Nell’oscurità dello spazio, a migliaia di chilometri dalla superficie, osservo la rifrazione luminosa dell’alba al confine tra il pianeta ostile ed il nulla. La potente tuta da combattimento che racchiude il mio essere, rigida ed opprimente, non fa che accrescere il cupo senso di attesa: fra pochi minuti il reattore a fusione della nave stellare governativa, liberata l’energia al suo interno, trasformerà la mia pesante armatura nella risorsa più potente di questa inumana guerra interstellare. Di fronte a me i derelitti soldati della Section 8 caricano i fucili, controllano la dotazione di esplosivi, attivano le estensioni del loro sistema operativo. “Tre minuti al lancio” mentre l’I.A. del computer di bordo chiama uno dopo l’altro i nomi dei miei gregari per l’assalto di oggi, li vedo sparire in rapida successione attraverso le aperture nel pavimento d’acciaio. Mi chiedo brevemente quante tonnellate di munizioni anti-aeree stiano salendo ad incontrarci, e se provino anche loro dei sentimenti “Due minuti” la capsula meccanizzata, simile ad una bara di metallo sospesa nel vuoto, si affretta nel completamento del suo lavoro. Il lanciarazzi da incursione viene assicurato al mio equipaggiamento. Controllo per l’ultima volta lo schermo del fucile d’assalto: “Computer, proiettili ad incudine e sistema di puntamento al secondo livello della scala tattica” un regalo speciale per i reparti scelti di ARM. Il sistema compensa l’aumento del peso dell’arma con la riduzione dello scudo ad energia – “Alex Corde, prepararsi al lancio” la maschera protettiva del mio casco spaziale si chiude con il breve sibilo di un crotalo infuriato, quando perdo improvvisamente il senso dell’orientamento. La testa in avanti, percepisco più che vedere il condotto di lancio che sto percorrendo in accelerazione crescente verso 14.000 metri di vuoto, l’impatto terrificante contro il suolo granitico della città assediata e l’esaltazione della battaglia. Le chiazze di fumo dei flak nemici sembrano oscure meduse sospese nell’aria rarefatta.
Mese: Settembre 2009
Console game review: Batman Arkham Asylum
Il punto forte del publisher inglese Eidos Interactive è la capacità di integrare i più alti valori di produzione con il lavoro di team di sviluppo relativamente oscuri, per lo meno fino al momento della loro trionfale entrata sul mercato. La fiducia concessa in tempi non sospetti ai Core Design, sviluppatori nell’epoca Amiga dei pur ottimi Thunderhawk e Wolfchild (1992, 1993) porta pochi anni dopo all’introduzione di uno dei personaggi oggi più famosi nel mondo dei videogiochi: l’archeologa “d’azione” Lara Croft. In tempi più moderni, mosse simili sono valse all’imprevisto successo di grandiose produzioni multi-episodio come l’innovativo Thief, iniziatore del sotto-genere degli sneaking games in Occidente (1998, Looking Glass) l’esoterico Soul Reaver (1999, Crystal Dynamics) ed il cinico e spietato Hitman (2000, IO Interactive). E’ cosi che tra gadget tecnologici, combattimenti super-eroistici a mani nude e sezioni stealth dalle tattiche ninja-commando Batman: Arkham Asylum potrebbe definirsi l’epica convergenza di oltre 15 anni di esperienza nella produzione di giochi di azione e furtività. Solo che, ancora una volta, la Eidos ha deciso affidare le sue ingenti risorse ad una software house praticamente mai sentita prima – gli inglesi Rocksteady Studios – per di più al loro secondo gioco in assoluto e con il compito di rappresentare uno dei personaggi più popolari e conosciuti al mondo. I super eroi hanno, tra l’altro, la reputazione di venire spesso utilizzati come protagonisti di giochi dalla qualità piuttosto bassa, lanciati in tutta fretta per l’uscita di un nuovo film o messi insieme solo per sfruttare la popolarità del personaggio. La situazione era estremamente pericolosa per il cavaliere oscuro, mentre dicendeva nei labirinti sotterranei di uno dei luoghi più misteriosi ed inquietanti di Gotham…