L’oggetto volante più vistoso che cattura mosche in mezzo ai giunchi sudamericani

Mira! El Para-piri! Visione egualmente cara ai primi esploratori della foresta atlantica o quelli delle zone paludose ai margini della pampas argentina, l’incontro con un simile volatile poteva modificare profondamente il tono e il sentimento di un’intera giornata. Come un familiare passero della distante Europa, ma colorato e appariscente quanto un pappagallo dei Caraibi a settentrione del suo areale: scientificamente nominato Tachuris rubrigastra (ventre rosso) un termine molto diverso da quello idiomatico impiegato dagli spagnoli, nonché onomatopea derivante dalla lingua guaraní come adattamento di “tachurí, tarichú“. Con il numero di colori, a dire e il vero, che si troverebbero contestualmente a loro agio nel gibboso sesto di un arcobaleno: sette, come i giorni della settimana, le meraviglie del mondo antico e moderno, i chakra caratteristici del corpo umano. Il verde cangiante del dorso, il giallo del ventre, il nero delle piume sulla superficie delle ali e vari ornamenti d’intermezzo tra i diversi settori della sua livrea, così come il bianco, il rosso della cresta erettile e la parte e inferiore della coda, il blu e celeste nella sfumatura attorno agli occhi, l’iride degli occhi attenti di un insolito color crema. Tutto questo in una creatura non più lunga di 11 centimetri, battendo per varietà cromatica persino molte varietà di rinomati pappagalli, popolari in qualità di animali domestici proprio in funzione della loro spettacolare livrea variopinta. Il che colpisce ulteriormente l’immaginazione, quando si prende atto di quale sia esattamente la famiglia e categoria d’appartenenza per associazione del saettante pennuto in questione: nient’altro che un Tyrannidae o tyrant fly-catcher in lingua inglese (letteralmente “acchiappamosche tiranno”) ovvero il tipo di predatore insettivoro, esteriormente affine ai passeri dei nostri prati verdeggianti se non che in media ancor più ridotto nelle dimensioni, noto per la semplicità ed il mimetismo ricercato dal proprio piumaggio, che ne rende la stragrande maggioranza delle specie ragionevolmente indistinguibili tra loro. Il che costituisce la ragione per cui in base ad un revisione della tassonomia originariamente data per buona, a partire dal 2013 diversi biologi hanno usato l’analisi del DNA come ragione valida per spostare l’uccellino nella sua propria famiglia monotipica dei Tachurididae (o secondo altri, Tachurisidae) per meglio chiarire la sua unicità nel panorama dei volatili sudamericani, il cui antenato di collegamento potrebbe risalire addirittura a 25 milioni di anni fà. Il che, vale la pena specificarlo, trova riscontro unicamente dall’aspetto esteriore di questa creatura, visto come il comportamento e l’ecologia siano perfettamente in linea con quelli dei sopracitati tiranni. Il cui nome lascia sottintendere, in effetti, un tipo di comportamento ragionevolmente aggressivo, come quello notoriamente adottato dai suddetti passeriformi ogni qualvolta un potenziale predatore si avvicina al loro nido, per non parlare della maniera in cui sembrano letteralmente dominare il sottobosco, piombando come falchi all’indirizzo d’insetti come mosche, libellule o lepidotteri, che prendono direttamente con il becco alla velocità di un drone da combattimento ben collaudato. Un’utile metafora dei tempi che corrono, se vogliamo…

La cresta dell’uccello si solleva occasionalmente, mostrando il rosso intenso capace fa pandant con la parte sottotante della sua coda. Nessuna traccia di tale tonalità invece in corrispondenza del ventre, nonostante il nome (inesatto?) in lingua latina.

