Chiaro e fresco, serpeggiante serpe d’acqua nel cuore d’Europa. La Moldava, che partendo dalla Selva Boema confluisce nell’Elba all’altezza di Melnik. Ma non prima di aver bagnato, col suo rapido passaggio, la capitale storica del Gran Ducato di Boemia, città celebre per la sua arte, architettura e magia: Praga, che continua ad essere, attraverso i secoli, una capsula dei tempi che furono, attraverso le risultanze procedurali delle sue corporazioni e gilde ormai parzialmente dimenticate. Verso la costruzione di una serie di strutture come il ponte portato a termine verso l’inizio del XV secolo, soddisfacendo dopo un periodo di oltre 45 anni un mandato fortemente voluto dallo stesso sovrano del Sacro Romano Impero, Carlo IV. Erano le 5:31 del 9 luglio 1357, quando la prima pietra venne posta, soddisfacendo secondo la leggenda un’esigenza numerologica (la data 1357 9, 7 5:31 era infatti un palindromo, leggibile da entrambe le direzioni) finalizzata a rafforzare l’impresa ingegneristica di un’intera generazione. Che attraverso questo efficace racconto ricreato al computer, opera della Società Archeologica Praghese, si rivela essere un letterale concentrato di soluzioni particolarmente interessanti e ben collaudate.
Si parte con la realizzazione di un cassone o cofferdam secondo il metodo Romano, consistente nell’inserimento di una doppia fila serie di pali molto ravvicinati con orientamento perpendicolare al suolo, mediante l’impiego di speciali chiatte dotate di berta, nella forma romboidale di uno spazio ricavato a partire dalle bionde acque fluviali. Cui fa seguito, logicamente, la realizzazione di un terrapieno impermeabilizzante nell’intercapedine, sopra il quale viene montata una tipica ruota ad acqua per il sollevamento ciclico di capienti secchi. Tramite l’impiego di quest’ultima, senza particolari problemi, lo spazio viene allora drenato fino al punto di poter raggiungere il fondale, ove mani non viste pongono le fondamenta del pilone. Un’intelaiatura in assi di legno, sopra cui una forma in muratura simile alla doppia prora di una nave diviene un ulteriore recipiente, colmato di terriccio e sassi, la cui forma idrodinamica dovrà contribuire a deviare la forza e l’impatto delle acque insistenti del fiume Moldava. Una volta raggiunta un’altezza grosso modo corrispondente alla metà della struttura finale, l’opera prosegue mediante l’installazione ed impiego del caratteristico tipo di gru chiamato in latino magna rota (grande ruota) consistente in un meccanismo di sollevamento fatto funzionare mediante la semplice forza umana di una, oppure due persone, fatte correre come criceti all’interno di una sorta di meccanismo ginnico ante-litteram, con un guadagno energetico davvero significativo. Questo metodo, attraverso lunghi e operosi giorni, permetterà quindi la messa in opera della struttura temporanea della centina, l’insieme di sostegni e impalcature lignee utilizzati per sostenere un arco durante la sua costruzione e prima della posa della chiave di volta, sufficiente a garantirne la solidità anche in assenza di cemento o malta di qualsivoglia tipo. Che in effetti nel mondo antico e medievale molto spesso non si usavano, anche in strutture destinate a sopravvivere fino ai nostri remoti giorni. A questo punto, un po’ alla volta il ponte cresce, con pietre quadrangolari prelevate direttamente dalle imbarcazioni di trasporto e disposte in una doppia muraglia, non del tutto dissimile da quella di una cattedrale o fortezza. Ulteriori strati d’inamovibile terriccio vengono così deposti, tra le alte mura, fino all’altezza desiderata, momento in cui si passa all’implementazione della strada, percorribile a cavallo oppure a piedi, che dovrà da quel momento congiungere le due metà della città di Praga, chiamate rispettivamente “vecchia” e “piccola”. Ma non prima che una fondamentale struttura spiovente, disposta sopra la parte esposta dei piloni, possa incrementarne ulteriormente il grado continuativo di resistenza agli elementi. A questo punto chiaramente, visto il tempo trascorso, ogni persona originariamente coinvolta nel progetto sarebbe stata ormai molto anziana o defunta. Come anche lo stesso Imperatore, passato a miglior vita nel 1378, circa 24 anni prima che il ponte recante il suo nome potesse andare incontro alla solenne e tanto lungamente attesa inaugurazione. Per diventare un passaggio obbligato durante l’incoronazione dei suoi successori aprendo un nuovo capitolo, destinato ad arricchirsi di numerosi punti di contatto con le complesse tribolazioni storiche della città di Praga.
