Dietro un canneto in Cina, i contrastanti colori della grotta dei tesori del mondo

Secondo una leggenda spesso ripetuta nella regione di Guilin, città di quasi 5 milioni di abitanti nella parte centro-meridionale della Cina, quando il grande filosofo e scrittore Lao Tzu raggiunse il suo 60° compleanno, la collettività del Celeste Impero decise di comune accordo che era il giunto il momento di rendergli omaggio tra i viventi. Fu così che alla fine del VI sec. a.C, per tutto il paese i funzionari del governo iniziarono ad esigere stringenti tributi dalla gente con questo pretesto, costringendo il maggior numero possibile di persone a partecipare necessariamente all’iniziativa. Percependo dal suo palazzo la sofferenza del popolo, la Dea della Luna Chang’e decise quindi di mandare il suo coniglio magico, creatura folkloristica fondamentale durante le celebrazioni del capodanno, a perlustrare le cinque province della Terra, operazione a seguito della quale decise un piano d’azione per impedire che lo stato di disarmonia potesse continuare a peggiorare. Dopo aver punito perciò gli uomini malvagi mediante l’uso dei suoi corvi magici, la Dea inviò una terribile tempesta sul lago Dongting, affinché la nave contenente il tesoro minacciasse di ribaltarsi, quindi spiegò che essi avrebbero potuto salvarsi soltanto restituendo le ricchezze ai loro legittimi proprietari. Poco tempo dopo aver richiamato la sua magia punitiva, ella scoprì tuttavia di aver soltanto rimandato il disagio: ancora una volta, i soldati bussarono alla porta delle case, minacciando e trafugando gli averi della povera gente. Il suo corso d’azione nel secondo caso, dunque, fu di un tipo completamente diverso: spiegando chiaramente i termini di un rifiuto, la Dea costrinse la nave sul lago a recarsi presso il fianco del monte Maomaotou, oggi noto con il nome di Guangting. E mostrando il piccolo pertugio aperto tra la pietra del massiccio, convinse i colpevoli di tali crimini ad abbandonare gli ori ed i gioielli nei vasti spazi che si estendevano oltre tale soglia. Chang’e sapeva infatti che la rigogliosa vegetazione all’esterno, crescendo nel corso degli anni, avrebbe nascosto tale luogo allo sguardo di ladri e predoni. Impedendo il diffondersi dell’avidità nel mondo. Alcuni secoli dopo, tuttavia, un pastore di pecore che soleva visitare la montagna scoprì per caso l’ingresso della grotta Lúdí Yán. Ma prima che potesse compiere la problematica scoperta, per intercessione del sacro coniglio i tesori vennero trasformati in pietra. Affinché nessuno, da quel momento in poi, potesse mai pensare di trafugarli. Con conseguenze non propriamente invidiabili, nel caso del malcapitato individuo che avrebbe fatto suo malgrado la stessa fine…
La cosiddetta grotta del flauto di canna (Lú – 芦 dí – 笛 Yán – 岩) celebre in tutta la Cina e non solo per le sue distintive formazioni carsiche e la trasformazione in epoca recente nell’iconico Palazzo dell’Arte nella Natura (大自然的艺术之宫 – Dà zìrán de yìshù zhī gōng) deve tuttavia il suo nome non tanto all’antica vicenda mitologica sin qui narrata, bensì all’antica usanza di costruire dei flauti d’uso comune a partire dalle particolari canne di bambù antistanti al suo ingresso segreto, sostanzialmente e per lo più dimenticato verso l’inizio del Novecento. Finché nel corso della seconda guerra mondiale, durante la disperata ricerca da parte della popolazione locale di un rifugio per salvarsi dal bombardamento dei giapponesi, non capitò per caso di scoprirne accidentalmente l’ingresso, in una sorta di versione contemporanea della storia del pastore al cospetto dei desiderabili tesori, ma senza lo stesso triste epilogo sovrannaturale. E soprattutto, dando seguito a quella che si scoprì essere in realtà una tradizione più che millenaria, almeno a giudicare dalle oltre 70 iscrizioni storiche realizzate con graffiti ed inchiostro, disseminate nelle diverse camere del vasto dedalo sotterraneo. Un luogo senza pari all’interno del vasto territorio d’Asia e in grado di distinguersi, in maniera particolare, per i molti colori e tonalità delle sue ruvide pareti…

Vera e propria attrazione visitata da decine di migliaia di persone ogni anno, la grotta del Flauto di Canna è stata utilizzata in modo contingente come piattaforma lavorativa per le giovani generazioni di Guilin, con un’età media degli incaricati turistici situata attorno ai soli 25 anni.

