Il castello in cui venne imprigionato Dracula, posto di confine tra l’ignoto e il moderno

Il fatto che sia mai effettivamente esistito in Transilvania un conte, o voivoda (comandante militare) che non beveva mai… Acqua, è in ultima analisi del tutto irrilevante, quando si considera il potere, storico, folkloristico e culturale, che può accompagnare la leggenda di un bel paio di canini acuminati. Non tanto per la loro capacità di far spillare il sangue dal collo di una vittima designata, quanto per l’implicazione stessa, di un essere che non ha mai avuto realmente bisogno di stringere alcun tipo di patto con il Diavolo, finendo per essere lui medesimo, in un certo senso, il Diavolo stesso. Ovvero Dracul, il gran serpente, colui che solo un santo ed un arcangelo avrebbero potuto costringere ad arretrare, fatta eccezione per Cacciatori armati di strumenti armati con la scienza e il raziocinio dei tempi moderni. Entità già piuttosto rare nel mondo le prime e non ancora esistenti i secondi, quando verso la metà del XV secolo nell’attuale territorio rumeno della Valacchia visse e comandò la figura storica più spesso associata a tale essere, il crudele condottiero Vlad III soprannominato l’Impalatore, per l’inquietante passione che sembrava possedere nei confronti dell’eponimo sistema di tortura e pena capitale. Da lui utilizzato con sadico trasporto per dissuadere i suoi molti nemici, prime tra tutte le armate di saccheggio inviate nel suo territorio per le ambizioni imperiali dei Turchi Ottomani. Uomini duri per un’epoca ancor più spietata dunque, sebbene un tale personaggio sembrasse possedere una reputazione in grado di andare oltre l’umanamente comprensibile ed accettabile, se è vero che nel 1462 Mattia Corvino, Re d’Ungheria, lo fece catturare dai suoi mercenari e imprigionare preventivamente nelle segrete del suo castello. Con ragioni principalmente politiche, tra cui la ferma intenzione a riappacificarsi con le terre situate a Oriente, ma non solo. Più e più volte infatti, il voivoda della Transilvania aveva soprasseduto ai suoi ordini, invadendo e saccheggiando villaggi situati in territorio neutrale. Costituisce dunque una particolare ironia, il fatto che tra tutti i castelli associati cinematograficamente al personaggio di fantasia, associato storiograficamente alla sua figura, il più celebre nei tempi moderni fosse destinato a rimanere proprio quello di Bran a poca distanza dalla città di Brașov, dove Vlad trascorse in prigionia un periodo stimato attorno ai 13 anni, prima di essere rilasciato per tornare a combattere, a patto che si convertisse alla religione cattolica e giurasse nuovamente fedeltà al suo sovrano.
Un luogo forse non tra i più imponenti e visitati siti storici della Romania, ma che proprio per questo fu l’oggetto di una formidabile campagna di marketing a partire dalla seconda metà del Novecento, finalizzata a renderlo il prototipo del classico castello “vampiresco”, inaccessibile sopra il suo zoccolo di pietra, il cui innegabile valore strategico risultava esteriormente subordinato a un senso di minaccia psicologico ed incombente. Sorpasso certamente non semplice, quando si considera il ruolo niente meno che primario posseduto da tale fortezza per almeno cinque secoli a partire dal 1212, quando i Cavalieri Teutonici ricevettero dal loro Gran Maestro l’ordine di costruire una struttura difensiva in legno presso il passo montano che costituiva l’unico ingresso nella regione prosperosa di Burzenland, sotto il comando di un “precettore” locale dal nome riportato di frater Theodoricus. Il cui immediato successore sarebbe andato incontro ad un problema presumibilmente irrisolvibile con la venuta del 1242 dei Mongoli, e la conseguente distruzione del castello. Ma tutti i grandi imperi, al trascorrere di un tempo sufficientemente lungo, vedono il proprio territorio flettersi in maniera esponenziale, e fu così che nel 1377 ritroviamo nuovamente questa zona sotto il controllo di un sovrano europeo, Re Luigi I d’Ungheria, che da ufficialmente il compito alla popolazione sassone di Kronstadt (l’odierna Brașov) di costruire un inviolabile passaggio di confine all’ingresso della Valacchia, che essendo costruito questa volta in pietra avrebbe potuto resistere (strutturalmente) ad un qualsiasi tipo d’assedio. E fu così che la struttura che ancora oggi chiamiamo castello di Bran ebbe modo di prendere forma, ad un risvolto e per bisogni niente affatto sovrannaturali della storia del Medioevo…

Scorci gotici e immancabilmente connotati da un’eccellente difendibilità strategica. Forse la dote più importante, per un luogo che doveva resistere all’assalto delle forze diaboliche dell’Oscurità notturna.

