Alla periferia imprenditoriale di Seul, il paradiso avvolto nelle spire di un serpente di cristallo

Spesso citato arbitrariamente su Internet nella lista degli edifici più “brutti” del mondo, il cubo pixxellato che costituisce il centro commerciale Galleria, nella moderna zona d’espansione della capitale di Corea dal nome di Gwanggyo, sembra essere stato calibrato appositamente per polarizzare le opinioni della gente. Completato nel 2020 in base ai disegni dello studio architettonico di Rotterdam, OMA (Office for Metropolitan Architecture) ed in particolare sotto la direzione del socio incaricato dei progetti asiatici Chris van Duijn, la sua forma giganteggia coi suoi 8 piani all’interno di un’area commerciale per il resto caratterizzata da edifici dalla forma ed aspetto assolutamente convenzionale. Il che gli permette di spiccare come un letterale contributo alieno nel contesto, se non la vista di un monumento filtrato fin qui direttamente da un portale per la sesta, o settima dimensione. Volendo suscitare dichiaramente un qualche tipo di richiamo, estremamente trasversale, alla scala ed all’aspetto della natura, la sua facciata in apparenza marmorizzata si trasforma, da vicino, in una serie di triangoli dal lato di circa un metro, in una sorta di versione direttamente apprezzabile del videogame Minecraft. E ciò senza neppure entrar nel merito dell’elemento pseudo-tubolare che vi ruota attorno, una sorta di “rampa di accesso” che pare richiamarsi a quella particolarmente celebre del Centre Pompidou di Parigi, ma qui assume l’aspetto, in base all’opinione di turno, di una serpe gigante, tentacolo mostruoso o surreale rigonfiamento bio-luminescente. Mentre l’ispirazione elettiva, sulla base della semplice deduzione, doveva essere rappresentata da una vena di pietra preziosa, incuneata tra gli spigoli di un cristallo carsico spropositato. In vero e proprio travertino, doveva essere costituito in origine il rivestimento esterno dell’edificio, almeno finché le figure cardine della realizzazione non si resero perfettamente conto che il computer, al giorno d’oggi, poteva fare anche di meglio. Grazie all’impiego di uno speciale algoritmo approfonditamente descritto dall’architetto John Thurtle in un giro di conferenze, capace di trasformare un’immagine di superficie “pietrosa” nella matrice di forme geometriche utilizzate per accentuarne gli stessi meriti estetici ed emozionali. Ed un risultato, allo stato attuale delle condizioni, capace di far alzare gli occhi a chiunque, mentre si percorre la via principale, al di sotto di un qualcosa che appare al tempo stesso non così alto eppure totalmente privo di un’apprezzabile scala di riferimento. Semplicemente perché in grado di proiettarsi, grazie al proprio aspetto ultramondano, verso l’inconcepibile e l’inusitato. Eppure così attraente per la possibile clientela dei negozi all’interno, con la sua palese promessa di un’esperienza unica a partire dall’ingresso principale nella convergenza tra una serie di linee verticali e la diagonale della lucida creatura, che poi sporge a più riprese attorno al cubo in una serie di passerelle, anfiteatri e vere e proprie promenade. Ciascuna delle quali, egualmente ricoperta di massicce lastre di vetro create su misura, intervallate da un’appropriata struttura d’acciaio prismatica continuativa coi triangoli dell’edificio…

Come gabbie di creature fantastiche, le parti sporgenti del camminamento si trasformano nell’interfaccia tra i visitatori ed il mondo esterno. Una visione in qualche modo rassicurante, dopo quella impressa durante l’osservazione esterna dell’edificio.

