Il paradosso a serramanico dell’orso imprigionato nel contenitore

Metallico bagliore in mezzo ai rami, oggetto fuori dal contesto in mezzo agli alberi della foresta. Dicitura in un riquadro giallo: “Attenzione: la porta può aprirsi senza alcun preavviso.” Ma si tratta di una contraddizione in termini, giusto? Se mi stai avvisando che la porta può aprirsi, tale condizione non potrà in effetti cogliermi del tutto impreparato. Fatta eccezione per quello che potrebbe accadere, poco dopo. Qualora soffermandomi per qualche attimo, impiegando il cellulare, dovessi ritrovarmi ad inserire su Google il marchio Alter Enterprise seguito dal preciso numero di quel brevetto, anch’essi riportati sul metallico implemento tubolare. Per trovarmi innanzi alla definizione chiarificatrice di ABT: Automatic BEAR trap. Come a dire orso, orso delle circostanze sfortunate, orso che quando vorrà esprimere il proprio fastidio nei confronti dell’umanità, per via di eventi appena giunti ad un catartico coronamento, sarà meglio che si trovi nelle condizioni di assoluta solitudine. Piuttosto che a quattrocchi con… Escursionisti eccessivamente curiosi. Una serie di pensieri simili attraversano le mie sinapsi, così come il suono del motore che solleva lentamente il portellone della scatola dei misteri. Che in maniera totalmente prevedibile, vede aprirsi e fuoriuscire l’animale all’interno. Veloce come un fulmine, altrettanto arrabbiato.
Eravamo così concentrati sul fatto che potevamo, da non arrivare a chiederci se veramente fosse il caso di FARLO: così anno dopo anno, una generazione di seguito all’altra, abbiamo continuato a espandere i nostri interessi fino ai territori del caro vecchio plantigrado peloso dalla stazza di fino a tre quintali e mezzo. Per poi farci spazio eliminando gli esemplari “in eccesso” catturandoli e spostandoli altrove, senza nessun tipo di considerazione per la contingenza che immancabilmente ne sarebbe derivata. Per cui tolti tutti gli orsi presi con le tagliole, le carcasse elettrificate, le corde appese agli alberi, quelli rimasti sarebbero stati i più scaltri e intelligenti, ovvero attenti ai minimi dettagli delle circostanze avverse poste in essere dall’uomo. Così l’idea del tipo di apparato noto come “trappola culvert” (a forma di tubo) in cui l’animale viene indotto a entrare tramite l’impiego di un’esca. Agguantata la quale, sul fondo del pertugio eponimo, la porta d’ingresso scatterà in maniera sufficientemente rapida da non costituire un rischio per l’incolumità dell’animale. Tanto che un tale soluzione viene definita “benevola” o “umanitaria” proprio perché permette di tenere in vita la sua vittima, mentre la si sposta tramite l’impiego di un rimorchio automobilistico nel nuovo luogo che dovrà ricevere l’incombenza non sempre semplicissima di ospitarla. Ma il problema di qualsiasi trappola per animali è che una volta che raggiunge l’obiettivo per cui è stata posta in essere, il responsabile dovrà passare fisicamente a controllarla almeno una volta al giorno. O nei casi di località particolarmente remote, anche in periodi ancor maggiori di così. Durante i quali l’essere all’interno potrebbe ferirsi, surriscaldarsi o subire una condizione di stress eccessivo. Da qui l’idea ingegnosa della Alter, azienda di Missoula nello stato largamente rurale del Montana…

Un attrezzo molto funzionale che potrebbe dar adito a significativi cambiamenti nella maniera utilizzata per gestire la situazione. Cionondimeno, a quanto ci è dato comprendere, l’ABT non è mai decollata commercialmente, mancando perciò ancora nell’arsenale della maggior parte delle associazioni per la tutela dei boschi statunitensi.