In tal senso, il castello di Bran sarebbe giunto a costituire fin da subito un’anomalia storica piuttosto rara: il sito di potere inespugnabile, non tanto strettamente associato a particolari figure nobiliari, quanto alla difesa democratica, e di comune interesse, di un’intero e prosperoso sito cittadino. Utilizzato a più riprese a partire dal 1395 con il fine d’interdire l’accesso alle truppe dei saccheggiatori ottomani, il formidabile edificio fu brevemente controllato dal voivoda Mircea l’Anziano, predecessore nel ruolo destinato ad essere di Vlad III. E si ritiene che negli anni successivi il temuto “conte” transilvano avesse attraversato più volte il posto di confine, senza tuttavia mai degnarsi di assumerne il comando diretto, un ruolo che d’altronde gli sarebbe stato difficile da mantenere dati i pessimi rapporti mantenuti coi mercanti severamente tassati della città di Brașov. Soltanto svariati secoli dopo la sua dipartita di un tale personaggio storico qui destinato a trascorrere la propria prigionia, il castello sarebbe brevemente passato sotto il controllo della dinastia dei re Ungheresi, almeno fino al fallimento finanziario di questi ultimi nel 1533 durante il regno di Vladislao II, occasione i cui l’amministrazione cittadina guadagnò nuovamente il controllo delle svettanti mura.
E ben difendibile, senz’altro, il castello di Bran sarebbe risultato almeno fino all’introduzione delle armi da fuoco su larga scala, data l’altezza e lo spessore delle sue mura dall’intonaco bianco, costellate di feritoie utili ad ostacolare l’avanzata nemica. Spaziosi magazzini e l’imprescindibile presenza di un pozzo costruito secondo metodologie tradizionali, nel frattempo, avrebbero permesso di resistere lungamente ad eventuali assedi. L’entrata principale stessa, costruita in un’epoca relativamente moderna, avrebbe visto originariamente il suo ruolo assolto da una piccola porta sopraelevata con un ponte levatoio, rendendo l’accesso alla fortezza estremamente irto e difficoltoso. Mentre al suo interno, le oltre 60 stanze avrebbero permesso ai difensori di trascorrere comodamente il tempo necessario all’arrivo dei rinforzi dal resto del potente regno d’Ungheria. Non è per nulla insolito dunque, ciò che avrebbe finito per costituire, in ultima analisi, la ragione per la caduta di un così impenetrabile sito difensivo: nient’altro che la firma apposta sul trattato del Trianon, al termine della grande guerra, quando l’intera Transilvania passò sotto il controllo della Romania, e con essa le strutture e regge sassoni costruite dagli operosi abitanti di Brașov. Che furono ben felici di cedere il controllo dell’ormai desueta fortezza alla nuova casa regnante, per l’ingente costo di restauro e manutenzione che si frapponeva a un utilizzo rinnovato da parte di chicchessia. Occasione che avrebbe ben presto finito per palesarsi, all’interesse dimostrato fin da subito nei confronti dell’antico Bran da parte della regina Maria di Sassonia-Coburgo-Gotham sovrana di Romania, che elesse l’enorme maniero a sua preferita residenza estiva, commissionandone l’intera ristrutturazione a un architetto cecoslovacco, Karel Zdeněk Líman. Fu questo l’inizio del periodo più grandioso nella storia dell’edificio, le cui stanze furono riempite della notevole collezione d’opere d’arte, mobili antichi e reperti archeologici della regina, fino a trasformarsi in un reggia rurale capace di rivaleggiare coi migliori esempi europei. Sua figlia e principessa Ileana di Romania, dunque, avrebbe proseguito la tradizione nell’epoca successiva, arrivando a trasformare il castello in un ospedale dove accolse personalmente i molti feriti di ritorno dal fronte del secondo conflitto mondiale. Ma nel 1948, con l’introduzione del Comunismo, fu deciso che il castello dovesse ritornare al popolo, e in effetti così fu…

La visita serale a luce di lanterna non può fare a meno di culminare con la cena tradizionale transilvana inclusa nel tour, sebbene non sia chiaro quanti risultino disposti a passare qui anche la notte. Tra vecchi scricchiolii, il sibilo del vento e altre… Creature?

La storia degli anni recenti del castello di Bran è un continuo ribaltarsi di diritti e diatribe di natura legale, con la creazione di una legge del 2005 secondo cui dovesse essere restituito all’ultimo erede legittimo di Ileana, l’uomo d’affari americano e nobile Dominic von Habsburg. Decisione in seguito considerata incostituzionale, ma che non avrebbe impedito all’Arciduca d’inaugurare nel 2009 il castello e aprirlo al pubblico come primo museo privato di Romania, completo di una serie d’installazioni sulla storia della tortura, tour guidati a tema e un affascinante “ascensore nel tempo”, attrazione tecnologica situata nell’antico foro verticale del pozzo. Una serie di scelte strategiche considerate, a posteriori, come positive per il turismo della regione e non solo, visto il successo avuto l’anno scorso dall’iniziativa per far visitare gratuitamente il sito a chi lo raggiungeva per vaccinarsi dal Covid, con tanto di locandina impreziosita dall’illustrazione di un’infermiera dai canini vampireschi e grondanti sangue.
L’unione più che incrollabile di mitologia e fatti effettivamente intercorsi, ovvero una delle dicotomie più complesse sul sentiero di chi tenti l’analisi filologica di un’Era. Così che l’effettivo svolgersi dei fatti sembra farsi nebuloso, mentre il destino stesso dei grandi personaggi storici viene connotato da improbabili, se non propriamente impossibili eventi. Perché se davvero Vlad III avesse avuto il potere di trasformarsi in pipistrello, perché mai avrebbe dovuto trascorrere anche un singolo giorno all’interno delle segrete dei suoi sudditi loro malgrado, pronti a screditarlo come fosse l’effettiva personificazione terrena del Demonio? Un essere che non ha forma conoscibile, tranne quella che scegliamo di volta in volta di attribuirgli. Ed è in fondo proprio questa, la natura totalmente spropositata della sua Forza.

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