L’incompleto Marut, Spirito della Tempesta che riuscì a imporsi sull’esercito pakistano

Il 5 dicembre del 1971, un’alba febbrile illuminò la zona desertica in prossimità del posto di confine di Longewala, ai margini del deserto di Thar. Le forze indiane dell’armata del Punjab, manovrando nel miglior modo possibile considerato il breve preavviso del pericolo, si erano schierate in posizione difensiva, mentre due intere divisioni meccanizzate con 40 carri armati, per lo più vecchi Sherman e T-59 di produzione sovietica, avanzavano con difficoltà tutt’altro che insignificanti lungo il fondo accidentato della valle. Con lanciarazzi, mitragliatrici pesanti e fucili anticarro, gli occupanti delle trincee continuavano a sentirsi piuttosto sicuri, pur sapendo che una loro eventuale sconfitta avrebbe avuto un impatto notevole sull’intero quadrante occidentale di una guerra che il loro paese, guidato dall’influente prima ministra ed erede politica Indira Gandhi, aveva tutto l’interesse di concludere in tempi brevi. Così nessuno restò particolarmente sorpreso quando, verso metà della giornata, il supporto aereo lungamente promesso ebbe modo di palesarsi, e piogge di proiettili ed ordigni esplosivi cominciarono a cadere sulla testa degli attaccanti. I carristi pakistani, affrettandosi a puntare le torrette dei loro veicoli in alto, ebbero tuttavia una sgradevole sorpresa: poiché assieme ai previsti Hawker Hunter di manifattura inglese, i cui limiti di manovrabilità a bassa quota erano ampiamente noti ad entrambi gli schieramenti, tre sagome mai viste prima si disposero in formazione per il passaggio a volo radente. Erano dei jet bimotore dall’aspetto particolarmente moderno, con ali a freccia, coda alta e carlinga affusolata, che in prossimità dell’obiettivo rallentavano in maniera vertiginosa, avendo tutto il tempo di prendere la mira coi propri quattro cannoni ADEN da 30 mm, mentre lanciavano razzi Matra e bombe da 1.800 Kg. Quindi, prima ancora che i mezzi corazzati superstiti potessero rispondere al fuoco, prendevano nuovamente quota per svanire indenni all’orizzonte. In breve tempo, l’avanzata della colonna pakistana non poté fare a meno di arrestarsi. Ed ogni ragionevole aspettativa di prevalere, apparve irrimediabilmente compromessa.
Ciò che gli oppositori alla fondazione dello stato indipendente del Bangladesh stavano affrontando a loro stessa insaputa, nel culmine del primo e più breve conflitto degli anni ’70 del Novecento, era in effetti qualcosa di assolutamente innovativo, niente meno che l’HAL-24 Maruto (“Spirito della Tempesta”) il primo jet da combattimento prodotto interamente in Asia fuori dal territorio dell’Unione Sovietica. Grazie alla collaborazione con una figura chiave mantenuta in alta considerazione dall’insigne predecessore di Indira Gandhi e primo leader dell’India successivamente all’ottenimento dell’indipendenza, Jawaharlal Nehru. Il quale pur essendo stato un progressista e grande difensore dei diritti civili, seppe anche agire in base alle logiche del pragmatismo, particolarmente quando accolse con tutti gli onori la figura controversa dell’ingegnere e pilota sperimentale tedesco Kurt Waldemar Tank, in fuga dal suo paese come molti altri colletti bianchi al termine del secondo conflitto mondiale. Ex-nazista per associazione, al minimo, benché il suo coinvolgimento con gli aspetti politici del regime tedesco sia lungamente rimasto poco chiaro, nonché l’inventore di uno dei migliori cacciabombardieri che il mondo avesse conosciuto fino a quel momento: il temutissimo Fw 190, prodotto in oltre 20.000 esemplari a partire dal 1941. Compatto, leggero, potente, versatile, indubbiamente la seconda colonna portante della Luftwaffe assieme al Bf 109. Qualcosa che ogni paese moderno avrebbe aspirato ad avere nel proprio schieramento di velivoli, fatte le debite proporzioni tecnologiche, allo scopo di essere rispettato sulla scena geopolitica di un mondo che non aveva mai smesso di affilare i propri coltelli…

Visitabile presso il Museo Aeronautico di Bangalore, il Marut dimostra l’eccezionale modernità delle sue forme, immaginabile ancora in un caccia prodotto vent’anni dopo il suo primo decollo. E chissà quali vette avrebbe raggiunto, se soltanto ragioni politiche non avessero compromesso il suo progetto di partenza.