La trappola per orsi automatica costituisce dunque, sotto ogni aspetto rilevante, la stessa cosa ma migliore. Un approccio alternativo e valido a risolvere il problema di fondo, per quanto possibile senza trovarsi a generarne di nuovi. In tale accezione e per quanto spiegato in un vecchio video di YouTube dai cofondatori Ryan Alter, Tim Manley e Mike Gurnett, essa automatizza in parte le condizioni tipiche di un suo scenario d’utilizzo, riducendo al minimo il pericolo di eventi poco prevedibili, di un tipo particolarmente sconveniente in questo particolare ambito dell’interazione uomo-natura. Poiché può spesso capitare, come purtroppo ben sappiamo, che un esemplare d’orso finisca per abituarsi a cercare il cibo da fonti antropogeniche, come i proverbiali cestini da pic-nic o cassonetti ed altri oggetti tutt’altro che naturali. Il che necessita, immancabilmente, un intervento per cambiare l’esito futuro della situazione, spesso culminante con l’attacco ai danni di un’incauto o malcapitato membro della specie umana. È stato a tal proposito stimato come durante l’intero corso degli anni ’90, nei soli Stati Uniti, incontri sfortunati con l’incontrastato carnivoro signore della foresta siano costati in media la vita a due persone l’anno. Cifre ben lontane dal totale delle vittime dei cani, causa il modo in cui vivono a stretto contatto con l’odierna civilizzazione, o Dio non voglia le devastanti zanzare, portatrici di terribili malattie. Finalità a vantaggio della quale la Alter, compagnia operativa almeno dal 2009 ed oggi assorbita dal fornitore di servizi digitali Fisher’s Technology, perciò non più dotata di un proprio portale web indipendente, aveva messo in campo a partire da un prototipo finanziato da un investitore la sua innovativa ed ingegnosa tecnologia. Tale trappola, successivamente migliorata, risultava dunque già caratterizzata dal sistema di notifica remoto, a mezzo messaggio di testo, telefonata o E-mail, capace di far suonare il telefono del proprio possessore a qualsivoglia distanza. Oltre a una telecamera all’interno, per controllare l’effettiva identità e condizioni dell’esemplare caduto nel tranello in grado di peggiorare in modo significativo la sua giornata. E vera e propria ciliegina sulla torta, i servomeccanismi necessari a farlo uscire immediatamente nel caso in cui sembrasse opportuno provvedere in tal senso, o si trattasse addirittura di un animale differente, come un condor o leone di montagna. Benché alla luce del nostro scenario ipotetico d’apertura, non sarebbe stato forse meglio rivolgere una telecamera anche verso l’esterno? Dopo tutto, un predatore liberato tende ad essere in genere piuttosto… Nervoso. E nessuno vorrebbe trovarsi nei dintorni verso l’attimo in cui recupera il pieno controllo del suo destino.

La comune trappola di tipo culvert viene normalmente aperta tramite l’impiego di un telecomando. Il che risulta ragionevolmente sicuro per l’operatore, ma richiede comunque la sua presenza fisica anche in caso di cattura dell’esemplare sbagliato.

Trappole come queste possiedono, naturalmente, prese d’aria in abbondanza, in grado di servire anche come finestrelle per accertare l’eventuale presenza di un rabbioso inquilino. Non che all’eventuale individuo di passaggio, con probabile carente familiarità nei confronti dell’oggetto in questione, debba necessariamente venire in mente di scrutare all’interno.
Il che rende un simile contenitore tubolare l’effettiva equivalenza posta in essere del celebre esperimento teorico del gatto di Schrödinger risalente al 1935. Vivo/morto al tempo stesso, come veniva ritenuto formalmente possibile per le particelle quantistiche, fino al momento in cui ne sarebbe stata accertata l’esistenza tra le mura sotterranee di un futuristico acceleratore. Ma un bosone “felino” non ha artigli e denti grandi come dei pugnali. Né possiede fasci di muscoli sufficienti a correre quanto un’utilitaria, anche verticalmente verso colui o colei che si era messo sopra un albero nella speranza di riuscire a resistere alla tempesta ursina. Che grida e che grugnisce molto giustamente “vendetta” all’indirizzo di coloro che lo hanno battuto all’interno del suo stesso dominio. Non potendo, ahimé, distinguere l’intento di coloro che vorrebbero evitare il tipo di degenerazione degli eventi incline a terminare spesso con il suo abbattimento. Poiché di fronte alla nostra incommensurabile esigenza di avere più spazio, non c’è nobile o antica bestia che possa mantenere la sua totale libertà dell’esistenza…

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