Lo scorpione artificiale, un meccanismo che agevola la costruzione dei grattacieli

Successivamente al terribile disastro passato alla storia come Grande Terremoto del Tohoku del 2011, una misteriosa creatura di colore azzurro si aggirò per qualche giorno nel cimitero del tempio buddhista di Saikoji, nella città di Ishinomaki. Alto poco meno di una persona, l’essere del tutto simile ad un granchio o un insetto era tuttavia capace di estendere la propria coda telescopica fino ad oltre 20 metri di altezza, cosa che fece più e più volte, mentre la utilizzava per il fine produttivo di sollevare una per una le lapidi che si erano adagiate orizzontalmente negli stretti viali alberati. Per poi abbassarle, lentamente, nel punto in cui erano state originariamente collocate, le proprie quattro zampe collocate in posizione stabile nel mezzo della terra smossa. Accompagnato da una mezza dozzina di persone in tuta da lavoro, ciascuna dedita ad accudirlo, assisterle o spronarlo in diverse maniere, il misterioso “insetto” dava in questo modo pace ai defunti, preparandoli ad accogliere così tanti dei loro cari, conoscenti ed amici che si preparavano a raggiungerli, essendo andati incontro ad un’improvvida fine. La presenza in questione, ad un secondo o terzo sguardo, riusciva dunque a rivelarsi per quello che realmente era: un mecha (メカ) o meccanismo, la versione prodotta, altamente biomimetica, di un assistente calibrato sui bisogni estremamente specifici dell’umanità. Come quello di sollevare, muovere, abbassare, aggiustare, ripristinare… Tutte azioni familiari, nonché affini, ad un dispositivo come la Maeda MC104C o uno dei suoi 5 fratelli maggiori, comunque assai più piccoli, maneggevoli e logisticamente versatili di qualsiasi altra soluzione pratica allo stesso problema fondamentale. Di un tipo tale da richiedere, nella maggior parte dei casi, ponderose gru a torre o quanto meno, autocarri che occupano più di una singola carreggiata. Ma la domanda fondamentale resta, così come in altre condizioni di natura simile pienamente immaginabili, in quale maniera avrebbero potuto attrezzi simili raggiungere il punto strategico nel centro esatto del cimitero di Ishinomaki? Ecco, dunque, entrare in gioco il qui presente allestimento di una cosiddetta mini spider-crane (piccola gru… Ragno). Agglomerato di tecnologia ed ingegno sulla scala che soltanto l’industria ingegneristica applicata al mondo delle costruzioni, nell’epoca contemporanea, parrebbe in grado di agevolare.
Questo tipo di attrezzatura da cantiere, entrata pienamente nell’uso comune soltanto nel corso delle ultime due decadi, rappresenta dunque la risposta all’esigenza di poter spostare o porre in alto in condizioni d’alta specificità un peso di fino a una tonnellata e mezzo (o anche il doppio nel caso dei modelli più grandi) senza dover ricorrere a complessi sistemi di argani e pulegge, per di più coadiuvati dal prezioso, e qualche volta periglioso sforzo muscolare umano. Il tutto grazie a un apparato non più largo, nella propria configurazione semovente, di 60 cm, risultando effettivamente in grado di passare all’interno di porte singole, ascensori o gli angusti diverticoli di un palazzo in corso d’edificazione. Ovvero quello che sarebbe diventato, nella stragrande maggioranza dei casi, il proprio ambiente naturale per eccellenza…

L’utilizzo dei cingoli, come in questo modello di colore rosso della Zone Group, permette alle gru a ragno di raggiungere il posizionamento idoneo senza l’impiego di attrezzatura addizionale. Benché manovrarle a centinaia di metri d’altezza, fino al confine della mensola di calcestruzzo, debba richiedere mano ferma e nessun timore per gli imprevisti.

