Benvenuti in Iowa, nella mega-fermata per camionisti all’ombra dell’arcobaleno reticolato

Quell’ultima consegna, la mansione necessaria prima di poter tornare liberi e selezionare sul navigatore l’agognata via di casa. Un momento ricorrente nella vita di ciascuno, in cui la mente concentrata sulla strada e il compito assegnato viene all’improvviso alleggerita, con la consapevolezza transitoria di aver fatto abbastanza. Cani, donne, uomini, bambini: alfine le famiglie potranno essere riunite. Nelle dimore avìte che ogni membro di effettive identità comunitarie agogna, pur avendo scelto la complessa vita del conduttore di carovane. O la loro corrispondenza moderna, s’intende, contenuta interamente sul telaio dalle ruote incorporate, veicolo creato per incorporare nel saliente meccanismo, capra, cavoli, motore, il senso pratico dell’avventura per chi sente la necessità di esplorare. A meno che, talvolta, questo impeto venga smorzato dall’umano senso di stanchezza imprescindibile, l’esaurimento più che momentaneo nei confronti dell’ultima effettiva tratta che necessita di essere portata a destinazione. Ed è qui che giunge alla riscossa, come già nei tempi medievali, l’oasi a bordo strada del viaggiatore. Un luogo sorto per necessità evidente dove compiere le necessarie operazioni rituali. Affinché il corpo possa essere ripristinato e assieme ad esso, la forza d’animo dell’interfaccia umana tra le merci sul pianale e la ruvidità asfaltata che gli scorre sotto come un fiume al contrario.
“Creato il problema, si cerca la soluzione” avrebbe potuto affermare nel 1956 il presidente Dwight D. Eisenhower, se i suoi trascorsi nel campo logistico ai tempi della grande guerra, prima d’intraprendere la carriera d’alto ufficiale, avessero aumentato ancor di più il suo tempo complessivo alla guida di autocarri ed autoarticolati americani. Lungo quelle stesse strade che, su suo preciso ordine, all’alba di una tanto significativa decade vennero sottoposte a studi pratici ed approfonditi, giungendo a individuare la necessità dell’opportuno rinnovamento, a vantaggio dei viaggiatori come degli eventuali trasporti truppe e carri armati nel sempre presente caso di un significativo dispiegamento militare. Alterando l’antico metodo de-facto, in cui gli attraversatori del vasto entroterra nordamericano erano soliti cercare luoghi di ristoro nei molteplici piccoli paesi e insediamenti, necessariamente toccati nel corso del proprio incessante migrare. Ora fatti traslocare virtualmente in secondo piano, come dal soffiare possente degli Alisei, mentre i lunghi autoarticolati dalle 18 ruote si spostavano sull’asse delle nuove “Interstatali Nazionali per la Difesa” concettualmente non dissimili alle rotte degli scricchiolanti galeoni di un tempo. Lungo il cui estendersi, sorse la pletora di un nuovo tipo d’insediamenti funzionali, il cosiddetto truck stop o “fermata per gli autocarri”…

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La soluzione abitativa dell’intero quartiere costruito sopra un centro commerciale a Jakarta

