Sacri divoratori: i molti miracoli dei santini “da deglutizione”

Fra Cristoforo camminava di buona lena lungo il vicolo parallelo alle vecchie mura di Bamberga. Secondo la sua esperienza d’altronde, non era la cosa migliore arrivare troppo presto nella dimora che aveva inviato un messaggio sulla collina del suo convento, né troppo tardi. La guarigione costituiva, nella maggior parte dei casi, una questione di fede e ciò era vero in quell’anno 1723, come cinque secoli prima della fondazione del Sacro Romano Impero. Ogni contributo diretto da chi poteva proporre un metodo, d’altra parte, poteva risultare funzionale allo scopo. Il che costituiva la ragione per cui il giovane Bogusch veniva inviato, di tanto in tanto, a chiedere l’aiuto degli ecclesiastici ed in modo particolare l’accesso alla loro risorsa più celebrata. Che non era più, a quei tempi, la conoscenza delle erbe medicinali o le nozioni apprese negli antichi testi redatti dai latini, bensì qualcosa di molto più moderno e soddisfacente: la pressa da stampa donata dal borgomastro, e tutto ciò che tendeva a derivarne; libri delle ore, wettersegen (talismani del tempo) ed il più economico dei medicinali: una piccola riproduzione su carta della Madonna raffigurata sulla pala d’altare del convento, opera di un manierista senza nome, le cui intercessioni salvifiche risultavano ormai largamente discusse in tutta l’Alta Franconia. Ora Cristoforo, dopo aver saltato un sospetto rigagnolo con i piedi scalzi che caratterizzavano il proprio ordine, bussò alla porta che gli era stata indicata, mentre già sollevava in una mano la ciotola delle offerte, mentre nell’altra stringeva saldamente la cartellina con il suo carico di preziosissime figurine. Naturalmente, la presentazione era importante, così come poteva risultare funzionale offrire ai fedeli l’opportunità di scelta. La figlia del mugnaio, trasferitasi nel borgo dopo aver sposato il proprietario della taverna, aprì quindi la porta presentandosi con le mani giunte ed un’espressione di profonda gratitudine. “Reverendo, grazie a Lui siete venuto. Le condizioni di mio figlio non sembrano migliorare. Speravamo che lei potesse fare qualcosa per lui…” Ora la donna una volta depositato l’obolo lasciò sfumare il suggerimento che campeggiava, evidentemente poco oltre la soglia della sua coscienza, mentre l’ecclesiastico fece un inchino educato e rispose con una formula di rito. Quindi annuendo con fare professionale, intascò le monete, varcò l’uscio e si lasciò condurre fino alla camera del malato. Il ragazzo era sdraiato sul letto con accanto una governante, mostrando un’aria provata ma nessun segno che fosse eccessivamente grave. Un candidato perfetto! Pensò Cristoforo, prima di annunciare ad alta voce: “Signore mie, fortunatamente ho qui la cura perfetta per questo tipo d’afflizione. Passando ho notato che avete già versato dell’acqua e l’avete posta sul tavolo: ci servirà. Ora tirerò fuori il mio repertorio.” Senza ulteriori indugi, egli produsse dunque un paio di forbici e una serie di fogli di carta, disposti ordinatamente sopra le lenzuola che coprivano il giovane, ciascuno raffigurante un susseguirsi d’identiche immagini sacre: santi circondati da grandi aureole, ripetizioni illuminate del titulus crucis, varie versioni della Natività ed iconografie dello Spirito Santo… “Che il Signore guidi la vostra scelta.”

