Il decathlon selvaggio di chi salva i cuccioli di foca dal pericolo dell’incombente decapitazione

La dolorosa presa di coscienza rinnovata ogni giorno, con il dramma che continua a perpetrare se stesso. Ed in parole povere, chi avrebbe mai potuto far finta di niente? Percorrendo in modo regolare col kayak, da soli, con la moglie e i turisti, quel particolare tratto di costa della Namibia dove le otarie attendono il ritorno delle proprie madri. Potendo fare affidamento sulla serie di complessi segnali, auditivi, contestuali ed olfattivi, per rendere se stessi riconoscibili e mantenere il nucleo familiare unito fino al raggiungimento dell’indipendenza. A meno che… Qualcosa d’inaspettato ed altrettanto terribile abbia modo di capitare sul sentiero dell’acquatica esistenza, mettendo in atto la condanna inevitabile delle inquinate circostanze marine. Tutto inizia, come sempre, con un semplice momento di spensieratezza; del piccolo lasciato ai propri meccanismi, tranquillamente intento ad immergersi e infilare il muso un po’ dovunque, attraverso il vasto ventaglio di esperienze che costituiscono il suo divertimento. Incluso, orrore! L’interno dell’orribile groviglio, di reti e plastica e pezzi di stoffa, che il continuo ondeggiamento dell’oceano tende a trasportare sulla costa dell’Africa meridionale. Basta un attimo, effettivamente, perché i due diventino un tutt’uno: il piccolo animale ed il rifiuto stretto attorno al suo collo, in una semplice quanto immediata unione. Ma poiché le foche hanno una forma oblunga che potremmo definire affine ad un tronco di cono, a quel punto non è affatto possibile per loro provvedere alla rimozione autonoma dell’indumento indesiderato. Così che rimane assieme a loro, per giorni, settimane o mesi, mentre il cucciolo continua a crescere secondo il preciso copione delle natura. Ed è allora che le più crudeli implicazioni si trasformano in una fedele rappresentazione dell’Inferno in Terra… Con il nylon che stringe, scava e piaga la carne viva della povera creatura. Sempre più debole, incapace di nutrirsi e infine, misericordiosamente liberata dalla sofferenza delle sue spoglie mortali. Una morte lenta è spesso la peggiore che si possa immaginare per qualsivoglia creatura. Ma possiede anche un lato positivo: quello che qualcuno, in qualche modo, possa intervenire per deviare il triste corso del destino. Restituendo al mondo quell’ormai perduta fiducia nell’umanità, con tutto quello che ciò comporta.
Dal loro punto di vista, dunque, dev’essere una visione niente meno che terrificante: quattro esseri bipedi all’interno di due imbarcazioni, ferocemente rapidi e determinati, che sbarcando sulla spiaggia impugnano imponenti attrezzi fatti per ghermire ed intrappolare la placida comunità in attesa. Quindi una volta che i loro piedi hanno raggiunto il bagnasciuga, si mettono a correre con la rapidità del diavolo, gridandosi a vicenda segnali ben collaudati. Come gli squali o le orche degli abissi più rischiosi, per schivare i quali i lunghi millenni d’evoluzione hanno insegnato alle loro prede preferite come sfuggire o confondere le tattiche di chi cerca soddisfazione. Nel giro di pochi secondi, quindi, le letterali centinaia se non migliaia di otarie corrono in tutte le direzioni contemporaneamente, noncuranti di qualsiasi cosa tranne sfuggire a quello che appare loro come una morte cruenta e totalmente priva di pietà. Ma contiene ben nascosto in fondo al tunnel, in realtà, il prezioso germe della salvezza…

Talvolta le operazioni compiute al servizio di un bene superiore tendono ad assumere metodologie surreali. Chi avrebbe mai pensato, ad esempio, di dover usare uno strumento da cantiere, per tentare di dare nuove speranze a un esemplare così sfortunato…