Spazi paralleli a cui soltanto pochi eletti possono pensare di guadagnarsi l’accesso. Porte periferiche, situate tra i negozi, che conducono ai viali misteriosi di approvvigionamento e gestione dei servizi a supporto della galleria commerciale: spazi simili tendono a beneficiare da un’impostazione labirintica, che a sua volta riesce a dare il senso e il segno di trovarsi in una specie di città, per così dire, particolare. E ciò è implicato dal concetto stesso di questa tipologia di complesso, da Oriente ad Occidente, tra il Meridione e il Settentrione del mondo. Inclusa la capitale e maggiore città d’Indonesia, Jakarta con i suoi 10 milioni di persone ed oltre, abituate a convivere con condizioni meteorologiche non sempre accoglienti, tifoni e l’occasionale tracimazione dei 27 fiumi che ne attraversano i confini. Non c’è perciò niente di strano, nel desiderio temerario della gente di vivere più in alto, ivi incluso un vialetto di accesso alla propria residenza e spazio di parcheggio per l’auto il più possibile lontano dalle strade talvolta eccessivamente gremite. Beneficiando delle vie d’accesso pedonali nascoste, come implicita e necessaria prerogativa, ai normali visitatori del centro.
L’idea è stata messa in pratica, in primissima battuta, attorno all’anno 2009 o almeno questo è ciò che si riesce a desumere, scoprendo il fenomeno a ritroso dal successo avuto negli scorsi mesi sui profili social di appartenenza locale: un approccio consistente nel costruire 78 accoglienti villette a schiera nel luogo esatto dove, tra tutti, meno ti aspetteresti di trovarle. Ordinate abitazioni messe in condizione di gravare sulla solida struttura del centro commerciale Thamrin City, coi suoi numerosi punti vendita dedicati primariamente a stoffe ed artigianato locale. Una sorta di paradiso per persone facoltose chiamato Cosmo Park, organizzato analogamente a quanto teorizzato nel concetto cyberpunk di spazi urbani a strati sovrapposti o l’esperimento teorico dell’arcologia, un singolo edificio capace di assolvere all’intero novero delle necessità dei propri occupanti. Potendo consentire, dietro il pagamento di un prezzo mediano di circa 4 miliardi di rupie indonesiane (corrispondenti a 235.000 euro) l’esperienza serena e rilassante di vivere in periferia, pur essendo circondati dagli alti grattacieli del distretto finanziario più simili a colonne, o futuristici termitai. Anche un simile contrasto, d’altronde, fa parte della cultura dell’Asia del Pacifico. Poiché salvare le apparenze di un rigido piano regolatore non sarebbe stato, in alcun modo, vantaggioso dal punto di vista pratico né in alcun modo apprezzabile, funzionale…

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La leggenda del piccolo drugstore inchiodato tra terra e cielo

Convergenza: l’incrocio di una multipla sequenza di fattori che, in determinate circostanze, può instradare il senso dei momenti verso la trasformazione dei rapporti tra causa ed effetto. Cambiando le regole, alterando le aspettative, inducendo a nuove connessioni tra le idee. Il tipico escursionista arrampicatore del geoparco dell’entroterra montagnoso nello Hunan, noto con il termine di Shiniuzhai – 石牛寨 (“Villaggio della Mucca di Pietra”) era solito ad esempio giungere al momento cardine della propria spedizione trasportando il carico non certamente indifferente di almeno un paio di litri d’acqua. Ovvero il fabbisogno giornaliero tipico, rivisto verso l’alto in funzione dello sforzo necessario a giungere nel punto panoramico al termine di quel piccolo pellegrinaggio. Mentre a partire dal 2018, in modo indubbiamente inaspettato, un nuovo approccio risolutivo alla questione ha scelto infine di palesarsi; come un orologio a cucù a 119 metri da terra, come una casetta per gli uccelli, come il locale di servizio abbarbicato sulle mura della fortezza per il massimo vantaggio dei suoi abitanti. Ma nel caso specifico, la fonte inalienabile del consumismo, un luogo sacro dove la pecunia può essere scambiata con servizi, oggetti, accoglienza. O più semplicemente ed in modo assai rilevante, provviste per alimentare gli organi e la mente fino al concludersi dell’avventura, acqua, cibo ed energy drink.
Capito, che idea? Fondamentalmente nient’altro che il particolare tipo di rifugio, nella sostanza tutt’altro che infrequente, che viene usato lungo il corso delle vie ferrate come punto di appoggio per chi sente la sua presa indebolirsi lungo il corso verticale di quei difficoltosi tragitti. Con l’aggiunta importante di un intero staff di guide alpine trasformate in commessi e addetti all’approvvigionamento, all’inizio un po’ per gioco. Finché non si è scoperta su Internet l’incredibile risonanza mediatica dell’iniziativa, con un misurabile aumento dei turisti e potenziale clientela sul sentiero della propria realizzazione fisica e personale. Tutti interessati, incidentalmente, a fare compere nel luogo diventato celebre come “il negozio più scomodo al mondo”. Ma ha davvero senso una tale definizione ingenerosa, quando si considera l’eventualità della sua assenza?

