L’immigrazione nordamericana del più intelligente rapace al mondo

Dicevano che le frontiere erano chiuse, ormai. Dicevano che un uomo molto potente, scelto dagli altri uomini del continente, aveva fatto erigere un MURO alto e invalicabile, capace di tenere fuori tutti gli ospiti potenzialmente indesiderati. Ma l’animale simbolo del Messico, secondo alcune interpretazioni dei suoi più antichi e recenti vessilli, non era tipo da perdersi d’animo per un semplice ostacolo costruito abusivamente lungo il suo cammino. Così posando un piede dopo l’altro a lato della grande strada asfaltata, come amava fare benché non potesse essere in alcun modo definito necessario, giunse in vista del confine all’ora esatta di mezzogiorno, quando l’ombra di quel MURO scompariva quasi totalmente, per l’indifferenza prospettica del grande astro solare. Come Icaro prima di lui, come suo padre Dedalo o il serpente piumato Quetzalcoatl, il nostro amico caracara capì in quel momento che era giunta l’ora di spiccare un balzo. E una volta staccati entrambi i piedi da terra, agevolmente continuò a salire. Finché le nubi stesse, autostrada invisibile d’argento, non segnarono il percorso del suo viaggio. Molte altre piccole prede, o magnifiche carcasse dei recentemente deceduti, l’aspettavano dall’altra parte di una scelta tanto necessaria e ineluttabile in materia di contesto geografico e nazionale… Cara e cara, cara cara, mia cara, scrisse allora in modo molto pratico alla sua famiglia; armi e bagagli, preparateli immediatamente. È una terra promessa, che aspetta solamente il chiudersi dei nostri artigli.
Texas: piane aride situate tra San Diego e Corpus Christi. Qualcosa di notevole ha l’occasione di dipanarsi sotto gli occhi perplessi di coloro che passavano da quelle parti. La prototipica aquila di mare, forse la più nobile di tutte le bestie nonché importante simbolo di libertà, è intenta a riciclare con trasporto il cadavere di un’antilocapra americana, uccisa per l’impatto di un grosso furgone da un periodo di circa un paio d’ore. A circa 10 metri di distanza, come spesso capita, alcuni avvoltoi tacchino osservano profondamente interessati il dipanarsi del banchetto, nella speranza che qualcosa possa rimaner di commestibile alla sazietà della loro mangiatrice rivale. Se non che d’un tratto, quattro forme baldanzose si profilano tra l’erba della prateria: simili per andatura e comportamento a un gruppo di corvi, ma con l’appariscente livrea dalle stirature bianche sotto il cappuccio nero, il grosso becco arancione e il resto del corpo anch’esso nero, fino all’emergere di un paio di zampe dall’iconico color giallo canarino. Esse, gracchiando con voce stranamente bassa, circondano l’aquila avvicinandosi su tre lati, mentre due di loro danzano selvaggiamente entro l’area principale del suo campo visivo. L’uccello più grande, allarmato, lascia il pezzo di carne sanguinolenta per vibrare colpi minacciosi con il becco all’indirizzo degli intrusi, se non che il terzo della compagnia gli gira attorno, andando con incedere furtivo a mordergli dispettosamente la coda. L’aquila si gira con una rapidità e ferocia impressionanti. Ma prima che possa riuscire a fare alcunché, il quarto membro della compagnia gli passa svelto sotto il naso, afferrando con fare trionfale il delizioso pezzo di cervo. Poi scompare tra l’erba per spartire il suo trofeo, preparandosi a un secondo passaggio entro i prossimi 15 minuti. È una tecnica speciale , quella messa in atto tanto spesso dai membri della specie C. plancus, comunemenente detti caracara crestati, per una probabile assonanza onomatopeica nei confronti del loro verso. Che può essere inserita a pieno titolo nel complicato quadro etologico di uno di quei volatili abbastanza furbi, persino scaltri all’occorrenza, da portare gli studiosi ad individuare in loro l’emergenza di una vera e propria personalità. Diversa tra i singoli esemplari, eppur sempre finalizzata a trarre il massimo beneficio dalla notevole conformazione fisica di cui l’evoluzione è riuscita a dotarli, attraverso l’incedere di plurime generazioni pregresse. Per un tipo d’uccello che pur essendo stato inserito formalmente nell’ordine carnivoro dei Falconiformes, presenta ben poco in comune coi suoi parenti più prossimi, apparendo molto più massiccio, meno veloce ancorché abbastanza agile, ma soprattutto maggiormente incline a percorrere tragitti di media entità deambulando con fare dinoccolato direttamente sul terreno crepato dal sole dell’ambiente geografico mesoamericano. Con un approccio alla vita chiaramente finalizzato a trarre il massimo beneficio da ogni possibile circostanza in cui si trova a deambulare, irrispettoso e inconsapevole di ogni norma di convivenza…

