Lo spettacolare fallimento del veicolo che avrebbe conquistato il Polo Sud

Da qualche parte nei dintorni dell’Oceano Antartico, un lungo palo di bambù si erge in senso perpendicolare al cielo. Sotto il palo c’è un oggetto rosso, lungo 17 metri e largo 6, dal peso complessivo di appena 34 tonnellate, con quattro ruote alte quasi il doppio di una persona ed un impianto propulsivo degno di una piccola landship, anche detta nave di terra o la versione spropositata del concetto di carro armato. L’esatta posizione di un simile residuato degli anni ’40, tuttavia, è situata al tempo stesso sopra, oppure sotto la superficie ondeggiante delle acque ricoperte di candido ghiaccio, rimanendo essenzialmente duplice fino al momento in cui dovesse essere osservata. Evento che non capita dal 1958, prima che un grande pezzo della Barriera di Ross si distaccasse dal resto di quel continente, iniziando a navigare, e prima o poi affondare, nelle vaste distese misteriose dei mari del Sud. E nessuno sa, sostanzialmente, se l’imponente, impressionante e al tempo stesso inutile (più o meno) Antarctic Snow Cruiser o Penguin 1, progettato per Armour Institute of Technology di Chicago da Thomas Poulter, si trovasse da una parte, oppure l’altra di una simile cesura. Ma forse sarebbe più giusto affermare che rinomato fisico ed esploratore, nato nel 1897 ed all’epoca quarantenne, avesse creato il mostro per due essenziali ragioni: prima, perché era un eroe, ed aveva tutte le intenzioni di dimostrarlo; e seconda, per la maggiore gloria dell’intero popolo americano. Un universo eterogeneo, che in quel periodo osservava preoccupato i primi capitoli di quella che sarebbe molto presto diventata la seconda guerra mondiale, mentre allo stesso tempo le maggiori potenze globali si combattevano a colpi di spedizioni sulla scacchiera di quell’ultima frontiera inesplorata, il continente situato all’assoluto Meridione del nostro pianeta Terra. Sotto la cui dura scorza glaciale si diceva che potessero nascondersi risorse preziose, come petrolio, rame, nickel e stagno, totalmente a disposizione di coloro che avessero potuto dimostrare, mediante la documentazione e la quantità di dati raccolti, di essere completamente a proprio agio in un ambiente tanto drammaticamente inospitale.
Approccio che avrebbe condotto, a un certo punto, alla seconda spedizione antartica dell’ammiraglio Richard E. Byrd, finalizzata a soddisfare tutto lo spirito d’avventura dei suoi circa 80 partecipanti, tra cui scienziati appartenenti alle discipline più diverse dello scibile. Nel corso della quale proprio Thomas Poulter, eletto a suo secondo in comando, gli avrebbe salvato la vita da un principio di avvelenamento da monossido, guidando assieme a due colleghi fino a un’avamposto per molti chilometri nelle profondità glaciali, a bordo di un trattore artico dalle prestazioni tutt’altro che perfette. Esperienza, quest’ultima, partendo dalla quale avrebbe dato forma all’originale idea di un “qualcosa” che potesse a tutti gli effetti spostarsi liberamente lungo la scivolosa superficie delle nevi eterne, ospitando al tempo stesso tutti i comfort necessari a un piccolo team di cinque uomini, capaci di cavalcarlo fino alla penultima ultima frontiera dell’umanità. E per come ebbe l’occasione di descriverlo nel 1937, assieme ai colleghi dell’Armour Institute alle autorità di Washington impegnate a preparare l’attesa quanto inevitabile terza spedizione di Byrd, l’Antarctic Snow Cruiser avrebbe rappresentato l’assoluto non-plus-ultra di un simile concetto, l’eccezionale dimostrazione che nulla poteva bloccare una mente fervida alle prese con problemi di una simile complessità, se soltanto si applicava con la giusta quantità di tempo, risorse finanziarie ed il supporto di un’intero paese. Il tutto per la modica cifra di 150.000 dollari, l’equivalente di 2,7 milioni dei nostri giorni….

Il passaggio dello Snow Cruiser lungo l’intera parte centrale degli Stati Uniti, fino al luogo in cui avrebbe dovuto imbarcarsi verso il Polo Sud, fu un evento mediatico del tutto privo di precedenti, seguìto da una comparabile delusione collettiva all’effettivo rivelarsi del fato finale di una simile “meraviglia della scienza”.

