreschi sul soffitto, con le scene sacre iscritte in uno schema geometrico particolarmente raffinato, paiono animarsi di una luce mistica latente. Mentre nell’angolo lontano da ogni porta o finestra, il sarcofago egiziano della mummia Shep-en-Isis, figlia del sacerdote Pa-es-tjenfi (le voci sulla discendenza faraonica furono da sempre esagerate) volge il proprio guardo all’indirizzo dell’orpello che fin troppo bene conosce. Sfera sormontata da una ruota di carro, in realtà sestante usato al fine d’impostare le costellazioni, ricoperta da fedeli rappresentazioni tra mostri, pesci e draghi enormi di quelle che vorrebbero sembrare le masse dei continenti. Ah, stupefacente immaginarlo: che la Terra possa essere, una sfera? Lungo l’arco inverso che sostiene il meccanismo, immagini di sovrani e studiosi. Soltanto anni di vagabondaggi hanno permesso alla sopìta rediviva, tra le pagine di quella stessa sacra istituzione, di scoprirne l’epoca di appartenenza, associandola al nome: Cesare, Alessandro Magno e Solimano il Magnifico, come patroni della classe degli esploratori. Tolomeo e Copernico, a rappresentare gli studiosi. Ercole ed Orione, eroi perduti. Ed a seguito di questi, uno spazio vuoto, seguìto da un ritratto di quello che poteva essere soltanto Archimede, scienziato e matematico dell’Antica Grecia. Ma con abiti inadatti ed una posizione impropria nell’ideale progressione dell’artista tutt’altro che inattento per quanto concerne i dettagli della sua creazione. Dunque Shep-en-Isis pensa e interroga di nuovo tale personaggio della wunderkammer dalle proporzioni monumentali. “Dimmi la tua storia, o Sapiente.” Ricevendo questa volta una tenue risposta, stranamente pronunciata in lingua tedesca: “Noi crediamo nello spirito e nelle questioni divine dell’intelletto, il cuore ed i poteri naturali che l’uomo non può in alcun modo sperare di comprendere. Ma tale creatura, nello stesso tempo, è completamente corrotta per quanto concerne alcuna comprensione universale del Bene.” Strana, misteriosa enunciazione nichilista. Capace d’evocare, in modo trasversale, ascendenze filosofiche di una matrice ben più moderna. “Oh, grandioso Pitagorico, rivelami allorquando la tua verità celata. Quando esattamente, nel proseguo della tua esistenza postuma intercorsa, hai scelto di ri-convertirti alla Riforma dei Luterani?” Ecco allora la suprema convergenza, dei momenti e i vortici d’ignoto e conoscenza. L’abnorme miracolo dei tempi che si compie tra le pagine del tempo, mentre il volto di quella figura in qualche modo camuffata, lentamente, cominciò a mutare…
conflitti
Il dinosauro volante di Barling, triplano costruito per affondare una corazzata
Una tavola illustrata figura nella grande sala del Museo Nazionale Aerospaziale di Washington D.C, recante la dicitura “Copyright 1921, by The Chicago Tribune”. È un fumetto in cui un uomo in uniforme dal ponte di una nave ne osserva un’altra che affonda e si lamenta: “Un bersaglio stazionario e privo di difese, eppure guarda quanto ci hanno messo a bombardarlo!” Mentre nel secondo riquadro, un aviatore in volo risponde con doppia sottolineatura: “Si, ma noi l’abbiamo affondato, giusto?” Un semplice eufemismo, banalizzato e ironico, di quello che potremmo definire come un punto di svolta nella storia dei conflitti armati umani. Giacché per la prima volta era stato dimostrato come, nel campo della guerra su larga scala, il predominio aereo potesse battere quello dei mari, abbattendo essenzialmente l’ultima barriera rimasta nella costituzione di una branca delle Forze Armate dedicata a implementare questa specifico aspetto delle operazioni strategiche contemporanee. Ciascuna delle principali potenze nazionali nella prima parte del Novecento coltivò un significativo sforzo di ricerca o vari tipi di think tank finalizzato a dare forma al cambiamento, con diverse figure chiave incaricate di dar lustro all’idea. Compito rivestito principalmente, negli Stati Uniti, dal generale Billy Mitchell, eroe decorato della Grande Guerra famoso per i suoi difficili rapporti con i capi di stato maggiore, che l’avrebbero portato di fronte alla corte marziale nella seconda parte della sua carriera. Un’avversione la cui origine