Metallo che ruggisce tra i radiocomandi nati sotto il segno del cataclisma

L’arte all’epoca di Internet non ha le regole e non ha la progressione tipica di alcun ambito accademico o struttura formalmente incaricata di commentarla. Il che significa, in parole povere, che l’iniziativa autogestita di un appassionato può vantare esattamente lo stesso potere mediatico del pluripremiato rappresentante di una scuola o discendenza professionalmente affermata, grazie al plebiscito popolare, idealmente autonomo, dei suoi lavori giudicati degni dalle moltitudini indivise. Un processo con diversi aspetti negativi, vedi il modo in cui preclude un piedistallo a chi persegua metodi o messaggi non del tutto palesi; ma garantisce, se non altro, la maggiore visibilità di colui o coloro che dimostrano capacità tecniche, in determinati ambiti, al di sopra della media umana. Settori presumibilmente inesplorati in precedenza dal senso comune, come quello di creare automobili o motociclette con radiocomando che ospitano veri e propri animatronic esuberanti, autonomi, vivaci nelle presumibili aspirazioni ed espressioni evidenti. Rappresentazioni fuoriuscite dalla mente di un creativo come l’australiano Danny Huynh, famoso ormai da 10 anni per la propria interpretazione estremamente personale di cosa possa rappresentare un mezzo di trasporto in scala, completato da piloti tanto riconoscibili quanto stupefacenti, nel nuovo e incomparabile contesto d’appartenenza. Così emerge per esempio, verso l’inizio dello scorso mese, la sua ultima creazione di una hot-rod con il motore esposto e la carlinga a forma di sigaro, ove campeggia prepotente la Union Jack, ai cui comandi appare il personaggio e macabra mascotte del gruppo inglese degli Iron Maiden, Eddie the Head, con cappello e occhiali da aviatore, quella che sembra una tuta di volo strappata in più punti. E alle sue spalle, schiena contro schiena, il “gemello” con un grosso sigaro stretto in bocca, intento ad armeggiare con una mitragliatrice a canne rotanti. Il che sarebbe già abbastanza notevole, anche senza prendere atto di come i due si muovano in modo realistico, inclinandosi nelle curve del breve video dimostrativo, puntando in giro l’arma mentre i cilindri rotativi del motore esposto paiono imitare la doppia elica di un ipotetico Avro Lancaster o la mitica fortezza volante B-17. Espressione, se vogliamo, maggiormente valida della rule of cool, potente linea guida del mondo immaginifico contemporaneo, ove dovrebbe essere l’innato senso della meraviglia e iniziativa immaginifica del fruitore, a crearne conseguentemente un contesto. Approccio, quest’ultimo, davvero molto valido a comprendere il potere comunicativo delle opere di un tanto eclettico autore, sia magnifiche che terribili, al tempo stesso impressionanti e volutamente rimediate nel proprio aspetto derelitto e “vissuto”…

Eppure nonostante ciò, emerge un filo conduttore nella poetica e l’estetica di un hobbista portato alle estreme conseguenze, in cui l’abilità manuale incontra l’evidente necessità percepita di mostrare la mondo qualcosa di Nuovo, il merito di un discorso in grado di alterare il paradigma immanente. Come avvenuto con la creazione circa un paio di anni fa di quello che costituisce senza dubbio il suo personaggio originale di maggiore popolarità, il robot antropomorfo Blower Head, un incrocio notevole tra la testa a forma di binocolo dell’eroica macchina pensante degli anni ’80, Johnny 5 del film Corto Circuito di John Badham, il corpo muscoloso di un Terminator e la preminente cresta ossea, in questo caso sostituita da tubi di scappamento cromati, dell’Alieno Xenomorfo disegnato da H.R. Giger per l’omonima e contemporanea pellicola con Sigourney Weaver. Un riferimento accentuato, nel caso del suo riuscito Chainsaw Trike (triciclo a motosega) del 2022 che costituisce, ad oggi, il video più guardato e commentato dell’autore online, dall’inclusione totalmente gratuita ma assolutamente appropriata del logo della Weyland Yutani, l’immaginaria corporazione militarista che ricorre come forza malevola nell’universo cinematografico di James Cameron. Benché lungi dall’appartenere ad una sequenza altrettanto ragionevole di eventi ed episodi immaginari, il misterioso Blower Head ricorra in molteplici varianti e situazioni sorprendenti, come i diorami occasionali (non semoventi) creati da Huynh, in cui il robot solleva immensi manubri da palestra, suona strumenti musicali o inscena pose degne di James Bond nella sigla di uno dei suoi molti film senza tempo. Mentre in vari casi viene pesantemente modificato, per l’inclusione ad esempio di una action-camera sopra le spalle, successivamente utilizzata per mostrare video “in prima persona” del personaggio impegnato a guidare o piegarsi da un lato all’altro del suo iper-aggressivo motociclo di turno. Mentre lo stesso avviene nel caso delle quattro ruote, con movimenti altrettanto dettagliati nel premere l’acceleratore o girare il piccolo e superfluo volante. Il che non esaurisce di suo conto in alcun modo l’opera e creatività dell’artista, vista la quantità di pezzi tra gli oltre 400 video creati sulla base di altri esempi dell’estetica pop contemporanea, con motociclette ove campeggiano animate riproduzioni di personaggi prelevati da fumetti come Batman o Hellboy, da videogiochi tra cui Borderlands o altre icone della cinematografia d’azione quali Mad Max o John Wick. Spesso o almeno in apparenza ricavati da action figure ed altri elementi, per così dire, off-the-shelf, benché pesantemente modificati e non soltanto dal punto di vista tecnico, nell’alterazione necessaria a muoversi secondo i crismi e le modalità del proprio mezzo di trasporto. Altrettanto notevoli risultano, in effetti, gli abiti indossati dai personaggi, fedeli e dettagliate riproduzioni che sembrano create su misura, in base ai crismi della moda urbana contemporanea. Un’ulteriore conferma, se vogliamo, dell’ineccepibile attenzione ai dettagli di questo artista.

Provenendo dunque dall’universo dei social e del passaparola, Danny Huynh (che non vende e non commercializza le sue opere) si configura per palese scelta come l’ennesima figura misteriosa di cui nome e cognome costituiscono, a conti fatti, quasi tutto ciò che possiamo aspirare a conoscere o approfondire nel tentativo di adattargli un contesto. Fatta eccezione per una singola quanto breve intervista rilasciata nel 2015 alla testata online RC Car Action, nella quale ci racconta di essere un fotografo ed aver studiato in una scuola d’arte, pur essendo a tutti gli effetti un autodidatta nel settore oggettivamente tanto atipico dell’assemblaggio e personalizzazione di modellini con radiocomando. A partire, per l’appunto, dall’esperienza di condivisione iniziata nel 2012 assieme ad un suo amico, poco prima che iniziasse ad investire tempo considerevole e risorse nel creare il proprio mondo di una creatività quasi del tutto priva di riferimenti. A partire proprio, prosegue nella spiegazione, dalle infinite variazioni del modello a lui particolarmente caro della Axial Wraith, un tipo di fuoristrada 1:10 dal telaio geometricamente semplice e per questo facile da adattare alle necessità di turno. Con i risultati che non possiamo semplicemente fare a meno, per quanto ci riguarda, di ritrovarci ad ammirare. E chi può dire quali o quanti altri eroi dell’impossibile potranno emergere, tra scintille e fuoco dei carburatori, dalle camere della sua officina situata ai margini dell’apparenza evidente…

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