Per tutta l’epoca medievale ed il primo Rinascimento la Chiesa si preoccupò profondamente di rendere chiara un’importante distinzione: quella tra stregoneria e preghiera, entrambe finalizzate a modificare in positivo l’andamento naturale degli eventi. Ma laddove la prima intendeva imporsi attraverso gesti, parole o iniziative di mimesi procedurale, la seconda chiedeva piuttosto l’aiuto di un Dio benevolo o dei suoi molteplici santi ed angeli dediti alla protezione della collettività cristiana. Il che non significava, d’altronde, che determinati princìpi di funzionamento dei contrapposti approcci dovessero risultare inerentemente così diversi. Vedi il potente ruolo avuto dai simboli e ciò che poteva provenire, in determinate circostanze, dalle allegorie. Una casistica senza dubbio rilevante nel caso non frequentemente discusso delle cosiddette immagini da deglutizione, o in lingua tedesca schluckbildchen. Di cui sappiamo soltanto quello che è stato possibile desumere dai pochi esemplari ritrovati integri, data l’appartenenza al reame popolare distante dalla letteratura medica propriamente detta, oltre alla specifica modalità d’utilizzo di tali semplici manufatti cartacei. Spesso stampati su fogli con multipli riquadri rettangolari, ciascuno dei quali doveva essere ritagliato, sciolto nell’acqua e senza particolari indugi, mandato giù per l’esofago da chi voleva chiederne l’aiuto. Ce n’erano molti tipi e non tutti avevano funzioni taumaturgiche: chi voleva favorire un miglior raccolto, ad esempio, era solito consumare un’effige di Sant’Isidoro; colui che stava per intraprendere un lungo viaggio poteva gustare la figura di San Cristoforo; chi si trovava in situazione d’indigenza finanziaria preferiva invece Sant’Omobono. Le riproduzioni d’immagini ecclesiastiche maggiormente celebri, nel frattempo, andavano sempre per la maggiore risultando connessi ai miracoli che potevano effettivamente prolungare la vita delle persone. Tali soggetti venivano considerati un importante ausilio ai luoghi di pellegrinaggio, riproducendo le sante reliquie anche in cera da sminuzzare e squagliare, diventando una metodologia concessa ai pellegrini per assumere dentro di se la santità di tali luoghi, trasformando in cibo la cosa più prossima dell’oggetto al centro della loro laboriosa venerazione.
Osservata con interesse da parte degli organi di censura ecclesiastica, la pratica dei foglietti commestibili veniva largamente tollerata senza particolari intenti di moderazione, benché ciò avesse permesso in determinati periodi la proliferazione di ciarlatani, i cui prodotti meno che autentici venivano soggetti all’imposizione di una sorta di copyright ante-litteram. Si supponeva d’altronde che uno schluckbildchen autentico dovesse prevedere nella propria composizione un qualche tipo di breve preghiera o brano della bibbia in latino, la cui incomprensione da parte dei compratori accresceva in qualche modo il valore mistico ed ermetico del suo potere al di sopra del consueto. L’assunzione dell’infuso di mera cellulosa ed inchiostro prendeva dunque il nome di gratia medicinalis, assumendo talvolta le modalità di un vero e proprio rituale. Che in determinati casi, come nel caso moderno del placebo, poteva sortire un qualche tipo d’effetto benevolo sul paziente. Non che gli esponenti del popolo, di loro conto, fossero generalmente predisposti a ricevere l’attenzione di un’effettiva categoria professionale dedita allo studio e comprensione effettiva dell’organismo umano. Ed ogni prassi potesse in qualche modo essere ricondotta ad un’antica tradizione o sapienza degli antichi veniva tenuta in altissima considerazione.

L’ostia della febbre o charta combusta era d’altronde una tradizione risalente al tardo periodo dell’Impero Romano d’Occidente, quando ai malati venivano somministrate varie tipologie d’incantesimi da mescolare all’impasto del pane o altre tipologie di cibo. Così come risaliva alle trascorse generazioni la pratica di coloro che raschiavano l’argilla delle immagini dei templi o gli affreschi contenuti all’interno, la cui consumazione poteva lenire in linea di principio pressoché ogni male. In seguito e con il propagarsi del Cristianesimo, tali pratiche vennero associate alla pratica di arti occulte e per questo formalmente vietate nelle giurisdizioni dei principali Regni ed Imperi europei. Benché talune usanze connesse, come l’assunzione di pane decorato con il quadrato magico del SATOR continuasse ad essere praticato, ogni qual volta qualcuno veniva morso da un cane, al fine di scongiurare la contaminazione con il morbo della rabbia. Un destino, sotto molti punti di vista, peggiore della morte.
E dopo tutto cosa c’era, sulla base della nostra prospettiva scientifica dotata della lente dell’oggettivo giudizio, di negativo? L’ostia cartacea o stregonesca che dir si voglia offriva una via di rivalsa a chi non poteva semplicemente cercarne altrove. E le superstizioni popolari di questo tipo, contrariamente ad altre metodologie ed approcci coévi, non arrecavano particolari danni alle persone. A meno che si scelga d’includere tra essi l’alimentazione di remote speranze, che poi costituisce in certo senso, innegabilmente, la natura ed il significato stesso del gesto della preghiera.

Lascia un commento