E se i fiumi dell’Amazzonia venissero invasi da pesci fluorescenti creati in laboratorio?

La questione sarebbe già di per se piuttosto insolita anche senza considerare le sue implicazioni in merito alla modificazione dello stato naturale delle cose. Quanto spesso, in effetti, ci è stata offerta l’opportunità di acquistare commercialmente organismi vivi geneticamente modificati? E con ciò non intendo, frutto di una selezione attentamente calibrata dei fenotipi, attraverso l’accoppiamento guidato di specifiche razze o varietà animali. Ma creature cambiate nella loro essenza proprio grazie alla manipolazione in laboratorio, veri e propri ibridi frutto di avanzate tecniche scientifiche finalizzate all’ottenimento di specifici risultati. Un principio operativo di per se abbastanza sconvolgente, anche quando i suddetti paiono del tutto innocui per portata ed ambito d’applicazione circostanziale. Immaginate dunque lo stupore, e il senso d’inquietudine, sperimentato da André Magalhāes dell’Università Federale di São João del-Rei quando durante uno studio in merito alla popolazione dei ciclidi nell’estensivo sostrato idrografico del proprio stato di Minais Gerais si è ritrovato non una, bensì cinque volte tra le mani un esemplare del piccolo pesce zebra o Danio rerio non delle normali tonalità strisciate o variopinte. Bensì assolutamente monocromatico ed alquanto incredibilmente, brillante al buio. Circostanze capaci di far sospettare la presenza di un fattore contaminante radioattivo, o altro agente chimico venuto in contatto con l’embrione durante il suo sviluppo, almeno finché non si ripercorre brevemente la storia pregressa dell’allevamento artificiale di queste creature a partire dagli anni duemila. Giungendo con le proprie ricerche all’interno di un particolare laboratorio di Singapore, dove il Dr. Zhiyuan Gong aveva dato inizio nel 1999 ad un progetto con finalità dichiaratamente benefiche per l’ambiente. Partendo da un quesito bizzarro, ma potenzialmente efficace: “E se particolari pesci fossero capaci di agire come campanelli d’allarme, brillando in funzione dell’inquinamento acquatico?” Il che avrebbe portato, poco dopo la deposizione del brevetto per l’aggiunta di geni prelevati da meduse ed altri cnidari ai ciclidi in questione, alla creazione di un tipo di pinnuto mostro di Frankestein, che brillava pressoché costantemente e poteva farlo in base ai casi con colori come giallo, rosa, blu elettrico, rosso intenso… Una letterale e impossibile da trascurabile opportunità di guadagno nel settore della vendita agli hobbisti dell’acquario, tanto che entro il 2003 una compagnia statunitense, la texana Yorktown Technologies, si sarebbe fatta avanti per acquistare i diritti di vendita dei singolari mutanti nel contesto dell’intero mercato internazionale. Era la nascita del marchio registrato GloFish (gioco di parole tra glow – brillante + goldfish – pesce rosso) e tutto quello che ne sarebbe derivato…

Ora la presenza effettiva di pesci fluorescenti in Brasile è un caso piuttosto preoccupante soprattutto perché la commercializzazione di tali creature nel paese è nominalmente vietata come da legge promulgata nel 2020 ad opera dell’IBAMA (Istituto per l’Ambiente) così come l’Unione Europea si era già preoccupata praticamente da subito di proibire tali organismi con normative specifiche finalizzate alla tutela di quella manciata di ambienti ecologicamente incontaminati che continuano a sussistere nei territori nostrani. Questo a causa delle problematiche effettivamente elencate e teorizzate dallo stesso Magalhāes, in uno studio scientifico alquanto allarmista pubblicato nell’agosto del 2020 attraverso la testata di studi neotropicali della Taylor & Francis. Dove si fa menzione delle già notevoli problematiche causate dalla specie Danio rerio negli ambienti locali, a causa della notevole voracità di questo abitante onnivoro di laghi e torrenti del Sud dell’Asia, perfettamente capace di superare i colleghi brasiliani nella competizione per il controllo di particolari nicchie ecologiche. Casistica cui si rende necessario aggiungere, allo stato attuale dei fatti, gli incontrollabili e potenzialmente deleteri effetti di un OGM come il GloFish, la cui bizzarra varietà di colori, teoricamente uno svantaggio nel passare inosservati dai predatori, potrebbe idealmente essere interpretata da questi ultimi come un tratto aposematico, ovvero la segnalazione di tossicità o veleni contenuti all’interno dell’organismo in questione. Mentre l’oggettivamente ottima capacità di riprodursi dei ciclidi, in questo caso, apparirebbe ulteriormente potenziata dalla propensione apparentemente collaterale dei zebrati fluorescenti a raggiungere la maturità sessuale in tempi ulteriormente ridotti, vedendo potenzialmente aumentare la popolazione anche a discapito delle varietà prodotte autonomamente dalla natura.
Il grido d’allarme lanciato dal ricercatore locale non avrebbe visto nel frattempo ritardare troppo a lungo una risposta in ambito statunitense, proveniente dal biologo William Muir dell’Università Purdue di West Lafayette (Indiana) pronto a definirlo addirittura “uno studio sul nulla”. Ciò facendo riferimento alla propria stessa ricerca risalente al 2015, quando nel tentativo di favorire nuovamente l’esportazione dei GloFish all’estero li aveva messi in competizione diretta per riprodursi contro cospecifici privi della modificazione genetica. Riscontrando, nei suddetti, un’aggressività innata molto maggiore e la conseguente capacità di conquistare le femmine a svantaggio degli OGM, benché lei sembrasse preferire almeno in linea di principio la livrea sgargiante dei nuovi arrivati. Del tutto incosciente, per ovvie ragioni, delle conseguenze che tale propensione avrebbe potuto avere in merito alla sopravvivenza della sua specie.

Facendo dunque il passo ulteriore e necessario viste le gravose circostanze, Magalhāes ha provveduto a suggerire una possibile serie di misure preventive ad un disastro ambientale potenzialmente in-fieri, la cui gravità nel contesto primario e imprescindibile del grande polmone della Terra sarebbe indubbiamente difficile da sopravvalutare. Operazioni a partire dall’effettiva applicazione delle norme vigenti, agendo contro i numerosi importatori e commercianti che continuano a vendere i pesci fluorescenti in Brasile nonostante il divieto. Per proseguire implementando misure preventive di fuga dai vivai ed allevamenti, tramite l’inclusione di zone di buffer contenenti predatori naturali dei ciclidi, come il pesce cane Oligosarcus hepsetus. Nonché forse l’unico passaggio veramente risolutivo a tutti gli effetti: educare il pubblico alla naturale bellezza dei pesci prodotti dalla natura, senza dover ricorrere a manipolazioni introdotte all’interno di un grigio ed impersonale laboratorio.
Il che potrebbe risultare più difficile del previsto, quando si considera il successo pressoché globali delle luci RGB al LED ormai integrate praticamente ovunque, dall’automotive ai prodotti informatici e digitali. Quasi come se le pupille dei nostri occhi bramassero, al pari di tutti gli altri sensi che possediamo, di essere sempre e comunque sovraccaricate. Anche a discapito della preziosa conservazione dell’ultima, minuscola scintilla di genuina spontaneità che si ostina a condizionarci la vita.

Lascia un commento