Sull’ali aperte dell’aninga, il singolare serpente piumato del Nuovo Mondo

Il dato strettamente interconnesso al concetto stesso di un iceberg è che ciò che vedi al di sopra del livello delle acque, nella maggior parte delle circostanze, non è affatto rappresentativo del resto. Perché allora quando osserviamo una creatura parzialmente sommersa, tendiamo a pensare immediatamente al contrario? Pensate al caso dell’ippopotamo, identificato fin dai tempi dell’antica Grecia come un “cavallo di fiume”, per il mero aspetto delle sue orecchie e il grosso paio di nari. Oppure il mostro di Loch Ness, sospettato da oltre 10 secoli di essere una sorta di di pesce oblungo o plesiosauro redivivo, benché le certificazioni acclarate del suo aspetto risultino necessariamente limitata a meno del 10% della sua massa fisica complessiva. E chi può dire dunque, se la sua propensione a scomparire totalmente per intere generazioni non derivi, in effetti, dall’abilità di spiccare agevolmente il volo nelle prime ore dell’alba o successive al tramonto, come un pipistrello vampiro delle proporzioni di un autobus, diretto alla scuola magica di Hogwarts attraverso il più affollato corridoio aereo di Scozia?
Tutto è possibile, una volta che si fuoriesce dai confini della scienza fondata su fattori certi e verificabili, operazione diventata progressivamente più difficile con l’avanzare degli strumenti oggettivi a nostra disposizione, inclusa una tassonomia e studio dei processi biologici che possa dirsi puntuale ed approfondito. Metti il caso, ad esempio, che prima dell’epoca di Isaac Newton un adepto della cosiddetta Filosofia Naturale si fosse trovato al cospetto di uno splendido esemplare di Anhinga anhinga, l’uccello che gli americani sono soliti chiamare darter per la sua abilità nel nuoto subacqueo e per l’aspetto del becco simile, beh, a una freccetta (dart) nonché privo di narici, relegando la respirazione al solo impiego di un’epiglottide (!) particolarmente sviluppata. Egli non avrebbe certo esitato nel credere di aver finalmente trovato la mitologica risultanza di un uovo di gallina covato da un rospo o un serpente, la temuta coccatrice dallo sguardo in grado di pietrificare i cavalieri più coraggiosi. Come spiegare, altrimenti, l’aspetto sinuoseggiante di quel lungo collo, in proporzione almeno il doppio di quello di un cigno. Per non parlare dell’indole naturalmente aggressiva e territoriale condivisa con quest’ultimo, di una creatura comunque non inferiore agli 80-90 cm di lunghezza, almeno in parte dovuta all’abitudine non proprio salutare di deporre le proprie uova all’interno di un nido costruito a livello del terreno, tra i giunchi a margine del proprio laghetto elettivo d’appartenenza. La provenienza stessa del suo nome scientifico, successivamente attribuito per antonomasia ad altre specie simili di regioni geografiche assai distanti, si colloca contestualmente nella lingua Tupi degli indigeni brasiliani, in cui parrebbe significare “uccello demone” probabilmente in forza di una presunta capacità di portare sventura e dannazione. Il che probabilmente giustificava, almeno in parte, l’eccidio energico che ne veniva fatto, per un immotivato entusiasmo gastronomico nei confronti delle sue carni.
Che i gourmet moderni, a dire il vero, considerano molto meno attraenti persino rispetto a quelle di una coriacea ed insapore anatra di mare. Dopo tutto, siamo di fronte a un agguerrito carnivoro, assai vicino al culmine della catena alimentare, anche grazie alla notevole forza concessa al becco dalla conformazione di un osso situato nel collo, che lo rende capace di serrarsi come una vera e propria tagliola….

Quando mettersi in mostra non è una semplice questione di vanità? Ad esempio, se lo sguardo che s’intende ricevere appartiene solo ed esclusivamente ad Elio, dio del Sole, soprattutto per riuscire a spiccare il volo prima del sopraggiungere della sera.

