Por-Bazhyn, piccola Città Proibita sull’isola più misteriosa della Siberia

Come il vento che percorre gli ampi spazi delle steppe, molta è la saggezza che accompagna i miti e le leggende dell’antico popolo Tuvano. Inclusa la distante narrazione che risiede nella storia del khan Elchigen-kulak “Orecchie d’Asino”, tanto infastidito dal suo soprannome che non era solito rimuovere mai l’elmo dalla sua testa. E che arrivò a condannare a morte la persona incaricata di essere il suo barbiere, soltanto perché aveva momentaneamente sollevato le sue palpebre durante il lavoro. Ed ancor più rilevante a questa trattazione, l’altra vicenda collegata all’ignota epoca del suo regno, secondo cui egli avrebbe costruito una fortezza in prossimità di un pozzo nella valle dello Yenisei. “L’acqua è un bene!” Avrebbe detto, per poi aggiungere, poiché non terminava di sgorgare: “Teri-nur bolchi!” (È diventata un lago!) Strano, incerto fenomeno. Verificatosi in misura tanto significativa, da riuscire a generare un bacino idrico che attualmente si estende per 295 Km quadrati, nel vasto lago montano di Tere-Khol. Situato proprio lì, al confine tra Russia e Mongolia, incredibilmente lontano da ogni significativo insediamento o altro luogo costruito da mano umana. Il che contribuisce ulteriormente a rendere inqualificabile la distintiva rovina rettangolare, annotata per la prima volta nel quaderno di viaggio del 1701 “Libri di disegno della Siberia” del figlio del boiardo Tobolsk Semyon Remezov. Ultimo residuo appena in grado di presentare una facciata in senso verticale, situato sopra un’isolotto poco più estensivo dei suoi 215×162 metri, dislocati in ciò che resta di due grandi cortili, un portale monumentale, alcuni edifici circondati da una cinta muraria. Risulterebbe più difficile, tuttavia, restare del tutto senza parole finché non si nota l’effettiva pianta del complesso, così distintamente prossima all’ideale disposizione della città cinese. Ecco in questo luogo, in altri termini, la perfetta rappresentazione in scala di ciò che avrebbe anche potuto essere un complesso monumentale poco a meridione della Grande Muraglia. Così ricostruito, in base alle esigenze di un popolo di nomadi nel bel mezzo dell’Asia Centrale. Perché? Ottima domanda. Sono in molti ad essersela posta, negli anni.
Il problema del sito diventato celebre come Por-Bazhyn (“Casa di terracotta” in lingua tuvana) è la sua totale assenza di contesto, essendo situato in assenza di ulteriori elementi con cui metterlo in relazione, mancando perciò di alcun accessibile indizio per tentare di stabilire una precisa cronologia. Fatta eccezione per la sempre utile datazione al radiocarbonio, effettuata per la prima volta nel 1957 dall’archeologo russo S.I. Vajnstejn, riuscendo a collocare approssimativamente la struttura nella seconda metà dell’ottavo secolo d.C. Ovvero entro il periodo del sovrano Bayanchur Khan, fiero e bellicoso condottiero del popolo di discendenza turca degli Uiguri, che fu in buona parte responsabile di cementare il vasto territorio controllato in epoca medievale da queste genti. Un’alleanza di nove tribù, con capitale nella città mongola di Ordu-Baliq, che aveva fatto la guerra contro i Kirghizi, aveva sottomesso i Turgesh, i Tatari di Toquz, i Basmyls e si era trovata a collaborare con la Cina dei Tang, per sedare alcune delle più sanguinose rivolte nel corso della sua travagliata storia. Ed al termine dell’ultima di queste feroci battaglie, nel 757, aveva visto Bayanchur tornare in patria assieme ad una principessa di quel Regno di Mezzo, il cui nome in base alle cronache era Ninguo. Colei che avrebbe potuto dare il proprio contributo, in base alle nozioni di cui disponiamo, alla distintiva composizione architettonica del sito di Por-Bazhyn…

In molti hanno provato negli anni a dirimere il mistero dell’isola, anche in forza delle leggende su nascosti tunnel sotterranei verso i favolosi tesori nascosti sotto terra dai khan uiguri. Ma la collocazione remota del sito, per fortuna, ha impedito il suo saccheggiamento e devastazione ad opera di turisti privi di autorizzazione.

