Il castello costruito sul confine tra due mondi come chiave inespugnabile del mar Mediterraneo

Svettanti e abnormi prominenze sui confini delle terre frequentate dalle antiche civilizzazioni, le colonne d’Ercole servivano in maniera funzionale il proprio scopo mitologico e ancestrale: da una parte il monte Abila, massiccio forse corrispondente all’odierno Hacho che sovrasta l’unica città spagnola sulle coste africane. E dall’altra, la spettacolare roccia di Gibilterra, corpo monolitico formato da strati sedimentari, di calcari del Giurassico e dolomiti. Roccaforti molto più imponenti di qualsiasi costruzione eretta dagli umani, residui di una guerra tra giganti e onnipotenti esseri divini, piattaforme da cui gli occhi erano capaci di spaziare tra i continenti. Tanto fondamentali dal punto di vista strategico, soprattutto per quanto concerne quel sito diventato lungo il transito dei secoli “porta d’Europa” da rendere del tutto naturale il sanguinoso sforzo generazionale, compiuto attraverso i secoli dai frequentatori bipedi del quotidiano, per assicurarsi l’esclusiva posizione avvantaggiata nei confronti dei loro agguerriti nemici. A partire da quando, in base a fonti storiche non del tutto certificate, il potente comandante militare del Califfato Umayyade, Tariq ibn Ziyad sbarcò nel 711 d.C. con le sue navi nei più immediati dintorni, concedendo a tempo imperituro il proprio nome al grande promontorio. Che da quel momento sarebbe stato chiamato Jabal Ṭāriq, ascendenza etimologica della parola “Gibilterra”. Un sito da cui progettare e intavolare la propria conquista del regno iberico dei Visigoti, vasto e scoordinato consorzio di città relativamente indipendenti, che aspettavano soltanto di ricevere un vessillo sotto cui direzionare i propri sforzi dal punto amministrativo e situazionale. Ma prima che il sistema della Spagna islamica potesse raggiungere il proprio apice di sincretismo e prosperità, ogni rifornimento, ciascuna compagine fornita di armi e vettovaglie dovette poter essere tenuta al sicuro. E non è perciò improbabile che proprio in questo luogo, le truppe dei cosiddetti Mori potessero aver iniziato la costruzione di un elevato castello. Ciò detto e nonostante l’estensione impressionante che tale struttura avrebbe raggiunto a distanza di tre o quattro secoli, sono sorprendentemente poche le fonti storiche da cui trarre approfondite nozioni, almeno fino alla prima riconquista ad opera di truppe cristiane di Castiglia nel 1309 e la successiva cattura da parte della dinastia islamica dei Merimidi 24 anni dopo, a seguito di un assedio durato mesi e dal costo in termini di vite umane assolutamente non trascurabile. Cui fece seguito la demolizione dei terrapieni e palizzate esistenti, per costruire qualcosa che potesse risultare assai più duraturo, mediante l’uso di pietra calcarea estratta localmente e i mattoni rossi tipici dell’architettura magrebina: la prototipica Medina al-Fath, o Città della Vittoria. Un castello destinato a vedere tali e tante battaglie da restare persino oggi, a seguito della propria parziale distruzione, un luogo che sconfina nel più mistico ed evanescente regno della Leggenda…

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150 anni dal caso della Mary Celeste: l’inspiegabile scomparsa di un intero equipaggio in mare

Era stata una fortuna che il clima si trovasse in una fase tranquilla, durante l’avvicinamento del brigantino Dei Gratia allo strano vascello non così diverso avvistato a largo delle Azzorre, in quel fatidico 4 dicembre del 1872. Il capitano Morehouse, osservando lungamente il ponte con il suo cannocchiale, si era presto fatto un’impressione, in merito alla strana convergenza di fattori privi di una logica evidente. Perché la simile Mary Celeste, unica identificazione possibile in funzione di tempo, bandiera, aspetto e luogo, si trovava in quel punto piuttosto che a metà strada per lo stretto di Gibilterra, verso la sua destinazione che il suo primo ufficiale gli aveva ricordato essere il porto italiano di Genova? Per quale ragione l’equipaggio aveva ammainato a metà le vele, in assenza di venti pericolosi, nell’apparente attesa del verificarsi di particolari… Fattori esterni? Ma soprattutto, dove diamine erano tutti, vista l’assoluta e evidente desertificazione di quel ponte surreale? Una volta sceso nella iolla, lancia d’ordinanza nelle navi canadesi utilizzabile anche in situazioni d’emergenza, ed avvicinandosi allo scafo assieme a quattro marinai, notò quindi come la scialuppa del possibile relitto fosse inspiegabilmente assente dall’aggancio in corrispondenza della murata. Lanciata la fune con l’utile rampino, aspettò quindi mentre il giovane mozzo saliva a bordo, per assicurare un punto d’accesso di più facile utilizzo. Una volta salito a bordo, le sue scoperte lo avrebbero lasciato del tutto senza parole…
Otto uomini e due donne partono ad ottobre dal molo 50 di New York, con le migliore prospettive e aspettative per il futuro. Non persone qualsiasi, per la maggior parte, bensì veterani della vita di mare, guidati da un capitano esperto impiegato da un consorzio commerciale che in quel caso fatidico, aveva addirittura pensato di portare con se moglie e figlia, affinché potessero sperimentare finalmente le molte meraviglie e il fascino della distante Europa. A giustificare il viaggio, un carico non propriamente semplice da gestire, ma di un tipo non del tutto inaudito: 1.701 barili d’alcol puro, destinato ad aumentare la gradazione del vino italiano (una pratica imprudente che, purtroppo, all’epoca veniva giudicata del tutto normale). Il nome del comandante: Benjamin Spooner Briggs, un cristiano osservante che credeva, paradossalmente, nell’astinenza dall’assumere qualsiasi tipo di bevanda inebriante. Ma anche un uomo affidabile, capace, noto per la sua magnanimità nel risolvere le problematiche nate dalla gestione degli equipaggi. Nulla d’insolito campeggiava all’orizzonte e non c’era ragione, a tal proposito, d’immaginare incidenti prima dell’approdo a destinazione…

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