L’Aninga del Nuovo Mondo, talvolta soprannominato anche come il tacchino d’acqua benché ciò derivi più che altro dal suo ruolo sulla tavola dei nativi, piuttosto che alcun tipo d’improbabile parentela, possiede un areale relativamente ridotto che lo colloca tra la regione meridionale degli Stati Uniti e buona parte del Brasile, con popolazioni più sporadiche distribuite tra il Messico e l’America Centrale. Nonostante ciò, piuttosto prolifico con le sue 6-8 uova deposte per evento riproduttivo, non è inserito in alcun elenco di animali a rischio d’estinzione, pur rientrando tra le specie protette dall’ormai vetusto Atto degli Uccelli Migratori del 1918. Un sostanziale ottimismo applicabile anche alla maggior parte delle altre varietà inserite nel genere Anhinga, inclusive di versione orientale, australiana e africana benché la specifica variante di quest’ultima chiamata Aninga del Levante o Turco (A. rufa chantrei) minacciato per anni dall’industria petrolifera locale, sia stata condotta quasi all’estinzione dai tragici eventi inquinanti verso il termine della Guerra del Golfo nel 1991.
Dove l’uccello serpente prospera, tuttavia, esso risulta essere una vista piuttosto comune, al punto da essere frequentemente scambiato con un altro uccello appartenente all’ordine dei suliformi, l’ancor più celebre cormorano. Una somiglianza non soltanto nell’aspetto, in cui risulta distinguibile principalmente dalla maggiore lunghezza della coda e il becco dritto piuttosto che ricurvo, ma anche nel comportamento tra un tuffo e l’altro, che vede entrambi gli uccelli sostare fuori dall’acqua per periodi prolungati prima di prendere il volo, con le ali aperte nell’attesa che il sole gli asciughi le piume. Questo perché risultano essere privi, per un vezzo in apparenza sconveniente dell’evoluzione, di una versione funzionante a pieno dell’essenziale ghiandola sebacea dell’uropigio, usata da anatre, cormorani ed innumerevoli altre specie acquatiche al fine di rendere idrorepellenti i loro copri, con conseguente necessità di rimanere concentrati in zone abbastanza calde e secche da permettergli di asciugarsi in tempistiche sufficientemente brevi. Un solo sguardo al modo in cui entrambe queste categorie di pescatori piumati riescono a muoversi sott’acqua, tuttavia, consente di comprendere immediatamente il lato positivo di una simile mancanza: con un rateo di galleggiamento naturalmente negativo, essi riescono a muoversi come dei letterali siluri all’inseguimento del pesce che hanno scelto di catturare, e benché l’aninga sia un nuotatore lievemente meno formidabile e veloce del cormorano, sono ben poche le prede che riescono a sfuggirgli nei propri naturali ambienti d’appartenenza. Un limite prestazionale dovuto in buona parte dalla maggior grandezza delle sue ali, che pur rendendolo meno idrodinamico e richiedendo più tempo per decollare gli donano di contro la capacità di planare risparmiando energia, potendosi spostare a distanze comparativamente assai superiori. Operazione occasionalmente compiuta da interi stormi composti da decine di questi uccelli, sebbene in modo tutt’altro che regolare non trattandosi effettivamente di una specie migratoria. Né gregaria, vista l’indole aggressiva adottata immediatamente una volta giunti a destinazione, una volta scelta la compagna ed iniziata la costruzione del nido.

I grandi piedi palmati dell’aninga, effettivamente simili a quelli del cormorano, gli permettono di muoversi agilmente sott’acqua e quando necessario, camminare a terra senza particolari impedimenti. Davvero siamo di fronte, in questo caso, a una creatura che può dominare i differenti elementi della Terra.

Nonostante l’elevato grado di parentela con l’affascinante famiglia oceanica dei suliformi, uccelli dai grossi piedi e becchi variopinti, i demoni serpentini non dimostrano particolari propensioni a rituali d’accoppiamento elaborati, con danze o altre esternazioni spettacolari ed appassionate. Dopo un breve volo dimostrativo da parte del maschio, molto simile alla consorte fatta eccezione per la colorazione tendente al nero-bluastro piuttosto che grigio scuro, i due iniziano subito a collaborare nella costruzione della propria dimora, ove verranno al mondo i pargoli della prossima generazione. Totalmente glabri e del tutto altriciali (dipendenti dai genitori) per un periodo di almeno sei settimane, benché capaci di gettarsi in acqua in caso d’emergenza dopo il trascorrere delle prime tre. Sfuggendo a chiunque sia stato sufficientemente forte o insistente da superare le feroci difese accampate dai suoi formidabili genitori, entrambi egualmente capaci di trafiggere col becco e spaventare mammiferi dal peso ed imponenza considerevolmente superiore al proprio.
Una strategia che a quanto pare non funziona altrettanto bene con gli alligatori. Ma d’altronde anche questa è la dura legge della natura: non importa quanto sia potente l’effetto pietrificante del tuo sguardo semi-mitologico, c’è sempre un mostro più imponente ed attrezzato in agguato da qualche parte. E se non ci fosse, è chiaro che verrà un giorno il turno della più terribile tra le creature, quella che ha inventato la settimana enigmistica, la bomba atomica e la cerbottana.

Lascia un commento