Il mandato ebbe perciò modo di palesarsi nell’anno 1956, con il coinvolgimento immediato della Hindustan Aeronautics Limited, compagnia di bandiera già produttrice d’innumerevoli aerei civili nonché caccia su licenza d’importazione prevalentemente inglese. Che in quegli anni era impegnata primariamente nella produzione del cacciabombardiere Hawker Hunter e l’intercettore leggero Folland Gnat, giudicati ormai insufficienti ad assolvere alle necessità mutevoli dei campi di battaglia contemporanei. Così le linee guida del progetto chiedevano un apparecchio di concezione totalmente nazionale che potesse non soltanto eccedere agevolmente la velocità del suono, ma assolvere egualmente alle mansioni di entrambi i suoi predecessori, dimostrandosi pari o superiore ai più avanzati avversari schierati dalle principali potenze al mondo. L’idea di coinvolgere l’ingegnere tedesco in esilio, recentemente immigrato dall’Argentina dopo la caduta del governo di Juan Perón ed il possibile ripristino dell’estradizione statunitense, fu quindi un passaggio inevitabile data l’assenza del know-how tecnologico necessario a portare a soddisfare le richieste in tempi ragionevoli e prima dell’inasprirsi dei già pessimi rapporti diplomatici coi vicini pakistani. E in breve tempo Herr Tank ebbe modo di dimostrarsi all’altezza della fama da lui posseduta nonostante la diffidenza di alcuni colleghi indiani, disegnando una notevole piattaforma di prova ancor prima di poter montare i motori, l’aliante in legno HAL X-241 che entro l’inizio del 1961 avrebbe accumulato ben 86 voli, largamente impiegati per perfezionare il suo profilo aerodinamico e la resistenza ad entrare in stallo. Tutto questo finché il sistema pneumatico per l’estensione del carrello si guastò nel momento critico, causandone la distruzione e concludendone l’utilissima carriera. Ma il progetto per la versione metallica del Marut era a questo punto largamente prossimo al completamento, così che entro il 1961 un primo prototipo venne condotto al decollo, con un solo, singolo problema da risolvere: la mancata ricezione, da parte dei britannici, del promesso nuovo motore Bristol Siddeley Orpheus 703 dotato di post-bruciatore, costringendo gli ingegneri a montare la versione standard dello stesso impianto, già utilizzato nel Folland Gnat. In quantità di due su ciascun velivolo, per buona misura, benché il peso aumentato rendesse comunque insufficiente la spinta generata, riducendo la velocità massima a circa 1.100 Km/h, contro il Mach 1,4-1,5 originariamente giudicato opportuno. La soluzione, considerata solamente temporanea in prima battuta, dovette quindi andare incontro alla spiacevole realtà dei fatti: a seguito dei test nucleari condotti dall’India presso il poligono di Pokhran, i britannici avevano ritirato il proprio supporto militare assieme a molti altri paesi occidentali. Il che avrebbe reso impossibile procurare i nuovi motori Orpheus, rendendo necessaria la procura di un qualche tipo di alternativa, adattabile all’aereo già ultimato, un proposito complesso e che nella realtà dei fatti, mai ebbe modo di palesarsi. Così che, fin da subito, gli oppositori politici di Nehru ebbero modo di denunciare la sua nuova creazione come un aereo fortemente obsoleto già al momento in cui stava entrando in servizio, con un marginale miglioramento rispetto alla flotta già disponibile al costo di un investimento totalmente privo di precedenti. Anche la breve collaborazione con l’Egitto nel 1967, per la produzione ad hoc di un motore più performante denominato Brandner E-300, naufragò a seguito del conflitto arabo-israeliano della guerra dei sei giorni, condotta il 5 e il 10 giugno di quell’anno. Mentre il tempo di affrontare finalmente i propri contenziosi internazionali con il Pakistan, anche per l’India, continuava ad avvicinarsi con rapidità allarmante.

