Il suono roboante della macchina che ricicla i tondini edili

Facile da fare, difficile da disfare, praticamente impossibile da riportare allo stato originario. Il cosiddetto rebar o tondino zigrinato, componente primario dell’armatura edile, viene creato mediante la lavorazione a freddo e taglio a misura di una letterale bobina di acciaio duttile, successivamente trasformato in una struttura rigida mediante la sollecitazione dei suoi atomi costituenti. Il che non significa che risulti essere, di suo conto, indistruttibile, come ampiamente dimostrato a seguito della demolizione di un edificio. Quando assieme al cumulo di cemento, inerentemente riutilizzabile a guisa di materiale riempitivo, si prende atto del tremendo groviglio composto da letterali decine, o centinaia di metri di queste sbarre di ferro e carbonio, particolarmente veloce ad arrugginirsi mentre si trasforma in un rifiuto buono soltanto per la fornace. Ecologia? Tutela dell’ambiente? Riduzione dell’impronta carbonica derivante? Tutte finalità difficilmente perseguibili, soprattutto in paesi in via di sviluppo, dove la spinta all’ampiamento e recupero edilizio supera talvolta i fondi a disposizione della maggior parte delle aziende. Viene infatti dal Brasile questa singolare macchina recicladora de vergalhão, che poi sarebbe un’espressione in lingua portoghese che allude al riutilizzo dei suddetti componenti, finché sono ancora “buoni” e ragionevolmente utili in un’ampia gamma di circostanze. C’è infatti una fondamentale problematica, che tende ad accomunare la maggior parte delle sbarre di rebar che vengono recuperate dal cemento d’implementazione, anche in condizioni ideali: le sinuose curve, gli angoli a gomito, le difformi piegature implementate al fine di ancorarle in posizione, così da evitare lo scivolamento e conseguente crollo (involontario) dell’edificio. Da qui l’idea della JP Botelho Máquinas, già individuabile anche nel catalogo di alcuni fornitori cinesi online, per semplificare un tipo di processo a cui semplicemente nessuno, fino ad oggi, era sembrato possibile fare affidamento. L’effettiva piegatura sul campo di questa tipologia di materiali, tradizionalmente effettuata a mano mediante l’utilizzo di attrezzi manuali simili a tridenti, aveva sempre richiesto un lungo tempo ed altrettanta perizia nell’esecuzione dei movimenti, tanto da rendere impossibile il ritorno sistematico alla situazione di partenza. Finché non si potesse disporre dell’aiuto di un particolare, ingegnoso ed automatico, coccodrillo…

Il macchinario della Botelho Maquinas è uno strumento ragionevolmente semplice da utilizzare, benché andrebbero probabilmente migliorate le procedure. Appare fin troppo facile immaginare in effetti, nelle modalità d’impiego sin qui dimostrate, un possibile infortunio dell’operatore.

L’effettivo andamento della scena appare lievemente surreale, per la maniera in cui ricorda il tipico passatempo antistress di coloro che giocano con le graffette per la carta. L’operatore stranamente privo di equipaggiamento protettivo (anche se i guanti, in modo particolare, potrebbero peggiorare piuttosto che migliorare la sicurezza) inserisce a forza un’estremità della sbarra semi-aggrovigliata nel calibro corretto tra le cinque aperture sulla parte frontale del macchinario. Potenti rulli presumibilmente situati all’interno provvedono, quindi, a risucchiarla nel canale digerente, un effettivo tragitto perfettamente parallelo alla linea dell’orizzonte. Così una piegatura alla volta, agitandosi e ruotando in modo oggettivamente allarmante, il pezzo si ritrova sottoposto a un trattamento chiropratico piuttosto violento. Uscendo all’altro lato, più meno completo e del tutto privo di alcun accenno di piegatura. Si tratta di un processo straordinariamente semplice ed anche per questo, veloce: così un componente inutile ed al tempo stesso intrasportabile può diventare nel giro di pochi secondi nuovamente utile a uno scopo. Purché si possa garantire il comportamento etico dell’azienda interessata ad acquistarne in blocco la produzione. Andrà infatti sottolineato a questo punto come il tondino edile o rebar, nella maggior parte dei suoi utilizzi a partire dalla sua invenzione in epoca moderna ad opera del giardiniere, poi produttore di vasi di cemento Joseph Monier, è una soluzione sottoposta a calibri e modalità d’impiego straordinariamente precisi. Laddove una qualsivoglia difformità dalle capacità idi carico accertate potrebbe portare in seguito a conseguenze anche piuttosto gravi. Ed è qui che qualcuno menziona su Internet, tra i commentatori occasionali al video, un ipotetico trattamento a caldo potenzialmente in grado di ripristinare l’ordinamento cristallino degli atomi costituenti. Laddove un tale approccio, oltre a riportare i costi a una cifra simile o persino superiore a quello del riciclo tradizionale, finirebbe per portare ad una qualità finale non sempre facile da prevedere. Ecco perché nella descrizione della compagnia produttrice del macchinario, esso è proposto come filiera produttiva di materiali utili a costruire: “Torri per serbatoi d’acqua, torri per attrezzature, ringhiere, capriate, colonne, montanti…” ogni tipo d’installazione, insomma, in cui sia pur sempre necessaria resistenza strutturale, ma non di concerto alla resistenza alla compressione tipica del calcestruzzo. Ovvero quel tipo di contesti estremi dove la capacità di tensionamento massimo del ferro carbonifero tende ad essere realmente messa alla prova. Ma sarebbe davvero difficile, al di fuori di un mondo ideale, immaginare un contesto in cui tecnologie di tale guisa non potessero essere impiegate anche per ridurre i costi, anche a discapito della sicurezza dei futuri utilizzatori dell’edificio…

La piegatura manuale dei tondini è sempre possibile, mediante un’ampia serie di attrezzature realizzate ad hoc. Ciò detto un ripristino di una vera e propria linea retta appare spesso irraggiungibile, indipendentemente dal tempo di lavorazione disponibile per ciascun singolo elemento.

Il cemento armato è giunto oggi ad essere considerato uno dei materiali insostituibili nel corrente ambito delle costruzioni architettoniche, al punto da essere entrato indissolubilmente a far parte come condizione necessaria della costruzione di un qualsivoglia edificio moderno. Giacché in assenza di una struttura utile al consolidamento a lungo termine, qualsiasi opera aggregata dovrà fare i conti fin troppo presto con la dissoluzione entropica della sua fondamentale essenza.
Persino la natura ce lo insegna: che cosa sarebbe un vertebrato senza lo scheletro? Che cosa un continente, in assenza delle sue montagne? Ed ogni componente che finisca per perdere la forma, dal punto di vista di chi è incline o destinato a ricavarne un’utilità d’impiego, dovrebbe essere sottoposta a raddrizzamento. Quando è possibile, tendiamo a farlo! Se ne fosse offerta l’opportunità, lo faremmo ogni volta… Ben venga dunque ogni ausilio tecnologico che serva, per quanto possibile, a semplificarne i propositi di partenza?

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