Un piccolo oggetto rettangolare. Un piccolo oggetto rettangolare con un buco tondo che riflette la luce. La mente aviaria è senz’altro capace di filtrare e ignorare parecchie cose. Come un oggetto simile, che non emette alcun tipo di rumore, giace immobile ed ha un campo elettrico letteralmente impercettibile a chiunque non sia uno squalo. Eppure qualcosa, nel quadro generale, non fa tornare i conti per questo padre giustamente innervosito. Perché chi ha messo il rettangolo in quella posizione e per quale dannatissimo, imperscrutabile motivo? Per il capo della loro piccola comunità di 12 individui alati, due soltanto dei quali destinati a riprodursi entro il periodo dei prossimi tre anni, è già abbastanza difficile controllare gli oltre 100 Km del proprio territorio di caccia. Senza che strani esseri bipedi, coperti da strati di “stoffa” variopinta, vengano durante la notte a posizionare i loro marchingegni dalla funzionalità incerta. Sistemi utili unicamente a perpetrare gli umani desideri. E senza nessun tipo di vantaggio, se non addirittura nocivi, nei confronti di chi ha un becco ricurvo, sottogola vermiglio e un folto mantello di piume nere. Bucorvo dall’espressione tranquilla… Eppure al tempo stesso vagamente minacciosa, probabilmente per l’impressionante strumento di caccia che spicca tra i due laghi gialli dei suoi grandi occhi cigliati. Distruttore di serpi, mammiferi terrestri, lucertole, insetti a profusione. E strani, piccoli oggetti rettangolari. “Ora basta, ne hai avuto abbastanza!” Sembra quasi pronunciare il bucorvo all’indirizzo di chi si trova all’altro capo di un lungo ed etereo filo, in una serie di vocalizzazioni simili alla partenza ritardata di un piccolo motore. E scrutando per l’ultima volta l’oculo della telecamera, si volta direttamente nella sua prospettica e condannata direzione. Apre leggermente la bocca temibile e dopo aver preso attentamente la mira, colpisce. Una, due, tre volte (tuc, tuc, tuc) ma l’orpello digitale non mostra alcun segno di rotolare o deambularsene pacificamente altrove. Il che suscita in lui un ulteriore sentimento di riscossa, portando ad incrementare frequenza e potenza dei successivi assalti. Al che una beccata particolarmente intensa, priva il dispositivo di ogni colore tranne un viola pallido ed ormai del tutto disfunzionale. Sembra proprio che Kyle-Mark Middleton, PhD dell’Università di Città del Capo, dovrà acquistarne e posizionarne uno del tutto nuovo. Sperando che l’ira funesta del bucorvo non si sollevi nuovamente a colpirlo, come risulta essere sua innegabile prerogativa e diritto animale all’oblio paterno.
Magnifici, rabbiosi ed in qualche modo temibili, non per niente questi uccelli vengono fatti rientrare nel novero dei “cinque grandi volatili” del Kruger Park. Pur essendocene in quantità relativamente limitata all’interno dei confini della grande area protetta sudafricana, così come nell’interezza del loro vastissimo areale, che include Namibia, Angola, Kenya, Zimbabwe e Burundi. Entro cui per lunghissimo tempo sono stati cacciati, sia per finalità nutrizionali che relative al mondo imperscrutabile della superstizione, come portatori di condanna e distruzione, messaggeri della morte e della carestia. Fino a 6,2 Kg di un grosso carnivoro alato: il Bucorvus leadbeateri, per un’apertura alare massima di 1,8 metri, impreziosita dalle estremità primarie di un contrastante color bianco puro, a completare il contrasto cromatico già presentato dalle aree glabre rossastre sulla testa ed il collo. Quest’ultimo, impreziosito da una grande pappagorgia simile a una sacca, notevole strumento di seduzione presente in entrambi i sessi. Ma dotato di una macchia bluastra nel caso delle femmine, di questa proporzionale approssimazione di un vero e proprio tacchino africano, quasi altrettanto legato ad un stile di vita legato alle tenebrose ombre del sottobosco. Benché la capacità di spiccare il volo sia in questo caso maggiormente presente in seguito all’assalto da parte di un predatore, tra cui leopardi e coccodrilli, una possibilità del tutto assente nel caso dei piccoli all’interno del loro nido. In quantità che può variare tra uno e tre, dei quali soltanto uno potrà sopravvivere nella maggior parte dei casi, nonostante la fervente partecipazione dell’intera cupa dozzina al fine di proteggerli, nutrirli e insegnagli basilari tecniche di sopravvivenza. Con fino a due anni di totale dipendenza dai genitori, la più lunga mai registrata nel regno animale dei pennuti dei nostri giorni…