Insieme di caverne interconnesse dall’estensione niente affatto trascurabile di 500 metri, dislocati fino a una profondità di 240, la grotta del flauto di canna è dunque oggi celebre per due principali ragioni. La prima, di origini prettamente naturali, concerne la sua eccezionale natura carsica e conseguente quantità di stalattiti e stalagmiti, spesso posizionate a formare veri e propri gruppi scultorei capaci di evocare immagini o scenari superiori alle comuni aspettative di coloro che giungono a visitarla. Forme come il “leone d’oro danzante” con i suoi otto cuccioli illuminato dalla luce all’ingresso, che si dice fosse stato posizionato inizialmente in questo luogo dalla Dea della Luna al fine di proteggere i tesori di Lúdí Yán. Per proseguire quindi verso le ampie camere da nomi affascinanti e metaforici quali il Picco della Coda di Pesce, la Foresta Vergine, i Pini tra la Neve e la collina del Fungo. Ma è soltanto proseguendo nella visita che tende a richiedere almeno un paio d’ore, che gli aspiranti esploratori giungeranno presso il vero e proprio sancta sanctorum del labirinto sotterraneo, il salone noto come Palazzo di Cristallo del Dio Drago, un vasto ambiente misurante 98 metri di ampiezza nel suo punto più largo e 18 dal pavimento al soffitto, dove ha trovato collocazione un’ampia lanterna decorativa con la forma di una pagoda. Il che ci porta effettivamente al secondo punto di forza (per lo meno nell’opinione di molti) di questo luogo unico ed ameno, consistente nell’implementazione da parte dell’ente incaricato all’amministrazione del sito di una grande quantità di punti luce impossibilmente variopinti, donando alla grotta un aspetto ultramondano simile a quello di un albero di Natale o Luna Park creato al fine di monopolizzare l’attenzione dei propri visitatori. L’effetto è straniante e insolito, per chiunque fosse giunto in questo luogo al fine di sperimentare esclusivamente le pregresse meraviglie di un luogo incontaminato, pur offrendo interessanti spunti per elaborare un tipo differente di pensiero. Capace di trovare il suo culmine in alcune delle sopra menzionate formazioni rocciose, svariate delle quali impreziosite mediante proiezioni al fine di chiarirne il ruolo mitologico perfettamente definito: vedi la forma vagamente antropomorfa illuminata di bianco presente nel Palazzo di Cristallo, alternativamente appartenente alla malcapitata vittima di una vendetta sovrannaturale oppure, nell’opinione di altri, ad un poeta che cercò eccessivamente a lungo i termini adatti a descrivere la meraviglia della caverna. Per non parlare del pilastro verticale formato dall’unione di due formazioni di carbonato di calcio, considerato la forma imperitura del bastone magico del Re delle Scimmie Sun Wukong, usato da quest’ultimo durante la sua incursione battagliera nella residenza del Dio delle Tempeste. La cui stessa figura serpentina fa la sua comparsa addizionale, a beneficio dei turisti, a guisa d’immagine proiettata sul soffitto delle vetuste sale, con grande entusiasmo e partecipazione da parte dei bambini di ogni età.

Un luogo tanto unico può costituire lo sfondo ideale per rappresentazioni teatrali, come questo spettacolo sull’antistante fiume Taohua da un soggetto del regista Zhang Yimou. Difficile immaginare un miglior modo di accompagnare l’esperienza diretta di siffatti palazzi e pagode di cristallo.

Ed è proprio l’esperienza di questi ultimi, affini per inclinazione al senso di meraviglia innato o in qualche modo temporaneamente ritornati ad una simile età dell’oro, che le cronache della caverna si compiacciono di ricordare sul sito ufficiale e nelle placche posizionate in-situ, non mancanti di citare le entusiastiche dichiarazioni pregresse da parte di famose figure nazionali e capi di stato portati oltre la soglia di questo paese sotterraneo delle meraviglie. Figure come l’importante figura del Partito Comunista, Deng Xiaoping, famosamente recatosi a visitare questi lidi nel 1973, oppure l’ex-premier Zhu Rongji, diversi presidenti di Myanmar e Malesia e ancora il comandante in capo americano Richard Nixon, la cui consorte investì parole di sincera passione ed entusiasmo nei confronti di una simile esperienza. In un tempo in cui, oggettivamente, i rapporti diplomatici tra i due paesi risultavano migliori di quelli correnti.
Ma le meraviglie di un sottosuolo “riscoperto” (se vogliamo credere alla storia che si racconta) sussistono in uno stato di sostanziale indifferenza alle tribolazioni e i destabilizzanti disaccordi tra coloro che vivono in superficie. E per quanto sarebbe facile criticare l’alterazione effettuata dalle autorità turistiche cinesi rispetto al presunto stato inalterato di simili profondità immote, va pur considerato come la grotta del Flauto di Canna abbia costituito, almeno dall’epoca della dinastia Tang (618-907) una destinazione turistica ove lasciare segni del proprio passaggio indifferenti alla sacrale intangibilità della natura stessa. E perché mai allora, l’uomo moderno avrebbe dovuto smettere di fare lo stesso?

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