Una delle caratteristiche più insolite del caracara è la sua totale mancanza di paura nei confronti di volatili più grandi, che tanto spesso sfida per avere il predominio su di una particolare opportunità di nutrimento. Neppure le aquile, sono al sicuro.

Suo malgrado dotato di una pessima reputazione, che può essere corroborata in senso filologico dalle qualifiche attribuitegli dal poeta cileno Pablo Neruda, pronto a definirlo “attaccapanni arrugginito dall’urina” e “mucchio di piume insolente”, il caracara è una creatura d’interesse tassonomico niente affatto trascurabile, come esemplificato dalla difficoltà tutt’ora significativa nel suddividere in maniera ragionevole le circa 10 specie suddivise in 5 generi, ed una quantità ancor maggiore di uccelli estinti, capaci di occupare un territorio che si estende dalla Terra del Fuoco nell’estremo meridione fino agli Stati Uniti oltre il vicino confine messicano. Sebbene alcuni esemplari molto avventurosi siano stati individuati, in epoca recente, fino al distante nord del Canada, dove parevano essersi adattati perfettamente al freddo di un così distante contesto operativo. Ciò in funzione, inutile dirlo, del solito problema del mutamento climatico, in questo caso utile a incoraggiare la ricerca di nuove terre, causa il progressivo ridursi dell’habitat disponibile nei territori di partenza. Il che avrebbe portato non poca confusione nella vita di coloro che osservano gli uccelli per hobby, nelle ultime decadi portati ad avvistare, e dover in qualche modo identificare una creatura tanto distante dal suo legittimo contesto d’appartenenza. Non che questo possa risultare in alcun modo problematico per il caracara stesso, dotato di quella straordinaria adattabilità ed interesse nei confronti del mondo degli umani che li rende avvicinabili concettualmente ai corvidi, così come la loro naturale inclinazione a pattugliare un territorio deambulando preferibilmente sui grandi piedi da rapace, molto meno arcuati e più stabili rispetto a qualsiasi altro falconiforme di questa Terra. Benché la cattura di prede vive sia ancora possibile, ed in effetti alternativamente messa in pratica, completando il quadro di un uccello che s’interessa di ogni situazione e pare in grado di riuscire a trarne sempre un qualche tipo di beneficio… Non che ciò sembri aver sortito sempre il risultato maggiormente desiderabile e funzionale. Vedi il caso spesso preso ad esempio del caracara endemico dell’isola di Guadalupe, anche detto C. lutosa o calalie, che poco dopo l’anno 1900 finì per estinguersi a causa di un’intenzionale campagna di sterminio messa in atto dai pastori delle capre locali, che attribuivano a questa specie aviaria una pericolosa inclinazione a torturare fino all’uccisione i membri più piccoli del gregge, facendo il possibile per separarli dalla solidarietà dei propri simili, per poi passare a ferirli sistematicamente finché non cadono a terra, ormai incapaci di resistere a un destino anche troppo terribile da essere narrato. Il che non è implicitamente improbabile se prendiamo in considerazione l’eventualità che possa accadere, sebbene la frequenza e ferocia della predazione fosse stata assai probabilmente accentuata nei resoconti coévi, forse nel tentativo di giustificare di fronte al mondo uno dei rari casi d’estinzione fortemente voluta e messa in atto dall’uomo. Generalmente in grado di mettersi al sicuro occupando areali più ampi, pur essendo ben lontano dall’indole migratoria di altri rapaci, altre specie di caracara risultano ad oggi una visione piuttosto comune nell’intero estendersi del continente americano, risultando concentrati in modo particolare in Brasile, Messico, Argentina e persino fino all’isola caraibica di Cuba, dove persiste una fiorente popolazione della varietà crestata. Mentre spostandosi maggiormente a meridione, la specie maggiormente diffusa diventa quella cosiddetta striata (Phalcoboenus australis) caratterizzata da una più semplice livrea marrone scuro ed un becco tendente al nero. Forse meno appariscente nell’aspetto, eppure non meno terribile ed incline a fare tutto il necessario per ricevere soddisfazione, come esemplificato dai molti video reperibili su Internet in cui aggredisce con fare spietato i piccoli di pinguino, mediante una tecnica divide et impera conforme a quella sin qui narrata. Ancorché occorra applicare l’importante distinguo, troppo spesso trascurato, di un uccello che comunque preferisce consumare una carogna piuttosto che andare in cerca di prede vive come anche esemplificato dalla sua testa parzialmente priva di piume, dando luogo al diffuso fraintendimento in merito alla maniera in cui molti degli animali domestici defunti, come capre o pecore, ritrovati con un caracara intento a consumarne le carni, fossero in realtà passati a miglior vita per il verificarsi di cause totalmente indipendenti dalla loro venuta. Il che non scusava, d’altra parte, il resoconto offerto in merito ai suddetti già da Charles Darwin durante il viaggio della HMS Beagle, di cui egli racconta l’abitudine a rubare bussole, telescopi ed altri oggetti scintillanti, non per averli ma in un comportamento tipico di tanti uccelli, motivato dal bisogno di distogliere l’attenzione dal prezioso cibo prima di compiere le proprie scorribande. Davvero chi possiede la nomina di ladro, dev’esser stato tanto spesso l’unico responsabile della sua reputazione…

