L’annuale conflitto tra lo scarabeo natalizio ed il suo pernicioso sosia sudamericano

Strano come certe antitesi possano sembrare totalmente impraticabili da un lato del mondo, pur rappresentando l’assoluta normalità presso gli antipodi del cosiddetto pensiero originario! Così come il ritorno della principale festa invernale, nell’epoca in cui essa era connesso alle ricorrenze pagane utili al mantenimento di un rudimentale calendario, è da sempre il sinonimo di gelo, neve, la famiglia radunata innanzi al calore transitorio del focolare. Piuttosto che caldo, mare, nugoli d’insetti che si assiepano presso le finestre e gli usci delle case. Ma poiché una festa è prima d’ogni altra cosa un costrutto di provenienza culturale, non c’è molto da sorprendersi se i primi coloni dell’emisfero australe, dove il ciclo delle stagioni risulta essere letteralmente invertito, decisero di mantenere il giorno e l’opportunità di celebrare l’opportuna nascita di Colui che fu annunciato dal passaggio di un bolide spaziale. Con la culla circondata da incoraggianti ronzii e lo splendido posarsi di almeno una specie di scarabeo… Ah, le creature di quel remoto continente del meridione! Astute in base allo stereotipo, velenose, temibili, territoriali. Ma non c’è nulla di ostile nell’eminente palesarsi, ragionevolmente regolare, di una notevole tipologia di coleotteri del tutto inseparabili dal susseguirsi delle lunghi notti d’estate soprattutto nella parte orientale e settentrionale del paese, definiti per l’appunto come i (benvenuti) scarabei di Natale. Superficialmente non dissimili dal cockchafer o insetto di giugno del Nord Europa, equivalente nei 20-30 mm di lunghezza ma con elitre dai plurimi colori, dal verde metallizzato al marrone chiaro o scuro, il giallo iridescente o una qualsiasi possibile combinazione di tali elementi. Risultando annoverato dalla scienza nel genere Anoplognathus, diviso in ben 35 specie distinte dallo stato di conservazione largamente ignoto. Il che non può fare a meno di sollevare un certo grado di preoccupazione, vista l’osservazione per lo più aneddotica di un calo percepito della quantità di simili creature avvistate nel corso dell’ultima decade, rispetto a quelli che invadevano accidentalmente le case delle passate generazioni. E cosa ancora peggiore, un apparente e repentino ritorno per l’estendersi dell’ultimo paio d’anni, il cui protagonista è tuttavia la somigliante risultanza di un diverso corso evolutivo, originario del continente sudamericano. Il temibile scarabeo argentino del genere Cyclocephala, prodotto prolifico di un ambiente forse non altrettanto memetico, ma decisamente più competitivo…

Tra le specie più riconoscibili degli Anoplognathus figura l’A. pallidicollis, famoso per le abitudini notturne e la propensione a ronzare presso luci o lanterne durante la celebrazione del Natale estivo. Il loro stadio adulto ha una vita relativamente lunga, rendendoli una vista possibile fino al sopraggiungere della mezza stagione.

Con l’inaugurazione del recente programma su iNaturalist dell’Università di Sydney e l’Associazione Invertebrati Australiani, capeggiato dall’entomologa e sollevatrice del problema sia in campo accademico che sociale Tanya Latty, le segnalazioni hanno quindi cominciato a sovrapporsi. Letterali decine di entusiastici catturatori d’immagini, cellulare o macchina fotografica alla mano, pronti a documentare nugoli interi di scarabei sui loro prati, singoli esemplari che volavano nel loro caratteristico modo vagheggiante ed intere colonie alla base degli alberi o nelle piscine svuotate dei loro cortili. Soltanto per venire prontamente smentiti dagli esperti affiliati al sito Internet, come i principali testimoni della venuta e il progressivo propagarsi degli scarabei argentini, destinati come innumerevoli altre creature a trovare terreno fertile sulle coste ed aree boschive d’Australia, minacciando e relegando ai margini i possessori di fenotipi comparabili dalla provenienza locale. Ma nonostante i tratti biologici, la conformazione, cadenza stagionale ed un aspetto chiaramente simile, il nuovo coleottero natalizio dalla dimensione lievemente minore ed uno spessore meno significativo delle proprie zampe non potrà mai dire esattamente di essere altrettanto benvenuto. Questo per l’affine propensione a consumare, per il prolungarsi del suo intero periodo larvale di svariate settimane, non più le micro-radici sotterranee dei coriacei alberi di eucalipto (come fatto dal nativo Anoplognathus) bensì le maggiormente vulnerabili propaggini dei prati coltivati ed altri ornamenti del contesto domestico ed umano. Con conseguente degrado estetico di quei giardini, nonché il problematico impiego sistematico di pesticidi, non meno nocivi per la malcapitata ed incolpevole specie nativa. Il che, molto prevedibilmente, non può far altro che peggiorare ulteriormente il problema, nonostante il reiterato allarme lanciato da chi ricorda i lunghi anni in cui i presunti vermi a forma di virgola, definizione chiaramente descrittiva dello stato immaturo dell’insetto, erano associati unicamente alla funzione di ossigenare il sottosuolo favorendo la propagazione delle piante native. Il miglior dono natalizio che dicembre potesse portare, assieme all’opportunità di fare il bagno sulle rive del grande oceano meridionale. Se non fosse stato per l’ennesimo insetto opportunista incline per sua natura, in ogni circostanza, a dimostrare le proprie notevoli capacità di resilienza ed auto-determinazione.

Nonostante la loro fame per le foglie di eucalipto anche allo stadio adulto, difficilmente gli A. brunnipennis ed aureus possono costituire un pericolo per tali alberi. Non sono semplicemente abbastanza prolifici o, alla condizione attuale, diffusi.

Benché l’effettivo conteggio ed istituzione di un quadro chiaro per lo stato di popolazione dei preferibili scarabei natalizi risulti essere al momento difficoltoso, non pare irragionevole dar credito alla percezione di uno stato peggiorativo vigente, in funzione di un aspetto chiaro ed innegabile: la progressiva diminuzione degli habitat nativi. Poiché sebbene l’Australia sia abitata in percentuale minima rispetto alla propria massiccia estensione, in maniera simile ed ancor più pronunciata dell’entroterra statunitense, resta palese come buona parte di essa appaia arida e inadatta a particolari specie animali. Il cui habitat si è sovrapposto, fin da principio, con quello preferibile per insediamenti e contesti soggetti al consueto, problematico sviluppo da parte dell’uomo. Ed il conseguente ridursi delle opportunità riproduttive vigenti. Meno vermi, dunque, uguale meno scarabei! E non c’è nulla che possa differenziare o colpire strategicamente soltanto quelli invisi alle opportunità di convivenza con i membri delle (presumibili) società civilizzate. Così come il rifiuto categorico di determinati valori tende normalmente a diminuire l’importanza delle ricorrenze tradizionali sul calendario. Indipendentemente che a ricordarcene l’occorrenza ci pensino figure angeligrafiche appese agli abeti, o ronzanti ragazzi dall’elmo vivido del tutto simile all’insegna dei samurai.

Lo scarabeo di Natale ha molte livree possibili, complicandone in modo sensibile l’identificazione. Questo Chondropyga dorsalis o scarabeo cowboy dell’Australia Orientale, ad esempio, si trova spesso annoverato nello stesso termine ad ombrello, pur appartenendo ad un genere del tutto distinto.

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