Acciaio, vetro, cemento armato e la visibile realizzazione di un’idea: che il simbolo visuale di una nazione, trasferito nello spazio fisicamente visitabile di una costruzione urbana, possa trasformarsi nella prima cosa in grado di restare impressa nella mente di un eventuale turista straniero; perché è proprio in questo luogo, che si troverà ad aprire le sue valige, una volta messo piede nella stanza progettata per accogliere la sua presenza in uno dei 36 piani dei due edifici. Posta all’apice di quella che potremmo definire, in base alle apparenze, la più grande “scimitarra” del pianeta Terra. Una metafora, a volergli attribuire una definizione. Oppure la similitudine, di quello che potrebbe assomigliare, con soltanto un quantum d’ambizione immaginifica, allo stemma progettato nel 1976, dal gruppo di grafici selezionati dallo sceicco Ahmad bin Ali Al Thani. E a guardarlo bene, non manca proprio nulla: le palme quasi troppo perfette per essere reali; il mare increspato dalla brezza del Golfo Persico; una nave dalla caratteristica vela triangolare araba che prende il nome di Dhow? Immagino che possa anche passar di lì. E naturalmente, lui: il nuovo albergo noto come Katara Towers, i cui lavori ebbero inizio nell’ormai remoto 2013 per finire idealmente pochi anni dopo, se non che incontrati ostacoli di varia natura nel finanziamento, l’organizzazione e l’ottenimento dei permessi, ha finito per veder spostata innanzi la sua data di completamento ancora ed ancora. Fino a un’ipotetico ed ancora vago “2022”, giusto in tempo per i mondiali di calcio che coinvolgeranno a partire dal novembre prossimo proprio il cosiddetto Stadio Iconico di questa stessa Lusail City. E basterà un singolo sguardo, direi, per capire che stavolta ci siamo: ogni spazio definito, le facciate rifinite fino all’ultimo dettaglio. Manca solo di rimuovere, con la dovuta cura, le alte gru ed i macchinari mobili sfruttati per plasmare i materiali attraverso i lunghi anni di quest’opera alta esattamente 211 metri.
Spade curve e molto più leggere, rispetto a quelle utilizzate dai crociati medievali che si trovarono a combatterle, nel primo e turbolento incontro tra le contrapposte civilizzazioni dal diverso credo e un contrapposto stile di vita. Al punto che attraverso gli anni, la scimitarra sarebbe diventata un simbolo strettamente interconnesso alla natura del mondo arabo, tanto che portarla al fianco, ancora all’epoca di Shakespeare, costitutiva per gli attori di teatro un chiaro segno di stare interpretando un personaggio proveniente da quelle terre. Arma in realtà d’origine turca, successivamente diffusa a macchia d’olio nei paesi limitrofi per la sua brutale e comprovata efficienza, essa presentava un’ampia serie di vantaggi, a discapito di un solo, singolare punto debole: l’impossibilità di effettuare affondi all’indirizzo di un nemico appiedato. Ma una volta brandita dalla sella di una cavalcatura e usata di taglio, come nell’ideale originale del suo impiego, la sua curvatura permetteva di accentuare naturalmente il gesto di ciascun fendente, senza rimanere intrappolata nell’armatura o lo scudo del suo bersaglio. Abbastanza da creare la continuità di una leggenda, destinata a trasportarla negli attuali vessilli o sigilli di un’ampia serie di nazioni dell’attuale mondo mediorientale. Eppur forse nessuna, come il Qatar stesso, che ne fece dichiaratamente il proprio emblema successivamente all’indipendenza guadagnata dall’Inghilterra, in qualità di santuario pronto a difendere (con le armi, se necessario) i diritti dei propri abitanti di fede musulmana.