Negli esemplari di caracara tenuti in cattività, nella stessa maniera di altri uccelli intelligenti come pappagalli o corvi, essenziale diventa una sessione quotidiana di arricchimento, in cui l’esemplare viene sfidato a risolvere una piccola quantità di problemi. Senza i quali, molto spesso, potrebbe finire per andare in depressione.

Incline alla costruzione di un nido di 60 cm di diametro sui rami più alti degli alberi, con la forma di una ciotola poco profonda, nessuna specie di caracara possiede preferenze particolari sulle specie d’arbusti da impiegare a tal fine. Laddove la questione maggiormente desiderabile per la coppia, tanto per continuare il tema dell’opportunismo, risulta se possibile l’esistenza di un alloggio costruito la stagione precedente, da ampliare e rafforzare ulteriormente lungo un periodo capace d’estendersi fino alle 2-4 settimane. Finché giunta l’ora lungamente attesa dell’accoppiamento, con conseguente deposizione di un massimo di quattro uova (ma più spesso 2-3) la coppia di genitori inizia il periodo di cura parentale, non dissimile da quello messo in pratica da tanti altri rapaci americani, tra cui la sopracitata aquila di mare. Un percorso senz’altro riuscito, nella maggior parte dei casi relativi alla specie crestata, per la cui popolazione è stato stimato un aumento del 6% nel periodo tra il 1966 e il 2015 ed in base ai dati raccolti nel Censimento degli Uccelli Americano, dimostrando l’evidente riuscita della loro lunga e reiterata migrazione alla ricerca di una più accogliente terra verso Nord. Dove gli incidenti stradali sembrano essere più frequenti. E l’aspettativa di vita dei quadrupedi maggiormente inficiata dall’eventuale incontro con la traccia di pneumatici finali. Anche questa, dopo tutto, è la natura di cui noi stessi facciamo parte. Indipendentemente dalla visione promulgata dall’opera dei poeti. Ed è in ultima analisi proprio quest’ultima, tra tutte, la realizzazione che dovrebbe esserci più chiara, cara, cara.

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