Il ponte che attraversò l’oceano per volere di un ricco imprenditore americano

Maestoso e spropositato, terribile e pervasivo, può inevitabilmente essere definito il potere del Dio Mammona. Simbolo dei soldi, ovvero di quel flusso che ogni aspirazione e umana conseguenza sa pervadere, creando e distruggendo cose che da sole non avrebbero potuto veicolare l’energia fondamentale del mutamento. Soldi che distruggono, realizzano, costruiscono ed appianano le divergenze. Sopra cui vengono costruiti grattacieli, muri, ponti ed autostrade. Ma talvolta, invece di creare, spostano. Rendendo possibile il difficilmente immaginabile. Rivoluzionando l’essenziale percezione dell’Esistenza.
Robert Paxton McCulloch (1911-1977) era un neolaureato in ingegneria della Stanford University statunitense che aveva un sogno: dare un modo ai boscaioli di tutto il mondo di poter tagliare grossi tronchi in modo rapido, conveniente, senza eccessiva fatica. Nel 1925, ereditando la fortuna che era stata di suo nonno costruttore di centrali elettriche alle dipendenze di Thomas Edison in persona, egli ebbe finalmente modo di dar forma alla sua idea. Avendo fondato, nell’immediato dopoguerra, la McCulloch Engineering Company di Milwaukee, poi M. Aviation e infine M. Motors Corporation. Dove specializzandosi nella miniaturizzazione dei motori diesel, raggiunse l’apice di nuovi, piccoli dispositivi tagliaerba per i proprietari di giardini. E un apparato, per la prima volta abbastanza piccolo da essere sollevato da una singola persona, in cui un’affilata catena girava vorticosa attorno ad una guida in metallo. Tanto pratico da meritare un ampio successo su scala nazionale e nel mondo…
Fu così che l’uomo, con una carriera alle spalle ed ormai più che miliardario, si trovava casualmente in vacanza presso la città di Londra nell’anno 1968 quando il suo agente immobiliare Robert Plumer gli fece notare qualcosa di assolutamente privo di precedenti. La maniera in cui l’amministrazione cittadina, nell’ottica di un rinnovamento dei sistemi di attraversamento sul Tamigi, stava non soltanto procedendo all’accurata demolizione, un mattone dopo l’altro, del vecchio ponte costruito dall’importante ingegnere vittoriano John Rennie ed il suo omonimo figlio. Ma cercava, con veemenza sorprendente, qualcuno che fosse disposto ad acquistarne la forma fisica ormai priva d’utilità nel suo originario contesto di provenienza. In quello che potremmo definire il più imponente, e costoso souvenir della storia. Ora il fatto che tale infrastruttura, chiamata da tutti solamente il London Bridge proprio perché situato nell’antico sito d’accesso dove tanti suoi predecessori si erano succeduti, fin dai tempi dell’originale colonia romana di Londinium, stesse gradualmente sprofondando nelle acque fluviali per il troppo traffico, mostrando chiari e pervasivi segni di d’usura, non preoccupava eccessivamente una figura come quella di McCulloch. Che coi propri occhi illuminati dalla sacra fiamma dell’invenzione, iniziò subito a sentire l’odore di un piano. Caso vuole infatti che nel 1958, egli avesse acquistato in una delle sue decisioni imprenditoriali meno oculate il terreno di un campo di residenza militare risalente ai tempi della seconda guerra mondiale, situato nella terra arida dell’Arizona e circondato per tre lati dal lago artificiale di Havasu. Nella speranza di poter cogliere i frutti di quel principio molto americano, reso celebre dal film del 1989 con Kevin Kostner “L’uomo dei sogni”, secondo cui costruendo un valido villaggio residenziale, piuttosto che un campo da baseball, in tempi ragionevoli “loro” sarebbero arrivati. Ma poiché “loro” tardavano a decidersi, era il momento di fare qualcosa di grande, straordinario, memorabile, epocale. Ed è così che inizia una delle vicende più incredibili, superflue e surreali dell’intera progressione ingegneristica del Novecento…

Il ponte di Londra, in Arizona, è oggi una struttura per lo più cava, con all’interno i molti tubi e linee di collegamento elettriche necessarie alla comunità Lake Havasu. Realizzando nei fatti l’originale profezia britannica secondo cui “Se mai dovesse crollare, ben presto il resto della città lo seguirebbe”.