Il maggior rappresentante dell’ordine dei bucerotiformi, con il loro pronunciato “casco” al di sopra del becco presente in molte specie anche distanti tra loro… Il più longevo, con gli oltre 70 anni d’età registrati in situazione controllata, ed almeno la metà di un tale periodo largamente possibile allo stato brado, anche prendendo in considerazione l’eventualità statistica di malcapitate catture ed incidenti. Molte sono le caratteristiche di distinzione per questa creatura il cui ruolo culturale appare essere altrettanto primario per molte popolazioni indigene dell’Africa meridionale, giungendo a rivestire e un ruolo che non può dirsi sempre incondizionatamente nefasto. Vedi la capacità presunta e largamente messa in pratica da tribù come quelle degli Ndebele della Tanzania e gli Xhosa del Capo Orientale, di prevedere ed in qualche modo stimolare il mutamento di un periodo di estrema siccità. Ad esempio attraverso il rituale di uno sciamano che, prelevata una piuma direttamente dall’uccello, si preoccuperà d’immergerla all’interno delle acque di un fiume o torrente. Avendo poi cura di rimuoverla successivamente all’ottenimento del risultato desiderato, previa letterale inondazione di ogni singola valle della Terra. Ed anche questa è la temibile potenza del bucorvo. Altri popoli, nel frattempo, si sono fatti latori di un tipo d’interazione decisamente più distruttiva nei suoi confronti, ritenendo che soltanto l’uccisione di un esemplare che frequenti assiduamente la casa di un anziano possa prolungare la vita di quest’ultimo, causa il ruolo di questi uccelli come imprescindibili messaggeri della Morte stessa. Anche in contesti ormai liberi dalle superstizioni ereditate dalle antiche generazioni pregresse, il bucorvo viene spesso guardato con occhi ostile, causa la ben nota abitudine ad arrecare danni alle coltivazioni agricole degli umani, nonché l’abitudine di questi uccelli a rompere i vetri delle finestre, ogni qualvolta scorgono in essi il proprio riflesso immediatamente scambiato per un invasore del territorio. Ragion per cui necessariamente, qualora s’intenda preservare valide prerogative di convivenza, diviene necessario per gli abitanti oscurare la parte bassa delle finestre mediante l’uso del carbone, al fine d’evitare ulteriori ragioni di conflitto una creatura che, alla stessa maniera di qualsiasi altra, possiede il diritto di mantenere i propri legittimi spazi ancestrali.
Nonostante il suo aspetto formidabile e la notevole intelligenza, sinonimo di capacità d’adattamento, il bucorvo meridionale e la sua specie cognata dalle dimensioni soltanto lievemente più piccole (B. abyssinicus) restano perciò nell’indice delle specie considerate vulnerabili dall’associazione internazionale dello IUCN, anche in forza della sua ben nota lentezza nel riprodursi, che vede il raggiungimento della maturità dopo ben 10 anni di vita da parte di ciascun esemplare. Nonché la necessità, sia per i maschi che le femmine, di aver partecipato ad almeno un certo numero di eventi che abbiano raggiunto il pieno coronamento come aiutanti del nido, fino all’involo e piena indipendenza del piccolo, prima di poter tentare con successo d’intraprendere la stessa via. Apprendendo le complesse metodologie canore e l’emissione comunicativa dei particolari richiami roboanti, usati dalla squadra al fine di coordinarsi. Per poi riuscire a formarsi il proprio seguito di piumati assistenti, capaci di assisterli nel corso della propria personale avventura in cui tante risorse, tempo e collaborazione dovranno convergere al fine di mettere al mondo un singolo ulteriore membro di questa specie sempre più comprensibilmente rara.
Creature fantastiche dei nostri giorni, bestie leggendarie che paiono prelevate direttamente dall’Era perduta dei dinosauri. Taluni uccelli del mondo, con il loro aspetto al tempo stesso bizzarro e maestoso, ci ricordano facilmente quanto sia limitata la nostra visione speculativa in merito alle forma di vita di un possibile pianeta distante dal nostro; in cui lo stesso tripudio di esseri, così drammaticamente vario e stupefacente, dovrebbe corrispondere a un tipo d’evoluzione nettamente distinto, ma non meno variegato ed imprevedibile dal punto dei vista dei suoi possibili risultati. E chi può dire alla fine, quale potrebbe essere il ruolo finale del bucorvo; creatura inerentemente legata, secondo le credenze degli antichi popoli africani, alla capacità di scrutare enfaticamente verso l’Altro Lato. E immergendo le proprie mani all’interno di quel mare tempestoso, tirarne fuori un possibile ritaglio della grande verità del mondo. Che non siamo (i) soli dell’universo? Che la nostra corona è un mero costrutto immaginifico ed intangibile? Che non sempre una telecamera digitale debba essere, per forza, la benvenuta? Che sia soltanto il becco a deciderlo, com’è sempre stato in determinati universi. Che noi già conosciamo, o per lo meno dovremmo conoscere, abbastanza bene senza dover necessariamente ricorrere all’osservazione a distanza.