Che magnifico gioco di equilibrismo! Mentre procedo sopra l’acqua del fiume sacro a bordo della barca usata per traghettare i turisti, simile a una canoa sovradimensionata, scorgo l’ombra scura che procede serpeggiando in mezzo ai flutti. Sopra i quali, in modo sostanziale, sporgono soltanto tre elementi: la coppia d’occhi attenti spalancati verso l’artificiale intruso delle circostanze e un po’ più avanti quella che potrebbe essere soltanto un chiaro esempio di ghara, la tradizionale brocca per il trasporto e l’immagazzinamento dell’acqua, molto usata nell’intero subcontinente indiano. Mentre tento di capire esattamente cosa sto vedendo, d’improvviso, quella cosa sembrerebbe emettere un potente suono, come un sibilo acuto, paragonabile a quello di un piccolo treno. La creatura, molto lentamente, appoggia le sue zampe sulla riva e si solleva, rivelandosi dotata di una doppia fila di appuntite scaglie sulla schiena. Come un drago, oppure un dinosauro? Ma la cosa che colpisce maggiormente, è il muso lungo simile a quello di un pesce, caratterizzato da una doppia fila di denti aguzzi ed affilati, fino a 110 da un lato all’altro. Sopra i quali, soavemente, grava quell’oggetto fuori dal contesto che a un secondo sguardo si rivela essere, nei fatti, fatto di cartilagine e parte inscindibile del corpo dell’animale.
Se lo sapete, pronunciatelo. Altrimenti sarò io a occuparmene: Gavialis gangeticus, nome latino nato da un fraintendimento o trascrizione problematica, laddove l’originale in Hindi Ghaṛiyāla (घड़ियाल) aveva piuttosto la funzione di fare riferimento al sopracitato vaso di terracotta. Concettualmente collegato fin da tempo immemore, per pura associazione visuale, a questo imponente essere tradizionalmente visto come la cavalcatura della Dea Gaṅgā, personificazione del corso d’acqua entro cui i praticanti di religione induista sono soliti praticare le proprie abluzioni, riti sacri e in tali casi, sepolture. Ciò detto chi dovesse, comprensibilmente, considerare un potenziale pericolo per le persone questo membro sud-asiatico dell’ordine dei Loricati lungo fino a 6 metri (il che basta a farne, caso vuole, uno dei coccodrilli più imponenti della Terra) dovrebbe risultare tuttavia tranquillizzato dalla specifica forma del suo cranio, appuntita almeno quanto un becco di cicogna, tipico accessorio per il mantenimento in ordine di una folta chioma. Il gaviale del resto, o come viene più correttamente chiamato in lingua inglese, gharial, risulta essere una delle più tranquille e timide tra le creature appartenenti alla sua specifica genìa, avendo spesso la peggio nei conflitti per il controllo del territorio con il principale coabitante dell’intero sistema fluviale dell’Hindu, il Gange, il Brahmaputra e l’Irrawaddy: il Crocodylus palustris o Mugger crocodile. Costruito dall’evoluzione per eccellere in un compito e soltanto quello, il coccodrillo dal muso a punta trascorre dunque un tempo comparabilmente molto elevato in acqua, fuoriuscendone soltanto al fine di riscaldarsi periodicamente sotto i raggi energizzanti dell’astro solare. Oppure per emettere il sopra accennato verso fischiante, fondamentale per i maschi in età d’accoppiamento, prodotto all’insolita struttura bulbosa che arrivando ad un certo punto a possedere, in realtà usata come cassa di risonanza per tentare di trovare una degna compagna. La quale giungerà quindi a deporre sulle rive del suo fiume, dopo aver scavato una buca profonda fino a 50 cm, una quantità di uova tra le 28 e le 60, ma in grado di raggiungere in casi eccezionali fino a 100. Sebbene molti di quei piccoli, purtroppo, siano destinati a perire prima del raggiungimento dell’età adulta…
Continuando a trascorrere le proprie giornate in acqua, la femmina ritornerà regolarmente più volte presso il sito scelto come nursery, finché dopo un periodo variabile tra i 60 e gli 80 giorni esse si schiuderanno, richiedendo il suo intervento diretto per disseppellire e liberare i cuccioli, già ragionevolmente indipendenti. I quali, lasciati a quel punto privi di protezione specifica, verranno in parte significativa divorati da sciacalli, cinghiali, manguste e ratti, per non parlare del loro stesso genitore maschio, generalmente rimasto nei pressi e semplicemente del tutto incapace di distinguerli da prede maggiormente opportune. Il che lascia intendere quel tipo d’inclinazione autodistruttiva che tanto spesso risulta essere, per imprescindibili ragioni, eternamente prossima all’estinzione.