Fast-forward di qualche anno, e l’analisi di un mondo formalmente in pace, nonostante le differenze economiche e incompatibilità tra i paesi dai trascorsi storici radicalmente contrapposti, per trovare un Qatar capace di distinguersi nel suo profondo da quella stessa unione di emirati che oggi prende il nome di Arabia Saudita. Ma particolarmente incline, cionondimeno, a perseguire gli stessi fondamentali obiettivi. Incluso quello d’investire le finanze provenienti dal suo ricco patrimonio petrolifero, finché durano, all’interno dell’industria dell’intrattenimento e del turismo, ora più che mai. Il contesto all’interno del quale, essenzialmente, s’inserisce questo intero progetto del lungomare di Lusail, un sobborgo settentrionale della capitale Dohan. Autodefinitosi, con un certo innegabile diritto, come “Il più eccitante progetto di rinnovamento urbanistico attualmente in corso…”
Quasi 40 Km quadrati e spazi abitativi per una quantità stimata di 200.000 persone in pianta stabile, oltre a una quantità spropositata di hotel. Il distretto del lungomare di Dohail rappresenta la dimostrazione ideale di quanto sia possibile realizzare con fondi quasi letteralmente illimitati, l’assoluta unità d’intenti da parte della classe dirigente e una certa e purtroppo largamente nota mancanza di riguardo nei confronti di taluni aspetti coerenti all’etica lavorativa del cantiere. Laddove le ragioni adottate come punto di partenza per tante proteste e minacce di boicottaggio all’indirizzo dei Mondiali di Calcio 2022, per quanto possiamo presumere, potrebbero trovare ragion d’essere anche a margine di simili svettanti progetti. Non che ciò risulti apprezzabile dall’aspetto immacolato e letteralmente splendido del risultato finale; vedi strade ampie costeggiate da giardini, monumenti e fontane, all’ombra di una collezione assai notevole di grattacieli. Tra tutti le già celebri Torri Gemelle di Lusail, costruite come fossero una serie di blocchi variopinti ed impilati uno sull’altro. Ed ora, la forma vagamente minacciosa delle semi-circolari Katara Towers. Costruite sfruttando l’esperienza della compagnia ingegneristica tedesca Kling Consult e su un progetto fornito dalla libanese Dar Al-Handasah (l’effettiva divisione dei compiti risulta difficile da desumere sul Web) capace di vincere il concorso indetto su scala internazionale, è impossibile non finire per paragonarle mentalmente ad una sorta di Stargate verso mondi lontani, o in alternativa il logo istantaneamente riconoscibile in taluni ambienti del combattivo videogioco sparatutto Quake. Laddove l’intento di costituire un simbolo, istantaneamente ed in maniera imprescindibile associato a questo particolare ambiente appare pienamente realizzato, nella notevole imponenza e grande qualità dei servizi contenuti al suo interno. 2,315 metri quadri all’interno delle torri 2 e 4, suddivisi da 8 pareti principali dalla funzionalità portante, costruite attraverso l’applicazione di una tecnica speciale. Quella fornita dalla compagnia austriaca Doka, di un sistema di cassaforma cementizia meccanizzato, capace di sollevarsi permettendo di ultimare i piani fino al 15° in soli 14 giorni, mentre i rimanenti 21 ne avrebbero richiesto soltanto ulteriori 8. Abbastanza da comprendere come le tempistiche allungate di completamento del cantiere debbano necessariamente aver avuto un’origine di tipo normativo o persino politico, ulteriormente accentuate negli ultimi due anni di pandemia.
Quando finalmente le torri apriranno verso il maggio di quest’anno dunque, portando a realizzazione la commessa della multinazionale francese Accor in collaborazione con la catena locale Katara Hospitality, gli ampi spazi interni delle due torri si troveranno dedicati rispettivamente a residenze private nella loro parte superiore, mentre più in basso troveranno posto ambienti alberghieri rispettivamente connotati dal possesso di cinque e “sei” stelle. Esplicitamente indifferenti ai limiti di un sistema di valutazione che idealmente non dovrebbe mai superare la prima di queste due cifre, come del resto già fatto nel Mondo Arabo per il Jumeirah Hotel del Burj Al Arab, considerata l’unica struttura di accoglienza giudicata degna di possedere ben sette stelle. E chi potrebbe mai, d’altra parte, pretendere di riuscire a far di meglio? Dotato di ampi parcheggi e spazi per eventi in grado di accogliere fino a 2.500 persone allo stesso tempo (distanziamento sociale permettendo) il complesso delle due torri a scimitarra vanta inoltre un importante primato in termini di riduzione dell’impatto ecologico, visti i più avanzati accorgimenti di conservazione dell’energia e dell’acqua incentivati dal sistema di valutazione GSAS, largamente al di sopra degli standard formali ASHRAE 90.1-2016. Sia dal punto di vista termico che idrico, con il riciclo dell’acqua corrente nelle toilette e per l’irrigazione dei rigogliosi giardini che circondano un così notevole punto di riferimento urbano.
Come apprezzabile da uno dei molti video offerti sui diversi canali di YouTube, il nuovo lungomare di Lusail si presenta dunque come un luogo ameno ed attraente, conforme alla visione di un mondo arabo più che mai interessato alla praticità di fruizione di tante realtà turistiche d’Occidente. Unico segnale di trovarsi circondati da una cultura di matrice profondamente diversa, qualche insolito cartello di divieto, contro il disturbo di qualsiasi tipo della quiete pubblica, l’abuso di alcol, e per segnalare la necessità d’indossare il velo in determinati spazi dove dovrebbe idealmente essere la modestia a farla da padrone. Il che, sotto l’ombra di una coppia di giganteggianti scimitarre, sembrerebbe assumere un peso di tutt’altra tipologia e natura.
Ma chi mai sarebbe disposto, specialmente oggi, a viaggiare, senza accettare piccoli e giustificati compromessi nei confronti dell’altrui visione della condizione umana? Purché questi non ledano ai fondamentali diritti di coloro che costituiscono il consorzio della società mondiale globalizzata. Che in merito a determinati standard comportamentali ed organizzativi, volente o nolente, dovrà un giorno rassegnarsi ad adottare un conformità indivisa. Come già avviene, sotto gli occhi di tutti, nei settori privilegiati del lusso e del turismo internazionale.