potrebbe essere rintracciata proprio nel frangente oggetto delle vignette del Tribune, verificatosi nel corso del Progetto B, prova tecnica da egli pianificata consistente nell’affondamento intenzionale della corazzata tedesca catturata SMS Ostfriesland, in un’operazione condotta all’inizio di quell’anno producendo risultati che potremmo definire al tempo stesso un successo e una delusione. La seconda, in modo particolare, derivante dall’allungamento dei tempi previsti, a fino a due giorni di laboriosi tentativi a largo di Virginia Beach in Florida, tanto che i detrattori della tesi di Mitchell ormai credevano sinceramente che l’impresa non potesse riuscire. E soprattutto per il modo in cui la stampa, in breve tempo, avrebbe ricevuto aggiornamenti dai superbi collaboratori del generale, trasformando l’episodio in un’opportunità di esporre le tensioni sussistenti tra i diversi capi militari del paese. Con il suo carisma e la dialettica ben collaudata, Mitchell riuscì tuttavia a ottenere una considerevole influenza da questa vittoria, soprattutto nella cerchia di determinati ambienti politici e organizzativi. Riuscendo a ricevere il via libera nella realizzazione di quella che per tanto tempo aveva costituito un’importante aspirazione di carriera: la costruzione di un primo esempio di bombardiere strategico, il tipo d’aereo concepito per raggiungere bersagli distanti, colpirli senza alcuna possibilità di salvezza, e quindi ritornare presso la sua base ben lontana dalle linee nemiche. Operazione destinata a rivelarsi, d’altro canto, molto più difficile di quanto prospettato…
La storia frammentata e il destino ignoto del tesoro che avrebbe restaurato la monarchia inglese
Fin dagli albori dell’Era Moderna, l’invenzione del concetto di politica internazionale fu sfruttato dai monarchi del tempo per ampliare e consolidare la propria sfera d’influenza, sia tramite approcci diplomatici che altri, non propriamente trasparenti in termini di legittimità e meccanismi procedurali. Quel sostanziale tipo d’ingerenze, è ciò a cui sto facendo riferimento, i cui effetti ancora oggi lamentiamo nell’instabilità inerente di determinate zone del mondo, dove l’esistenza di correnti politiche contrapposte trova l’alterno sostegno di potenze straniere, interessate in modo enfatico ad alimentare il fuoco del cambiamento. Spostandoci all’indietro lungo l’asse temporale, tuttavia, appare chiaro come tali pratiche andassero consuetamente incontro a contrattempi di natura fondamentale, dovuti soprattutto a quel fenomeno, tattico e strategico, che viene convenzionalmente definito “nebbia di guerra”. Abbagliati e fuorviati quotidianamente da notizie non verificabili, che possiamo quanto meno fare in modo di filtrare in parte grazie al senso critico, oggi non possiamo neppure cominciare a immaginare cosa volesse dire non poter disporre dei mezzi di comunicazione attuali, portando i potenti a prendere le decisioni sulla base di dispacci risalenti a settimane, se non mesi prima della data corrente. E di certo non lo avevano in mente Luigi XV di Francia e Filippo V di Spagna, quando allo scoppio della ribellione Giacobita del 1745 in Scozia decisero di comune accordo che fosse giunta l’occasione di destabilizzare gli attuali schemi di potere delle Isole Inglesi. Agevolando la potente dinastia dei protestanti Hannover, tramite il ritorno in patria del solido pretendente Charles Edward Stuart, anche detto il Bonnie Prince. Colui che, ultimo in ordine di tempo, vantava una diretta discendenza da Giacomo II d’Inghilterra, figlio a sua volta del Re cattolico decapitato Carlo II, così eliminato all’inizio della gloriosa (e sanguinosa) Rivoluzione di esattamente un secolo prima. Eroe possibile cresciuto in un confortevole esilio, per quanto potesse esserlo nella sofferta consapevolezza di aver subito un’ingiustizia di fronte alle leggi di Dio e del mondo, finché in seguito alla visita presso la sua residenza parigina di numerosi sostenitori della cosiddetta causa giacobita, si convinse di poter guidare un esercito composto dai clan scozzesi assieme ad un certo numero di alleati stranieri. Per cambiare, nel nome della giustizia, il corso sostanziale della Storia.