Poultier, i suoi superiori nella catena di comando e l’intero popolo degli Stati Uniti, ben presto coinvolto mediante numerosi articoli di giornali e trattazioni radiofoniche, ad ogni modo si trovarono ben presto d’accordo: il Penguin 1 sarebbe stato eccezionale, glorioso, stratosferico nel modo in cui assolveva il compito per cui era stato concepito. Dal punto di vista progettuale, esso includeva caratteristiche che non si erano mai viste in un veicolo prima di allora, come la presenza oggi data per scontata nei veicoli super-pesanti di quattro motori elettrici, uno per ruota, unitariamente collegati allo stesso impianto diesel di alimentazione, eliminando in questo modo la necessità di ricorrere a un ponderoso sistema di trasmissione. Il che garantiva spazi extra per il carburante, l’equipaggio e le due gigantesche ruote di scorta, rigorosamente lisce in quanto all’epoca, si riteneva che un minor contatto con il suolo avrebbe garantito la trazione più efficace sopra i ghiacci dell’Antartico. A completare l’offerta, lo spazio sopra il tetto per un aeroplano a cinque posti della Beechcraft, potenzialmente utilizzabile per effettuare rilevamenti e fotografie dall’alto.
Nelle sole 11 settimane entro cui venne affrontata la sua effettiva costruzione, a partire dall’agosto del 1939, il veicolo diventò famoso negli interi Stati Uniti assieme all’ambiziosa mappa del suo itinerario totalmente ipotetico, che l’avrebbe condotto dalla regione antistante alla Baia delle Balene nota come Little America fino al letterale Polo Sud, e da lì a compiere un circuito tutto attorno alle letteralmente terre impercorribili di un tale continente ghiacciato. Almeno a patto che, a partire dal 24 ottobre di quell’anno, riuscisse a raggiungere il porto di Boston in tempo utile per imbarcarsi sulla nave North Star, già in ritardo per unirsi alla nuova squadra dell’ammiraglio Byrd. Il che presentava, inerentemente, una prima sfida niente affatto di poco conto: partire dalla Pullman Company in Illinois, poco fuori Chicago, per percorrere 1.640 Km nel più breve tempo possibile, fino alla costa Occidentale del più verticale dei continenti. Ora tutto ciò, essenzialmente, avrebbe dovuto costituire la chiara dimostrazione pratica che nulla, essenzialmente, avrebbe mai potuto fermare l’impressionante veicolo, se non che ovviamente il mondo civilizzato può posizionare sfide di tutt’altro tipo innanzi al corso di un simile mastodonte. E a ben poco sarebbero servite le speciali doti dello Snow Cruiser, come quella largamente pubblicizzata di poter varcare i notoriamente invalicabili crepacci delle candide distese ghiacciate, mediante un complicato sistema in 20 passaggi che prevedeva il rientro delle ruote anteriori per poi poggiarle nuovamente all’altro lato del baratro, per poi fare lo stesso con quelle posteriori (un approccio che avrebbe anche permesso a tali implementi di riscaldarsi grazie ai gas di scarico del motore, evitando in questo modo di venire danneggiate dal gelo). Soprattutto quando, una volta giunto in prossimità della cittadina di Lima, Ohio, il mezzo finì per subire un’avaria allo sterzo durante il passaggio su di uno stretto ponte, scivolando dentro un torrente dove sarebbe rimasto per i successivi tre giorni. Fu allora, grossomodo, che l’opinione pubblica iniziò a rendersi conto che qualcosa, nei fatti, non sarebbe andata nel modo in cui gli era stato narrato. Ma i veri problemi, in effetti, dovevano ancora venire…

Carpe diem, come si dice: ovvero la capacità di prendere una decisione sufficientemente rapida da riuscire a salvare la giornata. Ma a volte, il vero problema inizia solamente al sorgere del Sole successivo…

