È uno dei paradossi più imprevisti della natura il fatto che a profondità abissali, lontano dalla luce rivelatoria dell’astro solare, sia presente il maggior numero di adattamenti ottici prodotti dall’evoluzione animale. Pesci che impiegano la propria esca che risplende, l’illicium posto innanzi a fauci sempre pronte a serrarsi; esseri fosforescenti al fine di trovarsi quando necessario, o lampeggiare all’improvviso per scoraggiare l’assalto dei predatori. Ed occhi dalle dimensioni superiori alla media, per riuscire a scorgere il più minimo tra gli accenni di movimento. Il genere di seppie Histioteuthis del Pacifico può rappresentare, in tal senso, un riassunto vivente di molte di queste caratteristiche, concentrate nella sagoma sfuggente di una singola creatura. Concepita dall’evoluzione per nutrirsi di crostacei, cefalopodi più piccoli e l’occasionale pesciolino di passaggio, mentre elude a sua volta la predazione da parte di tonni, focene, squali, balene o foche. Predatore e preda allo stesso tempo dunque in un ambiente straordinariamente competitivo, non c’è molto da sorprendersi del fatto che tale creatura abbia ritrovato concentrate in se stesse un’alta percentuale di specifici adattamenti al proprio habitat piuttosto particolare. Che la vede prosperare a profondità notevoli, di fino a 7-800 metri, principalmente lungo il tragitto delle correnti della California e di Humboldt, talvolta all’interno di canyon oceanici dove soltanto rare spedizioni scientifiche possono affermare di essere penetrate. Il che spiega, almeno in parte, l’apparente discrepanza riscontrabile online sul tema delle sue dimensioni, che non supererebbero secondo alcune fonti gli 8-9 cm, mentre in base ai dati presenti in altri studi sono stati avvistati maschi il cui mantello o corpo principale si estendeva per 20 o più, con un traino di tentacoli capace di raggiungere un metro. Il che ci lascia sempre ben lontani, d’altronde, rispetto all’imponenza impressionante della seppia o il calamaro abissale, probabili protagonisti d’antiche elucubrazioni sui mostri marini. Quasi niente, d’altra parte, parrebbe massimizzare un aspetto mostruoso in queste distanti cugine, la cui pelle ricoperta di fotofori equamente distanti è alla base del soprannome di “seppie fragola” (particolarmente riferito alla specie H. heteropsis) il cui altro tratto dominante può comunque suscitare un certo senso di disagio alquanto rilevante. Giacché una così marcata asimmetria, nella forma e dimensione dei bulbi oculari, non è certo comune in natura, ricordando vagamente l’aspetto di possibili alieni o creature da incubo con possibili condizioni cliniche latenti. Laddove non c’è niente di più utile, laggiù, che poter scrutare due aspetti dei dintorni allo stesso tempo…
Perfettamente realizzata nelle proprie priorità sensoriali necessarie a prendere la mira con l’eventuale getto d’inchiostro (misura che usa raramente, se può evitarlo) la seppia fragola può in tal senso vantare un’approccio visuale dall’elevato grado di efficienza, se non necessariamente una complessità ed attenzione ai dettagli paragonabili a quelle di molte creature di superficie. A questo servono, nello specifico, i due occhi ineguali di cui uno piccolo e bluastro, l’altro più che doppio nelle dimensioni e sporgente fuori dal profilo del corpo, con una colorazione giallo-verde utile a filtrare i raggi ultravioletti distanti. Ciò per la prerogativa della seppia, approfonditamente descritta in vari studi scientifici di cui l’ultimo del 2017 (Thomas, Robison, Johnsen) a nuotare in posizione stabile con l’organo più piccolo rivolto verso il basso e l’altro, in chiara contrapposizione, verticalmente perpendicolare al bagliore soprastante dei raggi solari. Una propensione largamente motivata dalle prerogative e necessità di ciascuno, visto il modo in cui l’occhio inferiore risulti abile a scorgere con facilità la luminescenza biologicamente prodotta da eventuali prede o nemici; mentre l’altro si occupa del compito, più complicato, di decodificare ombre o sagome che smorzano l’invasione fotonica delle oscure profondità marine. Una conclusione plausibile ma che ancora presenta oppositori nel mondo accademico, vista l’attitudine acclarata di queste creature a spostarsi verso la superficie in cerca di prede soltanto durante le ore notturne, proprio quando l’oscurità e pressoché totale e il loro occhio “sovradimensionato” dovrebbe risultare, in conseguenza di ciò, decisamente poco utile nello schema generale delle cose. Così come l’incertezza domina molti aspetti negli studi approfonditi della seppia fragola, a causa dell’ambiente straordinariamente irraggiungibile e remoto in cui vive, probabilmente in buona parte responsabile del suo stato di conservazione considerato privo di minacce evidenti. Fosse stato possibile farlo, d’altronde, non è difficile immaginare un continuo flusso di esemplari catturati verso gli acquari domestici, per l’eccezionale aspetto esteriore di questa creatura del tutto unica al mondo. Poco conosciuto anche l’aspetto ed abitudini riproduttive, dal punto di vista anatomico basato sul possesso da parte del maschio di un pene estensibile ma nessun tipo di hectocotylus, il tentacolo specializzato utilizzato da altre specie di seppie per trasferire lo spermatoforo direttamente all’interno delle ovaie della compagna. Misteriosa resta anche la maniera in cui, esattamente, i due possano riuscire a trovarsi nel paradossale vuoto dell’Oceano mai davvero sopito.
Per tornare a tal proposito alla questione della della pelle altamente caratteristica di queste esperte nuotatrici, responsabile frequentemente del modo in cui vengono paragonate alternativamente a gelati alla frutta o accessori di moda ricoperti di brillantini, sarà possibile allinearci alla teoria dominante, che vedrebbe tale caratteristica motivata dai due bisogni apparentemente contrapposti di segnalare e nascondere la propria presenza. Questo per il modo in cui i fotofori luminescenti o “puntini” della fragola, producendo il proprio tenue lucore, contribuirebbero alla discontinuità della sagoma visibile dell’animale, rendendo praticamente impossibile individuarlo mentre lo si guarda dal basso. Per chiunque tranne i possessori, non a caso, di un grande occhio specializzato perennemente intento nel suo oscuro scrutare. Il vero segno di colui o colei che ha conquistato le incertezze ottiche di un buio senza termini di paragone. E la necessità imprescindibile, nonostante questo, di continuare insistentemente a definire i termini del proprio ultra-perfezionato stile di vita.