La conservazione del gaviale, d’altra parte, splendida ed iconica creatura, risulta essere straordinariamente delicata nella nostra epoca con poco più di 200 animali rimasti allo stato brado, data la caccia non sostenibile che ne era stata praticata in epoche trascorse da parte degli umani, per la carne, la pelle assai più liscia della media dei coccodrilli, utile alla fabbricazione di accessori e soprattutto la credenza, totalmente ingiustificata dal punto di vista scientifico, che dal ghara sul muso dei maschi potessero esser tratti numerosi medicinali e persino un potente afrodisiaco. Man mano che i piccoli impareranno a cacciare, perdendo le strisce nere che fino a quel punto avevano caratterizzato la loro livera, uno degli strumenti maggiormente importanti per la sopravvivenza diventerà la serie di organi sensoriali integumentari (ISO) ovvero collocati in mezzo alle scaglie, sulla mandibola, il collo, la schiena e la gola, capaci di rilevare e tracciare la benché minima vibrazione prodotta da potenziali fonti di cibo. Una categoria che include, tra gli altri, insetti, crostacei e rane, finché al raggiungimento dell’età adulta i gaviali tenderanno a nutrirsi quasi esclusivamente di pesce. Pur eccellendo nella cui cattura, a seconda delle dimensioni dello stesso, dovranno fare i conti con la difficoltà di trangugiarne il corpo certe volte massiccio senza poterlo masticare eccessivamente per la forma lunga e affusolata della loro bocca, un gesto sostituito naturalmente dalla presenza nel loro organismo di numerosi gastroliti (pietre dello stomaco) ingeriti al fine di triturare e rendere maggiormente digeribile il cibo. Un altro metodo di caccia, d’altra parte, prevede per loro il semplice posizionamento restando in agguato, confidando di conoscere la natura comportamentale delle loro prede. Ragion per cui, una volta raggiunta l’età adulta, il gaviale maschio diventa molto territoriale e tende a scacciare via chiunque s’inoltri nel suo territorio, mentre la femmina può tollerare occasionalmente le sue cospecifiche, per la la tendenza reciproca ad assistersi nella protezione delle rispettive uova o neonati.
Creatura almeno in apparenza troppo incredibile per appartenere all’effettivo ecosistema terrestre, il gaviale potrebbe finire presto per seguire proprio un così triste fato, non soltanto per la caccia ma anche causa l’insidiosa, progressiva e inevitabile riduzione del suo habitat d’appartenenza. Entro cui la pesca intensiva, tanto spesso, lascia prede in quantità semplicemente troppo piccole per riuscire a garantirgli un adeguato mezzo di sostentamento. Il che, del resto, genera una situazione di crisi che risulta essere ulteriormente aggravata, piuttosto che mitigata dalla natura estremamente prolifica dell’animale. Una vera e propria task-force internazionale gestita da esperti di India, Pakistan, Nepal e Bangladesh è stata costituita per contare e mantenere sott’occhio lo stato della preziosa popolazione rimasta, mentre severe norme sono state indotte al fine di garantirne la protezione. Ciononostante, l’animale continua a venire scacciato da molte popolazioni umane locali, anche per la diffusa credenza che sia solito fagocitare parte delle salme sottoposte a sepoltura fluviale, una teoria sostenuta dal ritrovamento pregresso di ossa dall’aria sospetta e gioielli all’interno dello stomaco di esemplari già deceduti.
Allo stato attuale dei fatti, se vogliamo, il futuro del gaviale appare quanto mai incerto, almeno quanto le effettive origini del suo processo evolutivo tanto insolito e distinto dai suoi vicini tassonomici. Tra cui oggi sopravvive, solamente, il Tomistoma schlegelii o Falso gaviale di Malesia, Sarawak e Indonesia. Un altro sfortunato compagno degli elenchi rossi ed a rischio massimo d’estinzione costantemente ri-compilati dall’organizzazione internazionale dello IUCN.