D’altra parte quando il grande agente del modernismo Charles-Édouard Jeanneret-Gris, alias Le Corbusier, elaborò nel 1923 i suoi cinque punti della nuova architettura, probabilmente poteva immaginare in quanti e quali modi essi avrebbero cambiato il modo di erigere un edificio. Con particolare riferimento al quarto, per l’utilizzo della facciata libera o continua, ovvero indipendente dal compito di sostenere la struttura, destinato ad essere unico appannaggio dei pilastri interni. Da qui l’estetica odierna d’innumerevoli quartieri abitativi o commerciali, in cui l’intero aspetto dei palazzi più alti è condizionato in primo luogo dal ripetersi di un modulo composto da pannelli in vetro o materiali simili, ciascuno unitariamente sollevato, e messo in posizione, tramite l’impiego di un meccanismo. Ma probabilmente neppure tale insigne mente aveva del tutto chiari i problemi da risolvere in tale granulare compito, infinitamente ripetuto finché ciascuna opera non potesse dirsi completa da ogni punto di vista rilevante. La maniera in cui pesanti mezzi di sollevamento, concepiti per erigere pilastri ed architravi da cento quintali ed oltre, dovessero occupare buona parte del proprio tempo nel maneggiare elementi di appena un decimo di quel peso, comunque di gran lunga al di sopra delle prestazioni raggiungibili da parte delle altre attrezzature disponibili sul campo. Fino ad ora.
Vedere una squadra di contractors alle prese con questa mansione, oggi imprescindibile, delle costruzioni incombenti è diventata un’esperienza straordinariamente educativa ed interessante. Coi molti metodi possibili, tra cui il cosiddetto glazing robot, carrello a spinta con braccio idraulico dotato di ventose per portare i pannelli di vetro alla loro destinazione finale. Ma nessuno degli approcci alternativi, a conti fatti, può vantare la stessa versatilità e convenienza della piccola gru semovente a ragno. Così chiamata per le proprie zampe stabilizzatrici ritraibili, capaci di assolvere alla funzione dei ponderosi ed ingombranti contrappesi, che possono venire messe in posizione nel giro di pochi minuti, mentre ci si prepara ad effettuare il sollevamento. Che può essere al piano stesso, oppure quello sottostante velocizzando e semplificando ulteriormente l’organizzazione del lavoro. Immaginate dunque la velocità con cui la copertura esterna dell’edificio può essere portata a termine da un due o tre squadre, ciascuna dotata della propria mini spider, ri-posizionata strategicamente mano a mano che l’opera si avvicina al completamento. E tutto ciò mentre le grandi gru a torre, cresciute assieme e attorno all’edificio, possono continuare ad occuparsi dei compiti di loro esclusiva competenza, riducendo ulteriormente le lungaggini e conseguenti aumenti dell’impronta carbonifera connessa all’impresa. Senza neanche menzionare la maniera in cui queste ultime, tanto spesso, vengono condizionate dalle condizioni atmosferiche, restando ferme durante giorni particolarmente ventosi, un problema che non inficia il funzionamento dei mecha proporzionati sulla base dell’effettivo bisogno.

Marta dimostra l’utilizzo di una mini-gru Befard nel piazzale dello stabilimento aziendale. Preventivamente liberato dalle automobili ivi parcheggiate ogni giorno (fatta eccezione per quella del capo) con probabile entusiasmo dei dipendenti!

Ciò detto e come desumibile dai molti cataloghi e brochure reperibili online, di marchi come la già citata Maeda, Zone Group, Befard, Jekko… Non tutto nella mini-gru semovente rappresenta l’optimum del proprio contesto d’utilizzo, lasciando spazio ad eventuali futuri margini di miglioramento. A partire dal problema dell’alimentazione, fornita per gli spostamenti da un motore diesel ed in genere, nel caso del sistema di sollevamento propriamente detto, ad opera di un apparato idraulico con motore elettrico, presente a bordo del mezzo stesso. Il che rende simili implementi condizionati dagli aspetti peggiori di entrambi i mondi, con operatività rumorosa e gas di scarico, ma anche il bisogno di essere connessi alla rete elettrica con relativo ed ingombrante filo che attraversa lo spazio di lavoro. E sebbene alcuni esperimenti stiano iniziando ad essere compiuti con modelli alimentati totalmente da capienti batterie al litio, essi non dispongono allo stato attuale dei fatti un’autonomia comparabile o resa equivalente ai vecchi sistemi.
Una condizione imperfetta, d’altra parte, che caratterizza ogni apparato frutto del mondo tecnologico e tutto quello che ne deriva. Lungo il sentiero del progresso, con un occhio di riguardo alle necessità fondamentali dell’esistenza umana. Tombe stabili, un tetto sopra la testa, un grattacielo di 175 piani… Altrimenti come faremmo a sfidare, con la nostra sconfinata superbia, lo sguardo consapevole del grande Dio creatore? Forse riproducendo e schiavizzando alcuni degli insetti e crostacei più riusciti del suo vasto catalogo della vita? Sacre bleu

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