La grande città di Londra fece un prezzo di convenienza al suo ammiratore in visita dal Nuovo Mondo: 1,02 milioni di sterline, corrispondenti a 2,46 milioni di dollari, corrispondenti a circa 20 dei nostri giorni, cui McCulloch aggiunse 60.000 dollari americani, 1.000 per ciascuno degli anni che si aspettava di avere prima che l’ingombrante orpello fosse totalmente riscostruito nel sito che aveva individuato per lui. L’imprenditore delle motoseghe acquistò il ponte all’asta, dunque (non che ci fossero molti altri interessati a prenderlo) e tramite Plumer negoziò un dispendioso contratto di trasporto con una compagnia navale, per il trasferimento in blocco oltre l’Atlantico, attraverso il canale di Panama ed infine presso il porto di Los Angeles, da dove le antiche ed importanti pietre avrebbero proceduto per via terrestre, fino alla piccola penisola lacustre di Havasu. Qui, lavorando alacremente per un periodo di ben tre anni, le sue maestranze tirarono fuori i pezzi attentamente numerati del London Bridge, e assemblandoli attorno ad una nuova struttura moderna in cemento armato, giunsero a ricostruirlo esattamente nella configurazione che gli era appartenuta un tempo, completa delle 5 arcate, i 280 metri di lunghezza e addirittura i lampioni metallici, creati secondo una leggenda in epoca vittoriana dalla fusione dei cannoni che erano stati impiegati nella battaglia di Waterloo. Peccato invece per l’assenza delle residenze che in epoca medievale avevano occupato i precedenti ponti di Londra costruiti nel sito d’origine, rendendoli tanto gremiti da richiedere fino a un’ora per riuscire ad attraversali! L’assurda operazione ebbe un costo difficile da calcolare, ma cosa ancor più strana, nessuna logica apparente: sotto il ponte in questione, in effetti, non scorreva alcun fiume. Almeno finché nel 1971, ormai prossimi al completamento della loro opera, gli uomini di McCulloch si occuparono di deviare parzialmente il corso di quello del Colorado. Creando un canale in grado di trasformare, essenzialmente, la colonia residenziale di Havasu in un’isola nel lago omonimo, raggiungibile soltanto attraverso questo eccezionale anacronismo storico del tutto fuori dal suo contesto. L’iniziativa fu quasi immediatamente discussa in tutto il mondo, non sempre in termini del tutto lusinghieri (un cinegiornale inglese dell’epoca affermava scherzosamente “Chi siamo noi per dubitare? Dopo tutto, il cliente ha sempre ragione”) assecondando indirettamente quello che poteva soltanto essere il piano originale dell’imprenditore. Cavalcando l’onda della celebrità acquisita, il genio delle motoseghe iniziò ad organizzare quindi una serie di tour guidati della proprietà e l’antica struttura, pagando di tasca sua la trasferta in aereo a chiunque potesse essere interessato all’acquisto di una residenza. I prezzi ad Havasu erano inoltre piuttosto convenienti: circa 35.000 dollari per una villetta di concezione statunitense fornita di ogni comfort e un ampio giardino, pari a 253.000 dollari dei tempi odierni. Così la popolazione continuò gradualmente a crescere, finché nessuno potesse dubitare dello status meritato di quell’isola come una vera e propria, benché piccola città nel deserto.

Realizzare l’impossibile, credendo l’improbabile e cercando una diversa e non troppo plausibile verità. Molto spesso, la differenza tra il mondo presente e gli scenari ipotetici di un’ambientazione steampunk risede solo nella mente dell’osservatore. Ed all’interno del suo monumentale portafoglio.

Oggi Lake Havasu City, come viene chiamata nella contea di Mohave, vanta ben 203.000 abitanti nella sua area metropolitana, sei scuole elementari, una media ed un liceo. Al centro di numerose attività d’intrattenimento, tra cui l’annuale festival studentesco dello spring break originariamente promosso dal canale televisivo MTV, all’apice dei mesi estivi perde molto del suo fascino e vivibilità, causa temperature atmosferiche capaci di sfiorare i 50 gradi. Ma un punto fermo delle sue qualità inerenti, nonché la principale attrazione turistica, resta ancora oggi il ponte tanto faticosamente importato dall’Inghilterra. Un simbolo importante di tutto quello che diventa possibile, quando si possiede una visione sufficientemente elaborata. Accompagnata, in modo imprescindibile dalle risorse necessarie per giungere a realizzarla.
Per quanto concerne invece Londra, nessuno si sarebbe trovato a rimpiangere la vendita effettuata, vista la creazione presto completata di un ponte più largo, ampio e sostenibile, il “Nuovo”, nuovo, nuovo London Bridge con le sue cinque corsie integrate nella strada cittadina A3.
Tranne forse gli esteti, visto il suo aspetto decisamente privo di alcun fascino o i pregni fori di proiettili disseminati sui mattoni risalenti alle battaglie aeree della seconda guerra mondiale. In un mondo in cui ogni cosa può essere acquistata, tranne purtroppo le specifiche circostanze. Che derivano dagli ingranaggi di un complesso meccanismo, di cui Mammona è solamente una piccola (importante) parte.

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