La Ocean Conservation Namibia costituisce il gruppo ecologico fondato da Naude e Katja Dreyer a seguito della loro esperienza come insegnanti di canoa presso la regione turistica di Pelican Point, situata a ridosso di un’area particolarmente produttiva per la pesca nazionale. A tal punto, in effetti, che le due operose circostanze tendono frequentemente a convergere, con conseguenze tutt’altro che salubri per l’integrità e la sopravvivenza della vita marina. Vedi gli sfortunati trascorsi della specie di pinnipedi scientificamente nota come Arctocephalus pusillus, o più comunemente foca orsina sudafricana. Le cui piccole orecchie sporgenti, assieme alla capacità (dannata) di muoversi a gran velocità galoppando con l’aiuto delle pinne anteriori bastano a tradirle in qualità di esponenti della famiglia degli otaridi o leoni marini, benché per lunghi secoli a ben pochi sembri essere importata la distinzione. Inclusa la fiorente industria del commercio delle loro pellicce, che all’inizio del secolo scorso aveva attratto letterali moltitudini d’equipaggi perfettamente attrezzati per sfruttarle come una risorsa principe del cosiddetto destino manifesto, ovvero l’inclinazione della civiltà moderna a prendere tutto quello che desidera, senza alcun riguardo nei confronti del bene universale o la conservazione degli altri esseri viventi. Con un persistente intento distruttivo che avrebbe potuto sterminare molte popolazioni di animali ma, molto fortunatamente, non questa, grazie alla notevole capacità di proliferazione di posseduta dall’intero gruppo di specie rilevanti. E tanto meno decadi dopo, con l’implementazione di leggi internazionali e regolamenti a limitare la loro indiscriminata uccisione le otarie avrebbero alcunché da temere, se non fosse stato per la sfortunata convergenza di fattori esterni. Vedi l’ottima e spietata resistenza, dei tessuti e delle fibre usate per costruire gli attuali strumenti di pesca destinati a diventare al termine della loro vita operativa le temutissime “reti fantasma”. Che soltanto la mano umana può togliere, dopo che lei stessa aveva collaborato con altri simili per costruirle. Il che richiede impegno, dedizione ed una dose non del tutto trascurabile di coraggio.
Osservare la OCN all’opera ricorda, a tal proposito, il macchinario ben oliato di una squadra di operativi delle forze speciali. A partire dalle diverse metodologie di cattura, che includono non soltanto l’uso dei suddetti retini, dotati di strategica chiusura lampo, ma anche il placcaggio diretto seguito dalla capacità d’immobilizzare l’animale indebolito ma comunque mordace, spaventato e spesso aggressivo, mentre assieme ai compagni si provvede a lavorare con le forbici o altri strumenti di taglio. Operazione, quest’ultima, spesso impressionante e quasi chirurgica, vista la maniera in cui i pezzi di rete o lenze tendono a tagliare e penetrare nella pelle delle povere otarie. Per non parlare di altri oggetti ancor più complicati da rimuovere, quali interi rocchetti di filo larghi appena il giusto da formare un collare da schiavisti quasi impossibile da disincastrare. Ed è qui che le cose iniziano a farsi davvero complesse, richiedendo l’utilizzo di tenaglie mentre gli altri fanno il possibile per mantenere il piccolo immobilizzato sulla sabbia di così drammatiche circostanze.

Tutto ebbe inizio con un piccolo passo, o per meglio dire camminata fino ai margini dell’oceano in paziente attesa. Era davvero possibile, a quel punto, decidere di fare marcia indietro?

Ci sono dei costi operativi, ovviamente, anche senza contare il tempo tolto alle attività lavorative dei diversi componenti dell’associazione. Così da richiedere fonti di finanziamento esterne, di cui Internet costituisce una delle più significative e durature nel tempo. A partire dal primo video amatoriale che costituì l’accesso alla celebrità digitale per Naude Dreyer, in cui veniva ripreso (forse dalla moglie) mentre prendeva in braccio dal bagnasciuga un presunto “cucciolo di orca” rigettandolo eroicamente in mare. Pur trattandosi effettivamente di un esemplare adulto di delfino di Benguella, insistentemente frainteso dalla collettività internettiana, il video è stato attualmente guardato oltre 5 milioni di volte, incluse quelle degli 874.000 iscritti del canale ufficiale della OCN. Abbastanza da poter costruire un modello di business con ottimi presupposti di guadagno ed autofinanziamento, soprattutto con l’ausilio in tempi più recenti dell’ultima arrivata del gruppo, l’esperta di social media management Angela Alchin, largamente responsabile dell’accattivante stile comunicativo dell’associazione online, sempre attenta ad accompagnare i propri video con approfonditi testi esplicativi e talvolta vere e proprie notazioni scientifiche. Un ottimo punto di partenza e potenziale ispirazione per studi scientifici come quello pubblicato alla fine del 2021 da scienziati del gruppo accademico Sea Search e l’Università di Stellenbosch, altrettanto utili nel sollevare la questione di questo frequente e reiterato dramma fin troppo infrequentemente discusso, un vero pericolo per la biodiversità marina.
E parlando di numeri, dunque, come tralasciare il dato più di qualsiasi altro da considerare fondamentale? Delle oltre 270 otarie salvate dal team di Pelican Point dall’inizio di quest’anno fino a luglio dell’estate scorsa, in linea con le cifre raggiunte ormai affidabilmente alla fine di ciascun periodo di “caccia”. Un regalo per la collettività pinnipede, ma anche l’umanità dei pescatori all’opera e le loro grandi famiglie. Perché previene l’accumulo di un karma negativo, capace di gravare come una cupola sopra un’intera nazione. Ed allontana l’insistente persistenza e ricorrenza naturale di un’orribile tragedia.

Lascia un commento