Tra il pacato lungomare e l’immortalità, l’astruso castello alchemico di Montevideo

Che il Sudamerica sia popolato da numerosi italiani trasferitosi lì a partire dalla metà del XIX secolo è una cosa largamente risaputa, ma ciò che non ti aspetteresti di trovare a Montevideo, in Uruguay, è una riproduzione ragionevolmente fedele della torre senese del Mangia, affiancata da altri 22 pinnacoli che potrebbero essere stati prelevati direttamente dal centro abitato di San Gimignano. Il tutto stretto tra due condomini di fattura decisamente contemporanea, completi di banconi sovrapposti con parapetti dipinti di bianco, l’immagine della perfetta periferia costruita in base ai crismi dell’architettura contemporanea. Ma la dissonanza estetica di un simile edificio non si ferma certamente a questo punto, quando si considera la verticalità del mastio principale, sormontato da un massiccio stemma marmoreo innanzi al quale figura una riconoscibile statua senza testa né braccia, ricostruita direttamente a partire dall’alata Nike di Samotracia custodita presso il museo del Louvre. Tentare dunque l’attribuzione di un singolo stile o corrente abitativa al celebre castillo di Pittamiglio può risultare un ostico disegno, soprattutto quando si decida di considerare l’edificio dal punto di vista del suo creatore Humberto, celebrato architetto e personaggio vastamente eclettico della modernità uruguaiana, al punto da aver giustificato la creazione di una grande quantità di miti e leggende attorno alla sua figura. Figlio di un calzolaio emigrato dalla nostra penisola pochi anni prima del 1900, poi dimostratosi capace di laurearsi come architetto ed ingegnere nonostante le umili origini, 10 anni dopo iniziò a riscuotere successi finanziari nel campo della speculazione edilizia, anche grazie all’aiuto del facoltoso connazionale e stimato mentore nell’alchimia filosofica Francisco Piria. Dal 1915 si dedicò quindi alla politica, prima diventando vicesindaco di Montevideo e tre anni dopo, addirittura, Ministro ad interim dei Lavori Pubblici, grazie alla confidenza posseduta in gioventù col presidente Baltasar Brum. Personalità assolutamente eccentrica e solitaria, grande amante dell’opera lirica, Humberto Pittamiglio (che aveva aggiunto la lettera H al suo nome per l’importanza di tale lettera nel sistema di notazione alchemico) volle perciò associare il suo nome, tra i molti edifici a cui aveva dato il suo contributo, alla residenza costruita per se stesso e nella quale avrebbe vissuto fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1966 all’età di 78 anni. Quando lasciò inaspettatamente l’abitazione a Willie Baker, marito della ballerina e celebre showgirl francese Josephine Baker, a patto che gli “fosse restituita nel giorno del suo ritorno”. Se non che l’onore venne rifiutato, conducendo la proprietà automaticamente nelle mani dell’amministrazione cittadina, che ne fece un museo e luogo di diffusione della conoscenza come scritto nelle ultime volontà del suo proprietario. Offrendo da quel fatidico momento una privilegiata via d’accesso alle singolari idee e la distintiva visione del mondo posseduta dal praticante delle antiche arti, definita a più riprese come un singolare “libro di 400 pagine” pari alle stanze labirintiche dislocate negli oltre 1.300 metri quadri dell’edificio. Un viaggio simbolico, e per certi versi fantastico, all’interno della mente di un vero genio…

Uno degli aneddoti più curiosi relativi al castillo Pittamiglio è che il suo proprietario avrebbe invitato Papa Pío XII a soggiornarvi per trovare riparo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Offerta accompagnata da una confezione di pregiati sigari cubani, a cui il pontefice, a quanto pare, non avrebbe mai risposto.