Altra caratteristica altamente distintiva del para-piri, nel frattempo, risulta essere la particolare costruzione ingegneristica del suo nido, con la forma di una coppa appesa normalmente ad un giunco o altra flessuosa pianta di palude, grazie ad un intrico di rami cementati con la sua stessa saliva, fatto asciugare grazie al vento fino all’acquisizione di una solidità tale da resistere alle oscillazioni della vegetazione. Soluzione significativamente diversa da quella tipica dei suoi cugini tiranni, molti dei quali sono soliti più che altro utilizzare la dimora abbandonata di specie volatili più operose, come gli Oropendola (Psarocolius) coi loro complicati alveari appesi ai rami più alti degli alberi pedemontani. Laddove l’acchiappamosche dei sette colori, di suo conto, è un abitante preferibilmente di acquitrini e territori paludosi, dove è solito massimizzare l’incontro con le proprie prede e la conservazione di una nicchia ecologica ragionevolmente priva di pericolosi predatori, soprattutto del tipo strisciante spesso incline ad arrampicarsi per raggiungere le uova all’interno di un qualsivoglia nido. Di cui il nostro amico depone generalmente una coppia o fino a un massimo di tre, di un color crema pallido, covate per un periodo attorno ai 12-16 giorni, con la prima schiusa idealmente collocata all’apice dell’estate australe verso il mese di febbraio, il che tende a permettergli generalmente la deposizione di una seconda covata prima che la temperatura inizi a calare. Una volta raggiunta l’indipendenza nel giro di appena un paio di settimane, i piccoli spiccheranno quindi il volo iniziando la lunga e ininterrotta caccia prevista dal proprio rapido metabolismo, tale da portarli a perlustrare freneticamente il territorio, alla costante ricerca di qualsiasi cosa voli, cammini o strisci nell’ombroso sottobosco.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare vista la loro colorazione sgargiante, d’altra parte, i pur diffusi uccelli appartenenti a questa specie, presenti dal Perù all’Argentina, passando per Brasile, Cile e Bolivia, risultano sorprendentemente difficili da avvistare, in virtù della loro indole particolarmente schiva e cauta, nonché il modo in cui saettano rapidamente da un settore all’altro del terreno di caccia, riuscendo con successo a confondersi contro il fondale. Il che giustifica, almeno in parte, la sostanziale assenza di studi scientifici sull’argomento, che lasciano dei significativi spazi vuoti nella nostra conoscenza dei loro comportamenti e prerogative comportamentali di riferimento. Vedi la teoria, possibile ma senza nessun tipo di registrazione a supporto, che i volatili in questione possano essere monogami a seguito di un rituale di corteggiamento ragionevolmente sofisticato, per possibile analogia con i cosiddetti doraditos, acchiappamosche tiranni del genere Pseudocolopteryx, altrettanto onnipresenti nel territorio sudamericano. Mentre ben nota risulta essere, di contro, l’indole combattiva ed estremamente aggressiva del cuginetto dei siete colores, noto pere l’abitudine ad attaccare cinguettando eventuali escursionisti che dovessero trovarsi troppo vicini al proprio giunco abitativo, spesso accompagnato dalla compagna lievemente più piccola e meno colorata.

Agili e frenetici, questi uccelli possono essere scambiati occasionalmente per dei grossi insetti, creature di cui non c’è sicuramente carenza nel continente in cui si aggirano fin da tempi remoti.

Con quattro sottospecie riconosciute, distinguibili primariamente per le dimensioni e il territorio di appartenenza, il para-piri ha per lungo tempo rappresentato un partecipante quasi collaterale della biodiversità di questi paesi, senza tuttavia raggiungere mai lo stato di specie ambasciatrice o importante simbolo nazionale. Una condizione che potrebbe effettivamente cambiare entro l’ottobre del 2023, con l’inizio della XIX edizione dei Giochi Panamericani, manifestazione sportiva programmata a Santiago del Cile, la cui mascotte di rappresentanza è stata già identificata con il buffo Fiu, versione stilizzata del Tachuris rubrigastra rappresentata da un costume a grandezza significativamente aumentata. Dalla forma estremamente tondeggiante e le zampe in proporzione ancor più lunghe di quelle possedute dalla sua versione in natura, trattandosi effettivamente di nient’altro che un paio di gambe umane. Una visione a suo modo surrealista eppure stranamente familiare, in questo mondo abituato alle sovversioni biologiche dei Pokémon ed altri esseri fantastici della creatività post-modernista. Eventualità accentuata dal motto del personaggio, che viene riportato affermare nel materiale a supporto: “Sono Fiu ed amo volare a gran velocità, emettendo il suono che è anche il mio nome: Fiuuuu!” Bluastri porcospini videoludici, in fin dei conti, potrebbero trovare ispirazione da una simile chiarezza d’intenti. Ma non divaghiamo.

Ottimi presupposti comunicativi dimostrati dall’ufficio marketing di questa importante manifestazione sportiva. Vista la conformazione tondeggiante della mascotte, perfetta per trarne cappellini, spillette, calamite da frigorifero e così via, a seguire…

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