Le chiare influenze cinesi nella composizione di questo palazzo o fortezza uigura avrebbero trovato corrispondenza, dunque, nella limitata quantità di manufatti e materiali ritrovati entro il suo perimetro circondato dalle acque lacustri. Tra cui riconoscibili tegole con raffigurazioni apotropaiche di draghi ed altre creature leggendarie, riconducibili all’ancestrale maschera asiatica del taotie, ma anche i segni delle 36 colonne un tempo situate su altrettanti basamenti di pietra dell’edificio principale, poste a supportare un tetto con sistemi d’incastro lignei di tipo dougong, tipici dell’ingegneria di quel mondo culturale geograficamente distante. Altra prova degna di essere menzionata, la cinta muraria esterna di tipo hangtu (in terra battuta o pisé) del tutto paragonabile a quella della già citata e lunghissima barriera del secondo secolo creata contro le incursioni in Cina delle popolazioni nomadi settentrionali. Sulla base di tali osservazioni e il resto dei rilevamenti compiuti verso la seconda metà del Novecento, alcuni filologi si sono dunque sentiti d’identificare Por-Bazhyn come il sito menzionato nell’iscrizione commemorativa di Bayanchur Khan ad Ordu-Baliq, che menzionava la sconfitta da parte sua nel 750 del popolo dei Chik e conseguente costruzione di un nuovo quartier generale a Kasar Kordan, presso “il corso superiore del fiume Tez”. Il che avrebbe soddisfatto gli studiosi per oltre mezzo secolo, finché nuovi rilevamenti al radiocarbonio non misero in dubbio tale specifica interpretazione degli eventi.
La questione fu così riaperta nel 2007, con un secondo ciclo di rilevamenti archeologici effettuato sotto la guida del generale russo Sergey Shoygu, di etnia tuvana, e nuove analisi capaci di piazzare la rovina tra il 770 e 790 d.C, ovvero durante il regno del figlio di Bayanchur, personaggio passato alla storia con il nome di Bögü Qaghan. Un altro collaboratore, ed occasionale nemico della Cina Tang, anch’egli sposato con una principessa di tale etnia il cui nome era Conghui. E che di ritorno da una campagna per assistere l’alleato comandante supremo Li Kuo, figlio maggiore dell’Imperatore Daizong, ebbe l’occasione di conoscere e convertirsi alla fede del Manicheismo. Antica religione di origini persiane, fondata sulla contrapposizione tra il materialismo e la purezza dello spirito, che aveva la caratteristica di prosperare in segregati eremi e remoti monasteri. Come quello che avrebbe idealmente potuto rappresentare, all’epoca, l’isola di Por-Bazhyn. La cui pianta appare, per certi versi, simile anche a quella di un sito religioso buddhista, che avrebbe potuto costituire l’ispirazione per la sua specifica configurazione e dislocazione pratica degli edifici.

Pochissimi sono gli oggetti ed attrezzi ritrovati presso Por-Bazhyn, rendendo lecito il sospetto che il perduto palazzo possa essere stato saccheggiato in più di un periodo antecedente della sua storia millenaria. Mancano, tuttavia, i comuni segni associabili a questa tipologia di attività pregressa.

Indipendentemente da quale possa essere stato l’utilizzo dell’isola rettangolare, oggi raggiungibile da un conveniente ponte semi-permanente che attraversa le acque del Tere-Khol in parallelo ad una strada coéva, oggi sommersa, ciò che alimenta in larga parte il suo mistero e l’effettiva mancanza di segni capaci di provare l’utilizzo del complesso per un qualsivoglia periodo significativo di tempo. Senza suppellettili, residui di oggetti d’uso comune o altri resti riconducibili agli antichi giorni, né un effettivo sistema di riscaldamento tale da permettere l’abitazione di questo sito a 1.300 metri d’altitudine nei mesi invernali, tutto quello che ci resta è immaginare l’occorrenza di un disastro naturale, come i frequenti terremoti della regione, ad aver causato il frettoloso abbandono della fortezza, già in rovina poco tempo dopo il suo completamento. Oppure, in base a un’altra ipotesi, essa potrebbe essere stata demolita nel 780 all’uccisione di Bögü Qaghan, da parte di forze militari associate ad un complotto contrario alla diffusione della religione manicheista tra il popolo degli Uiguri. Che avrebbe portato, a breve e medio termine, a profondi sconvolgimenti nel loro sistema dei valori e priorità tradizionali, tra cui la prerogativa in base a cui le mogli del gran khan dovevano essere seppellite con lui, piuttosto che tornare ogni volta nel paese da cui provenivano, tra le proteste della nobiltà conservatrice. Un piccolo, ma significativo passo verso una mentalità civilizzata, che in ultima analisi avrebbe contribuito ad influenzare molte delle usanze primitive in questo remoto angolo della Siberia. Dando prova imperitura dei fondamentali meriti delle religioni moralizzatrici, ancor prima che determinate attenzioni entrassero a far parte della società basata sulla progressione logica dei ragionamenti umani.

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