Per comprendere a pieno la logica del castillo di Pittamiglio occorre quindi premettere come il viale dedicato a Mahatma Gandhi su cui sorge fosse all’inizio del Novecento una strada di campagna, ragionevolmente isolata dal centro urbano e vedesse quindi queste torri sorgere in maniera solitaria in mezzo alla radura, senza l’opprimente presenza dei sopra descritti edifici antistanti. Una contingenza al tempo stesso fastidiosa eppure totalmente ragionevole, quando si considera l’epoca pressoché coeva dei due diversi approcci alla stessa necessità apparente, di creare uno spazio abitabile situato qualche chilometro fuori dal centro città. Sebbene i vicini di Humberto avrebbero ben presto imparato a guardarlo con una certa diffidenza e persino soggezione, vista l’abitudine ad organizzare strani incontri nel profondo delle notti di luna piena e vagabondare per il quartiere con un vampiresco mantello di colore rosso scuro. Questo perché il suo maniero, oltre a costituire una mera residenza, voleva presentarsi al mondo come un’apprezzabile metafora dell’Esistenza e tutto ciò che rientra in essa, attraverso una serie di linguaggi allegorici e simboli di ardua interpretazione. Privo di una grande sala centrale o qualsivoglia tipo di soggiorno, il complesso si dipana in una serie di piccoli ambienti interconnessi, con molteplici porte che finiscono nel nulla in maniera analoga a una parte delle scalinate, in una sorta di versione visitabile del castello di Hogwarts nel mondo fantastico del maghetto Harry Potter. Partendo dall’ingresso principale sotto la statua della Nike di Samotracia, gli ambienti che si presentano ai visitatori sono quindi tre, progressivamente quadrato, ottagonale e circolare, con il terzo impreziosito da una grande finestra che guarda direttamente verso la spiaggia antistante. I rivestimenti degli interni sono principalmente in legno, con bassorilievi ornati in stile Liberty, Arts & Crafts e Neoclassici, fino alla parete scultorea del balcone interno creato in base ai metodi dell’architettura rinascimentale toscana, raffigurante la Dea Diana nel corso di una caccia. Ricorrenti lungo l’intero tragitto, fino alle rampe che conducono ai piani superiori dietro all’attuale ristorante installato all’interno, figurano le croci templari e maioliche con simboli massonici, alchemici e rosacrociani, come parte di un essenziale percorso compiuto idealmente dal visitatore, che potesse condurlo alla meditazione e un nuovo approccio di scoperta di se stesso e del mondo. Ricorrente anche l’immagine di navi e visioni oceaniche, per l’associazione di un simile viaggio a quello compiuto dai naviganti in mare, fino a punti d’approdo largamente inusitati. Notevole il camino interamente costruito in legno di noce e intarsiato con versioni personalizzate di mandala sul modello indiano usati per raffigurare l’Universo, senza soluzione di continuità con lo stemma gigliato di Pittamiglio, spesso accompagnato dal suo motto: Dieu et mon droit – “Dio è il mio diritto”. In un’ennesima riconferma della commistione d’influenze e visioni del mondo, che in qualche maniera figurava nella mente fervida di questo insolito creativo, cittadino del mondo.

Un grande arco è l’elemento principale del castello di Las Flores, sebbene lo stile nel suo complesso sembri ancora ispirato alla Toscana. Un sorprendente pezzo del nostro paese, all’altro lato letterale del mondo.

A coronamento sulla sommità della torre più alta, che pare prelevata direttamente da Piazza del Campo, figura quindi una rosa segnavento, rigidamente puntata verso l’altro castello di Pittamiglio, la sua residenza estiva presso la località di Las Flores. Costruzione risalente al 1956 come parte della produzione tarda dell’architetto, forse meno misteriosa nel suo complesso ma comunque dotata di un latente fascino esteriore, essa può giovarsi del consueto numero di simboli esoterici, coadiuvati dalla figura statuaria di un Cristo con le braccia aperte, che nell’idea di alcuni interpreti potrebbe rappresentare l’ingresso del Paradiso. Circondato in questo caso da oltre 80 ettari bosco, questo castello non fu per fortuna mai inglobato nell’espansione urbana del vicino comune di Maldonado, che lo mantiene ancora oggi in gestione come importante risorsa per il turismo locale.
Lasciando fondamentalmente a noi il più oscuro degli aspetti collegati alle figure di Pittamiglio e del suo collega genovese in alchimia ed architettura Francisco Piria, anch’egli costruttore di un castello nonché l’intero resort marittimo di Piriapolis, su un terreno di sua proprietà esteso lungo ben 2.700 ettari complessivi. Ovvero in quale modo, esattamente, costoro avessero potuto disporre di capitali finanziari tanto ingenti… Essendo giunti fin quaggiù dalla remota Italia in un’epoca in cui le banche e la finanza internazionale non erano esattamente al livello dei nostri giorni, eppur potendo dare inizio a un’opera tangibile capace di varcare intatta il progredire delle generazioni. Possibile che costoro, alla fine, fossero riusciti nel realizzare l’antica chimera degli arcani praticanti alchemici, che sognavano di trasformare il piombo in oro?

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