Il progetto estremamente complesso per la produzione del Marut, benché fondamentalmente giudicato dagli storici come “un lento fallimento” fece molto per modernizzare l’industria aeronautica indiana. E aprì la strada a significativi margini di modernizzazione.

Prodotto nonostante tutto in quegli anni nella quantità non trascurabile di 147 esemplari, il Marut entrò a far parte di una serie di squadroni dall’alto numero di effettivi, essendo difficile da coordinare coi modelli differenti utilizzati dalla IAF. In modo particolare i Mig-21 e 27 prodotti su licenza sovietica, che lo superavano grandemente per velocità massima e capacità nel combattimento aereo. Allo scoppio delle ostilità dovute ai moti popolari bengalesi del 1971, per quella che sarebbe passata alla storia come guerra indo-pakistana destinata a durare esattamente una settimana e sei giorni, gli aerei incompleti ereditati dall’amministrazione precedente primo ministro erano pronti allo schieramento e contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, fecero il proprio dovere con imperturbabile efficienza. Il fatto è che nonostante le performance ridotte dalla poca potenza, i Marut possedevano caratteristiche aerodinamiche di tutto rispetto grazie alla notevole competenza dei suoi progettisti, il che gli dava un’alta maneggevolezza durante l’assolvimento del loro ruolo primario di attaccanti a terra. Il possesso di sistemi di controllo manuali ridondanti, in caso di danneggiamento idraulico per il fuoco di terra, oltre al posseso di due motori permise inoltre loro di tornare alla base anche dopo essere stati colpiti dall’antiaerea di quel conflitto breve, ma intenso, valendogli in seguito il soprannome di un vero e proprio carro armato dei cieli. Oltre 300 sortite vennero compiute nel corso delle sole due settimane, con soli tre aerei persi per il fuoco di terra, uno colpito prima del decollo e nessuna vittima nel combattimento aria-aria, mentre in caso un Marut riuscì anche ad abbattere un moderno PAF F-86 Sabre messo in campo dai pakistani.
Mentre le flotte americana e sovietica già schieravano le loro navi più imponenti ai rispettivi lati dell’Oceano Indiano, le leadership dei due paesi asiatici capirono che era il momento di concludere le ostilità al più presto. E dovendo concedere una drastica superiorità tecnologica e strategica dell’antico nemico indiano, il Pakistan dovette rinunciare alle proprie pretese sul territorio bengalese, permettendo la fondazione del nuovo stato indipendente del Bangladesh. Era finita un’Era e assieme ad essa, l’originale sogno dello Spirito della Tempesta. Entro il 1982 fino all’ultimo Marut venne ritirato dal servizio e/o demolito, mantenendo soltanto alcuni esemplari in mostra nei musei aeronautici e in alcuni parchi pubblici indiani. Per ispirare, idealmente, le nuove generazioni ad apprezzare i traguardi raggiunti in anticipo dai predecessori dell’attuale classe dirigente al potere. Una sorta di nazionalismo bellicoso dei fatti ormai sfumati lungo il corso tortuoso degli eventi? D’altra parte oggi l’India è famosa per il suo caccia di quinta generazione prodotto localmente HAL Tejas, che in assenza di operatori stranieri, ben sette anni dopo la sua prima introduzione, è sempre più pronto a dare prova di se in battaglia. Possiamo soltanto sperare che una pace nervosamente duratura, in uno dei punti più caldi di tutta l’Asia, continui a prolungare tale trepidante attesa.

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