Fu dunque dopo il proprio sbarco ed alcune vittorie tutt’altro che decisive a Prestonpans e Carlisle, con la creazione di una corte itinerante di consiglieri e sicofanti, che l’aspirante si rese conto di come i rinforzi promessi non sarebbero mai effettivamente arrivati. Sostituiti, se non altro, da ingenti risorse pecuniarie, la cui consegna nei tempi utili si sarebbe rivelata tutt’altro che garantita. Un primo carico di 400.000 livres d’oro iniziò il proprio viaggio nel marzo del 1746, a bordo dello sloop francese Hazard, effettuando la traversata senza incidenti fino all’arrivo 20 giorni dopo presso le secche di Tongue nelle Highlands Nord-Occidentali, dove l’imbarcazione finì per restare bloccata. Poco prima dell’arrivo della fregata inglese HMS Sheerness, che costrinse gli uomini a scaricare in tutta fretta il tesoro. Ben presto catturato, senza troppe difficoltà, da membri in armi del clan Mackay, alleati del governo britannico hanoveriano. Il che sarebbe stato un mero antefatto, dell’ingente quantità di ricchezze destinate a scomparire in quei mesi caotici e decisivi…
Il castello costruito sul confine tra due mondi come chiave inespugnabile del mar Mediterraneo
Svettanti e abnormi prominenze sui confini delle terre frequentate dalle antiche civilizzazioni, le colonne d’Ercole servivano in maniera funzionale il proprio scopo mitologico e ancestrale: da una parte il monte Abila, massiccio forse corrispondente all’odierno Hacho che sovrasta l’unica città spagnola sulle coste africane. E dall’altra, la spettacolare roccia di Gibilterra, corpo monolitico formato da strati sedimentari, di calcari del Giurassico e dolomiti. Roccaforti molto più imponenti di qualsiasi costruzione eretta dagli umani, residui di una guerra tra giganti e onnipotenti esseri divini, piattaforme da cui gli occhi erano capaci di spaziare tra i continenti. Tanto fondamentali dal punto di vista strategico, soprattutto per quanto concerne quel sito diventato lungo il transito dei secoli “porta d’Europa” da rendere del tutto naturale il sanguinoso sforzo generazionale, compiuto attraverso i secoli dai frequentatori bipedi del quotidiano, per assicurarsi l’esclusiva posizione avvantaggiata nei confronti dei loro agguerriti nemici. A partire da quando, in base a fonti storiche non del tutto certificate, il potente comandante militare del Califfato Umayyade, Tariq ibn Ziyad sbarcò nel 711 d.C. con le sue navi nei più immediati dintorni, concedendo a tempo imperituro il proprio nome al grande promontorio. Che da quel momento sarebbe stato chiamato Jabal Ṭāriq, ascendenza etimologica della parola “Gibilterra”. Un sito da cui progettare e intavolare la propria conquista del regno iberico dei Visigoti, vasto e scoordinato consorzio di città relativamente indipendenti, che aspettavano soltanto di ricevere un vessillo sotto cui direzionare i propri sforzi dal punto amministrativo e situazionale. Ma prima che il sistema della Spagna islamica potesse raggiungere il proprio apice di sincretismo e prosperità, ogni rifornimento, ciascuna compagine fornita di armi e vettovaglie dovette poter essere tenuta al sicuro. E non è perciò improbabile che proprio in questo luogo, le truppe dei cosiddetti Mori potessero aver iniziato la costruzione di un elevato castello. Ciò detto e nonostante l’estensione impressionante che tale struttura avrebbe raggiunto a distanza di tre o quattro secoli, sono sorprendentemente poche le fonti storiche da cui trarre approfondite nozioni, almeno fino alla prima riconquista ad opera di truppe cristiane di Castiglia nel 1309 e la successiva cattura da parte della dinastia islamica dei Merimidi 24 anni dopo, a seguito di un assedio durato mesi e dal costo in termini di vite umane assolutamente non trascurabile. Cui fece seguito la demolizione dei terrapieni e palizzate esistenti, per costruire qualcosa che potesse risultare assai più duraturo, mediante l’uso di pietra calcarea estratta localmente e i mattoni rossi tipici dell’architettura magrebina: la prototipica Medina al-Fath, o Città della Vittoria. Un castello destinato a vedere tali e tante battaglie da restare persino oggi, a seguito della propria parziale distruzione, un luogo che sconfina nel più mistico ed evanescente regno della Leggenda…
					


