Un tempo c’era una palude da questo lato del fiume Sava, totalmente scevra di elementi artificiali o alcuna traccia delle industriose mani umane. Finché nel XVIII secolo, durante la dominazione nazionale austriaca, non si diede inizio ad un massiccio processo di bonifica e urbanizzazione, che avrebbe permesso il manifestarsi di uno dei principali esempi di città pianificata nell’Est Europa. Oggi denominato con il nome emblematico di “Nuova” capitale della Serbia (Ex Jugoslavia) l’agglomerato di edifici pubblici, commerciali e residenziali fu edificato sulla terra prelevata per svariate generazioni dall’isola di Malo Ratno Ostrvo sul Danubio. Finché di quest’ultima non sarebbe più rimasto altro che una sottile striscia di terra. E adesso, guardate il risultato: lo si scorge come primo panorama cittadino, mentre si procede verso il centro partendo dal moderno aeroporto che porta il nome dell’inventore e scienziato Nikola Tesla. Si tratta, assai probabilmente, del più grande cartellone pubblicitario del suo paese. Alto più di cento metri e largo quasi una trentina, con variopinti richiami a compagnie telefoniche, marchi d’abbigliamento, l’automobile o profumo di turno… Talmente imponente da coprire quasi totalmente il grattacielo che lo fa stagliare contro il cielo distante. Se non fosse per la presenza, in parallelo, di una seconda torre lievemente più grande, dalla stessa forma stabilmente quadrangolare dalle proporzioni imponente. Collegata inaspettatamente all’altra grazie a un ponte su due piani, visibilmente contrapposto a ciò che potrebbe sembrare per un paio di respiri un perfetto disco volante. Finché l’autista del taxi, oppure il semplice buonsenso, non pronunciano all’indirizzo delle nostre orecchie due salienti parole: “Ristorante… Rotante”. E chi non vorrebbe avere l’occasione, almeno una volta prima di lasciare questi lidi, per vedere la grande Belgrado da un simile punto di vista privilegiato, all’altezza significativa di ben 36 piani. Siamo pur sempre in Europa, dopo tutto, e di palazzi così grandi non ce ne sono parecchi. Mentre di esteriormente simili a quella posta in essere col nome di Porta Occidentale, a dire il vero, assolutamente nessuno. Il che rientra a pieno titolo nelle probabili intenzioni dell’architetto serbo Mihajlo Mitrović, vincitore di un appalto negli anni ’60 per la costruzione di una palazzina ad utilizzo misto di 12 piani nella Via degli Eroi Nazionali. Ma che in forza della sua notevole fama pregressa e i molti successi di una lunga carriera, sarebbe riuscito ben presto a convincere l’amministrazione cittadina di poter utilizzare lo stesso spazio per costruire qualcosa di molto più imponente, ed a suo modo straordinariamente significativo. Pura storia, egregiamente stolida ed inadulterata, dell’architettura….
Era naturalmente il terzo quarto del XX secolo, il che portava alcuni vantaggi ed altri punti meno positivi nelle tendenze in voga per la costruzione di grandi edifici. Così lo stile selezionato per la doppia torre della Porta sarebbe stato quello estremamente contemporaneo del Brutalismo, da sempre associato all’utilizzo del cemento a vista o beton brut, dolorosamente destinato come spesso avviene a scurirsi in modo discontinuo e macchiarsi con l’umidità, pur senza riportare alcun tipo di danno strutturale latente. Per questo la notevole creazione, nonostante uno stato estetico che pare ricordare certi edifici derelitti frequenti nel territorio dell’Ex Unione Sovietica, anche in forza delle numerose finestre rotte nella sua metà amministrativa, è in realtà ancora abitato ed in ottimo stato per quanto concerne la palazzina residenziale. Con tanto di lussuosi bed & breakfast in alcuni appartamenti dal costo di 40-50 euro a notte: l’equivalente di un hotel di livello medio-alto in questa particolare zona della capitale. Laddove meno fortunato sarebbe stato il destino dell’edificio “fratello”, rimasto totalmente vuoto dopo la chiusura e conseguente trasloco degli uffici contenuti all’interno, un tempo appartenuti alla compagnia statale di commerci internazionali e gestione dell’energia General Export, oggi non più esistente. Da che il nome informale, ancora oggi utilizzato, per l’intero complesso di Torre Genex, largamente utilizzato dai residenti. Più e più volte, nel corso degli ultimi 10 anni, è stato fatto il tentativo di vendere questa metà del totale ad un possibile nuovo inquilino, per frazioni sempre minori del valore stimato pari a 35 milioni di euro, per non parlare dell’idea di farne un museo, spostando al suo interno parte dell’enorme collezione dell’istituto cittadino dedicato alla commemorazione di Nikola Tesla. Ma per disaccordi con il proprietario, connesso ad organizzazioni non propriamente cristalline nell’origine dei propri fondi, e la conseguente incapacità o mancanza di desiderio da parte dello stato di far valere il proprio diritto di prelazione, la struttura resta ad oggi priva di alcun utilizzo pratico, fatta eccezione per il grande manifesto pubblicitario che ne finanzia almeno in parte il mantenimento. Con opere come l’iniziativa, piuttosto recente, di rimettere in funzione il grande orologio digitale sopra il ponte che collega i due edifici. Di contro sfortunato il destino del ristorante panoramico posto sulla sommità di una delle due torri circolari ospitanti le scale principali del complesso, ormai chiuso da generazioni e che comunque non vide mai entrare in funzione il meccanismo necessario per la sua rotazione, idealmente utile a permettere d’inquadrare l’intero spazio cittadino con il proprio sguardo.
Ben proporzionata, esteriormente insolita e geometricamente innovativa, la torre Genex non ci avrebbe messo molto a polarizzare l’opinione dei locali dopo il suo completamento nel 1979. Tanto che in molti la considerano ancora oggi il singolo punto di riferimento più riconoscibile di tutta Belgrado, mentre una famosa caricatura del giornale Politika nel 2010 sarebbe giunto ad associarlo alla forma di un patibolo, dove procedere per plebiscito popolare all’impiccaggione dell’architetto. Una chiara esagerazione dalle tempistiche bizzarre, quando si considera il decesso avvenuto soltanto due anni prima di quello che era stato più volte definito il singolo creativo di edifici serbo con maggiore fama internazionale, nonché un pragmatista delle forme in grado di porre in evidenza il loro scopo pratico e modalità di funzionamento.
Un merito, da sempre, intrinsecamente associato alla corrente multicanale del Brutalismo. Laddove le influenze della sua opera più imponente, forse quella destinata a lasciare il segno maggiormente duraturo tra le molte progettate dopo la sua laura nel 1948, vedono spesso l’inclusione nella lista di costruttivismo, strutturalismo e persino post-modernismo, una maniera particolarmente sofisticata di affermare che il suo modo personale di vedere il mondo e gli spazi abitativi sia riuscito a emergere, dalla particolare conformazione di queste mura. E non c’è forse maggior complimento che sia possibile rivolgere, a chiunque abbia applicato la propria creatività in questa tipologia di ambiti dal comparabile rilievo. Anche se oggi alcune risultanze si ritrovano impiegate, in attesa che i fatti seguano alla magniloquente nomina a Bene Culturale, utilizzati transitoriamente come mura di sostegno per i cartelloni pubblicitari. Ma anche questo è un segno dei tempi, per un paese che si trova oggi a dover fare i conti con la propria ritrovata, ed altrettanto doppia identità latente.