Nonostante la benedizione numerologica, il Karlův most sarebbe andato fin dal primo trentennio della sua esistenza incontro a un episodio piuttosto sfortunato: l’inondazione del 1432, che danneggiò tre dei pilastri, costringendo la città ad una costosa opera di restauro. Risolutiva almeno fino al 1496 quando, purtroppo, l’evento si verificò di nuovo, arrivando a causare il crollo del terzo arco, che non sarebbe stato rimesso in opera prima di un lungo e travagliato periodo di 10 anni. La storia del ponte resta quindi silenziosa e tranquilla fino al secolo successivo, quando nel 1621, successivamente allo scoppio della guerra dei trent’anni, il suo tragitto si arricchisce delle teste mozzate dei rivoltosi contro il potere degli Asburgo, esposte a crudele monito nei confronti dell’intera popolazione cittadina. Così entro la fine del 1648, il ponte si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia di quel sanguinoso conflitto, con l’occupazione della riva occidentale da parte degli Svedesi e un risultante danneggiamento ulteriore di una buona parte delle decorazioni gotiche facenti parte della struttura. Ciononostante, ormai in piena epoca Barocca, il ponte sarebbe stato nuovamente riportato agli antichi fasti ed ulteriormente arricchito, in seguito, mediante l’installazione di una doppia fila di statue o gruppi statuari, raffiguranti vari santi cristiani, alcuni cavalieri e l’immagine istantaneamente riconoscibile della Pietà di Cristo. Nonostante tale implicita raccomandazione nei confronti della volontà celeste, le sventure del ponte di Carlo non si erano tuttavia esaurite, portando a nuove inondazioni e conseguenti danneggiamenti per tutto il corso del XVII e XVIII secolo, sebbene mai tanto gravi da arrivare a causarne il crollo parziale, come avvenuto quella volta verso le ultime propaggini del Medioevo. Soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale durante cui aveva funzionato come punto d’accesso fortificato, infine, il ponte avrebbe visto vietare il passaggio di veicoli sopra le sue arcate, diventando un mero passaggio pedonale ed in funzione di questo, anche un’importante attrazione turistica in una città che non ha certo poche.
Dalla lezione architettonica del Karlův most, in funzione di tutto ciò, è che nessuna opera dell’uomo può durare in eterno, a meno che sia tanto inerentemente utile da giustificare la sua continuativa manutenzione ed in particolari circostanze, effettiva ricostruzione a partire dagli stessi princìpi generativi, verso il mantenimento in essere di una soluzione tecnologica che tutti, in un modo o nell’altro, hanno considerato valida attraverso le generazioni. Questo anche in funzione di quanto possiamo desumere dal video della Società Archeologica, da cui traspare una serie di soluzioni tecnologiche che pur essendo arretrate nonché lente, si dimostrano non meno capaci di assolvere all’obiettivo e la finalità tanto enfaticamente desiderate. E questo sebbene in certi casi siano gli stessi eredi, di un simile patrimonio destinato ad attraversare intonso i secoli trascorsi, a non valutare sufficientemente i meriti di una tanto incomparabile, nonché sofferta eredità ingegneristica cittadina.
Controversa e celeberrima risulta essere, a tal proposito, la gravosa operazione di ripristino del ponte messa in atto a partire dal 2008, con l’intento di proteggere l’antica infrastruttura dall’insistenza irrimediabilmente corrosiva della Moldava, per non parlare della pioggia battente, il vento e l’inquinamento. Che avrebbe portato al coinvolgimento di una compagnia di costruzioni senza particolari esperienze nel campo del restauro dei beni culturali pubblici, la quale avrebbe adottato una mano particolarmente pesante nel riportare l’attraversamento fluviale all’antico, presupposto splendore. Togliendo e sostituendo pietre, aggiungendone delle nuove e in generale cambiando sensibilmente l’aspetto complessivo dell’opera, soprattutto causa l’utilizzo di materiali evidentemente perfezionati a macchina e proprio per questo, totalmente inadatti ad integrarsi col sostrato pre-esistente. Una volta ultimata a tempo di record entro il solo 2010, l’opera di restauro è stata quindi definita inappropriata dallo stesso ente di conservazione del patrimonio umano dell’UNESCO, che l’aveva inserito nel suo catalogo assieme al resto delle testimonianze architettoniche nel centro storico di Praga. Perché la strada per la condanna sempiterna, come è noto, risulta sempre lastricata delle più durevoli ed efficaci delle intenzioni. A meno che le regole del mondo, la politica e gli appalti pubblici, non vengano improvvisamente capovolti, come la data e l’ora palindromiche di una fatale giornata medievale.