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Alla periferia imprenditoriale di Seul, il paradiso avvolto nelle spire di un serpente di cristallo

Spesso citato arbitrariamente su Internet nella lista degli edifici più “brutti” del mondo, il cubo pixxellato che costituisce il centro commerciale Galleria, nella moderna zona d’espansione della capitale di Corea dal nome di Gwanggyo, sembra essere stato calibrato appositamente per polarizzare le opinioni della gente. Completato nel 2020 in base ai disegni dello studio architettonico di Rotterdam, OMA (Office for Metropolitan Architecture) ed in particolare sotto la direzione del socio incaricato dei progetti asiatici Chris van Duijn, la sua forma giganteggia coi suoi 8 piani all’interno di un’area commerciale per il resto caratterizzata da edifici dalla forma ed aspetto assolutamente convenzionale. Il che gli permette di spiccare come un letterale contributo alieno nel contesto, se non la vista di un monumento filtrato fin qui direttamente da un portale per la sesta, o settima dimensione. Volendo suscitare dichiaramente un qualche tipo di richiamo, estremamente trasversale, alla scala ed all’aspetto della natura, la sua facciata in apparenza marmorizzata si trasforma, da vicino, in una serie di triangoli dal lato di circa un metro, in una sorta di versione direttamente apprezzabile del videogame Minecraft. E ciò senza neppure entrar nel merito dell’elemento pseudo-tubolare che vi ruota attorno, una sorta di “rampa di accesso” che pare richiamarsi a quella particolarmente celebre del Centre Pompidou di Parigi, ma qui assume l’aspetto, in base all’opinione di turno, di una serpe gigante, tentacolo mostruoso o surreale rigonfiamento bio-luminescente. Mentre l’ispirazione elettiva, sulla base della semplice deduzione, doveva essere rappresentata da una vena di pietra preziosa, incuneata tra gli spigoli di un cristallo carsico spropositato. In vero e proprio travertino, doveva essere costituito in origine il rivestimento esterno dell’edificio, almeno finché le figure cardine della realizzazione non si resero perfettamente conto che il computer, al giorno d’oggi, poteva fare anche di meglio. Grazie all’impiego di uno speciale algoritmo approfonditamente descritto dall’architetto John Thurtle in un giro di conferenze, capace di trasformare un’immagine di superficie “pietrosa” nella matrice di forme geometriche utilizzate per accentuarne gli stessi meriti estetici ed emozionali. Ed un risultato, allo stato attuale delle condizioni, capace di far alzare gli occhi a chiunque, mentre si percorre la via principale, al di sotto di un qualcosa che appare al tempo stesso non così alto eppure totalmente privo di un’apprezzabile scala di riferimento. Semplicemente perché in grado di proiettarsi, grazie al proprio aspetto ultramondano, verso l’inconcepibile e l’inusitato. Eppure così attraente per la possibile clientela dei negozi all’interno, con la sua palese promessa di un’esperienza unica a partire dall’ingresso principale nella convergenza tra una serie di linee verticali e la diagonale della lucida creatura, che poi sporge a più riprese attorno al cubo in una serie di passerelle, anfiteatri e vere e proprie promenade. Ciascuna delle quali, egualmente ricoperta di massicce lastre di vetro create su misura, intervallate da un’appropriata struttura d’acciaio prismatica continuativa coi triangoli dell’edificio…

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