Il 15 novembre, quindi, nonostante tutto, il Penguin 1 riuscì ad imbarcarsi sulla North Star, operazione complessa che dovette richiedere lo smontaggio temporaneo dell’intera prua della nave, e nonostante alcune difficoltà nell’assicurare adeguatamente un oggetto tanto pesante al centro esatto del ponte di navigazione, giungere sano e salvo fino alla Baia delle Balene. A cui fece seguito forse l’evento più eccitante della sua intera esistenza: il drammatico momento in cui, mentre veniva scaricato dalla nave, la passerella in legno costruita per tale operazione finiva letteralmente in frantumi sotto l’impressionante peso, costringendo Poultier, che si trovava alla guida, ad accelerare rapidamente al fine di salvare se stesso, i suoi colleghi e il mastodonte veicolare. Ma l’esultanza degli osservatori all’esecuzione di una così difficile manovra, ben presto, ebbe ragione di scemare: bastarono infatti pochissimi minuti, per rendersi conto che il veicolo non faceva assolutamente presa sul ghiaccio, slittando rumorosamente con copioso e inutile dispendio di energie.
Perché in effetti, non è difficile capirlo: si può essere intelligenti all’inverosimile, basare i propri postulati su conoscenze pregresse di una qualsivoglia entità e portata; eppure, quando si sta facendo qualcosa per la PRIMA, assoluta volta, l’unica certezza può venire dalla sperimentazione. Ma è impossibile sperimentare un qualcosa in un tempo eccessivamente breve: così il fisico dell’Armour Institute, assieme alla sua squadra d’ingegneri, aveva messo alla prova il suo prototipo sulla sabbia invece che la neve, convincendosi che i grossi e lisci pneumatici del Penguin, originariamente concepiti per il suolo paludoso, gli avrebbero permesso di non sprofondare eccessivamente, fluttuando letteralmente fino all’empireo della storia delle esplorazioni. Fatto che in ultima analisi, non fu.
Furono fatti quindi alcuni tentativi: per prima cosa vennero montate le catene alle ruote posteriori, mentre quelle davanti ricevevano in l’ausilio dei due pneumatici di scorta, montati in parallelo nella speranza che potessero fornire una trazione adeguata. Il che migliorò lievemente le cose, ma non quanto la scoperta accidentale che il veicolo, inspiegabilmente, sembrava procedere in maniera molto più efficiente quando s’innestava la retromarcia. E e fu proprio così facendo, nel corso dell’intero anno successivo, che esso avrebbe compiuto il suo tragitto più lungo: ben 148 Km, fino al luogo in cui i cinque membri dell’equipaggio si sarebbero accampati, sotto uno strato di neve e legna usata per isolare gli spazi abitativi dal gelo incomparabile, al fine di condurre almeno una parte degli esperimenti che gli erano stati originariamente assegnati. Il successivo coinvolgimento degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, dopo l’attacco a Pearl Harbor del 1941, avrebbe fatto richiamare l’ammiraglio Byrd in patria, mentre ogni successivo progetto di recupero e successivo perfezionamento dello Snow Cruiser finì per essere abbandonato. Così Poultier, a malincuore, dovette abbandonare la sua incredibile, quanto inefficace creatura.

Sogni infranti di gloria e promesse non mantenute. Eppure non sarebbe del tutto assurdo, definire il Penguin come un veicolo notevolmente più avanzato della propria epoca. Se soltanto non fosse stato fatto un così tragico e fatale errore nella scelta delle ruote!

Lo Snow Cruiser, dunque, venne riscoperto per ben due volte, la prima nel 1946 quando apparve innanzi a un corpo di spedizione successivo, essenzialmente pronto ad essere utilizzato esattamente come il giorno in cui era uscito dalla fabbrica, previo un rifornimento di carburante ed immissione di quantità adeguata d’aria nei grossi pneumatici. E di nuovo nel 1958, come dicevamo in apertura, ancora per lo più efficiente. Occasione in cui venne tirato fuori da sotto l’alto strato di neve mediante l’utilizzo di un bulldozer, anche se nessuno, in ultima analisi, pensò mai davvero d’usarlo.
Successivamente se ne persero le tracce, mentre alcuni cominciarono a pensare che fosse stata proprio l’Unione Sovietica, all’apice della guerra fredda, a metterlo in moto e riportarselo in patria, al fine di carpire i Fantastici segreti della tecnologia americana. Ma la verità in materia resta per lo più un mistero inavvicinabile a chiunque, con la possibile eccezione dei branchi di narvali e balene, che oggi potrebbero nuotare al cospetto di un così corposo monumento alla sconfinata hubris degli abitanti della superficie. Oppure, chi può veramente dirlo? Un giorno spunterà di nuovo. E qualcuno di particolarmente intraprendente, ponendosi ai comandi, tenterà di riportarlo fino alle propaggini ulteriori della civiltà. Dopo tutto, cose altrettanto strane sono già avvenute, nel corso spesso imprevedibile della Storia….

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