E dopo tutto, avete mai visto nulla di simile? Per quanto opinabilmente possa beneficiare di un gusto eclettico acquisito, l’ultimo centro della catena di altri cinque specializzati nel lusso e negozi di prestigiosi marchi internazionali risulta indubbiamente un tentativo molto evidente di superare il modulo e i precisi crismi imposti dalle aspettative della società rispetto ai suoi costrutti evidenti. Esplorando coraggiosamente, ed in modo approfondito, i crismi più espliciti del post-modernismo. La stessa ricerca geologica evidenziata nella convergenza dei singoli fattori di riferimento si trasforma dunque nel sentiero d’accesso a interpretazioni divergenti, in cui la macchia rossastra nella filigrana situata intenzionalmente nella parte in alto a destra della facciata principale può riconfigurarsi come suggestione di occhio semi-aperto, del mostruoso e ipotizzato rettile presente in molte interpretazioni soggettive dell’aspetto del palazzo. Al tempo stesso sinistro e memorabile, ingegnoso e divergente dagli schemi. Finalità ulteriormente accentuata dalla presenza di determinati accorgimenti, inaspettati e stravaganti, come la fila di 11 oblò d’illuminazione in posizione mediana, con il fine di massimizzare la già ottima illuminazione interna dell’edificio. Dove camminando tra gli spazi commerciali dell’alta moda italiana e francese, oltre a numerosi altri negozi di un certo prestigio, il visitatore ha quasi la sensazione di trovarsi fuori dai confini del semplice spazio metropolitano, essendo stato trasportato in una magica caverna o torre sulla superficie di un distante pianeta. Finché non viene riportato sulla Terra da uno degli scorci interessanti e distintivi dello skyline di Gwanggyo ed il vicino parco, grazie ai numerosi punti panoramici garantiti dall’eclettica passerella. Una via diretta, con chiara precisione d’intenti, fino al giardino orientale situato sul tetto dell’edificio, un apprezzabile punto di svago al termine della propria sessione di acquisti appena conclusa all’interno del solido platonico sottostante.
Una valida realizzazione, nel suo complesso, del tipo di discorso già intrattenuto precedentemente nei lavori della OMA, fortemente intenzionati a modificare ed elevarsi rispetto alle logiche di scala urbane concepite sulla base dei modelli pre-esistenti, nella maniera già resa esplicita ad esempio nell’insolita forma poligonale della Casa da Musica di Porto, futuristico auditorium in Portogallo, simile alla prua di un’improbabile nave spaziale. O la Biblioteca Centrale di Seattle, un grande polo di 11 piani ricoperto da facciate reticolari capaci d’evocare un senso geometrico di dissonanza. Tutte costruzioni di quel particolare tipo, decisamente raro nel panorama dell’identità globalizzata, che permette di comprendere istintivamente la recente concezione di un palazzo, impendendo di collocarlo a una manciata di anni, o persino decadi rispetto alla data corrente. Una sensazione che potrebbe, per quanto ne sappiamo, anche sparire in un’orizzonte temporale incombente, per il diffondersi di una nuova categoria di modelli. Magari proprio a partire da opere come questa.

Come nell’esplorazione modificata di un Purgatorio dantesco, le amenità prosaiche e luoghi di ristoro si trovano ai piani più bassi della Galleria, mentre ci si eleva gradualmente a punti vendita di marchi più importanti. Fino all’annullamento virtuale del desiderio, una volta raggiunto l’attraente giardino sulla cima della “montagna”.

Traguardi strutturali concettualmente simili a quelli delle antiche cattedrali, visitate con l’antica inclinazione allo stupore fin dai tempi del Medioevo, i centri commerciali costituiscono al giorno d’oggi l’essenziale luogo per l’espletazione materialistica del consumismo. Un’attività tanto importante nel proseguimento dell’attuale organizzazione civile, da poterne costituire uno dei pilastri e logiche fondamentali di sostentamento. Eppur difficilmente si potrebbe affermare che il valore arbitrario di determinati oggetti o pezzi di carta e plastica sia tutt’altro che innaturale, come base di partenza per un qualche tipo d’interscambio ben lontano dal carattere ancestrale di ogni essere vivente di questo pianeta. Ragion per cui risulta essere inevitabilmente interessante, non trovate anche voi? Poter condurre l’attività in questione all’interno di una scheggia di cubismo proveniente da un diverso piano dell’esistenza. Diretta risultanza di una commistione produttiva tra le scaglie del dragone ed un’approssimazione geologica delle tempeste osservabili sulla superficie di Giove. Un modo come un altro, o perché no, la perfetta contingenza latente, per attirare l’attenzione di chicchessia.

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