L’incomprimibile armatura del diabolico signore degli scarabei

“Così era tutto assolutamente vero” Pensò l’entità corazzata Nr. 4789, mentre volgeva la sua testa verso la fonte di luce fuori dal barattolo, all’indirizzo dell’enorme predatore dalla giacca color coloniale. “Nella guerra quotidiana per la sopravvivenza, restare immobili non è più abbastanza.” Infatti il suo nemico, avendo appoggiato sopra un tavolo l’indistruttibile prigione di vetro, aveva preso in mano uno strumento acuminato, della dimensione e spessore approssimativi di un ago. Ma grande a sufficienza da riuscire a penetrare l’entità, facendone un trofeo da esporre nella sua camera mortuaria trasparente. Il crudele aguzzino, tuttavia, aveva uno svantaggio di fondo: continuava a mancare, nel novero della sua percezione sensoriale della verità, la cognizione su chi fosse vivo e chi morto, in realtà. Il coperchio del barattolo venne a quel punto sollevato, stringendo l’entità tra il pollice e l’indice, per appoggiarla quindi sopra quella che sembrava essere a tutti gli effetti una bacheca in sughero, pronta a diventare la sua tomba. Egli restò immobile in maniera pressoché totale, tuttavia, sapendo quello che stava per succedere. Il titano calò lo spillone sul suo dorso, con un suono sordo simile a quello di una lingua di camaleonte che colpisce il vetro antiproiettile. Ma l’inclemente punta di quell’arma, all’improvviso, si piegò. Troppo forte l’armatura! Di un soldato tenebroso preparato a tutto, pur di far ritorno nei confini sabbiosi della sua nazione. L’entità corazzata Nr. 4789 scrutò i precisi confini della stanza, mentre l’entomologo, sparito per qualche minuto, era andato a prendere una punta più rigida, possibilmente attaccata a un trapano elettrico a motore. “Questa gente non sa proprio quando è il momento di arrendersi.” Mormorò tra se e se, mentre prendeva una decisione totalmente priva di precedenti tra le schiere della sua genìa: riprendere a spostarsi non dopo ore, bensì appena una manciata di secondi. Per cominciare soavemente a zampettare, verso l’unica via possibile di scampo di una porta lievemente socchiusa. Oltre cui fin troppo bene sapeva, scorrere l’asfalto distruttivo delle circostanze. Tra gli alti lampioni stradali, ove cui il singolo passaggio di un veicolo avrebbe potuto distruggere in un attimo, insetti meno resistenti e forti di lui…
Lo scarabeo corazzato infernale o Nosoderma diabolicum è una creatura diffusa nel territorio sud-occidentale degli Stati Uniti, con una predilezione particolare per i vasti deserti della California, che sembrerebbe aver imboccato un sentiero assai specifico nel labirinto dell’evoluzione. In qualità di scarabeo che ha perso nei secoli l’abilità di volare, analogamente a quanto avvenuto per alcune altre importanti famiglie dell’ordine dei coleotteri, la natura l’ha dotato in cambio di una versione alternativa delle elitre, gli scudi sollevabili normalmente utili a proteggere le ali, capaci di assorbire senza conseguenze letali una pressione stimabile attorno ai 150 newton, grosso modo stimabile sulle 39.000 volte il suo peso corporeo. Essenzialmente equivalente al caso di un essere di dimensioni umane, dimostratosi in grado di resistere alla massa torreggiante di un macigno da 3,5 milioni di Kg. Il che risultava essere del resto già noto, non potendo perciò costituire l’argomento principale del nuovo studio pubblicato dallo studente Jesus Rivera assieme al suo professore di scienza & ingegneria dei materiali dell’Università della California, David Kisailus, finalizzato piuttosto al necessario approfondimento del perché, e come, una simile casistica spropositata riesca effettivamente a verificarsi. Il che una volta messo per iscritto, approcciandosi per la prima volta a un argomento lungamente tralasciato dalle scienze ingegneristica ed entomologica al tempo stesso per una probabile attribuzione reciproca di competenze, sembrerebbe aver colpito in modo piuttosto diretto la fantasia del pubblico all’inizio dell’attuale settimana. Regalando un attimo di meritata celebrità, e spalancando l’opercolo della sapienza collettiva, nei confronti di questo essere a sei zampe che più che altro, possedeva il chiaro desiderio di essere lasciato in pace…

Una delle caratteristiche meno note degli scarabei diabolici è la loro capacità di ricoprirsi di una cera biancastra prodotta da apposite ghiandole, capace di proteggerli dal caldo e prevenire l’evaporazione di preziosa umidità.

Lo scarabeo diabolico corazzato (Diabolical Ironclad Beetle) una delle creature dal nome più altisonante dell’intero regno artropode degli insetti, s’inserisce dunque tassonomicamente nella famiglia non vastissima degli Zoferidi, contenente a seconda delle interpretazioni una quantità variabile tra le 30 e le 40 specie, esteriormente non dissimili dai più comuni, ed altrettanto scuri tenebrionidi. Tutte accomunate dall’appartenenza abitativa a luoghi piuttosto aridi, dove spesso trovano la soluzione abitativa di un tronco caduto e marcescente. Ove nutrirsi, con la massima voracità, dei funghi e delle muffe che attecchiscono al suo interno, fino alla deposizione delle lunghe larve vermiformi capaci di fare essenzialmente la stessa cosa. Da questo punto di vista, gli scarabei di terra dei deserti americani sono primariamente degli erbivori, benché non disdegnino nutrirsi, in alcune rare occasioni, di insetti d’altre specie o addirittura carogne di esseri vertebrati durante le ore diurne, scelte tra quelle che riescano ad attirarli con l’aroma fuori dal proprio legnoso condominio. Occupando primariamente lo spazio interstiziale tra la corteccia e gli strati solidi del tronco, gli scarabei potrebbero aver acquisito in questo modo la prima versione del proprio strumento di difesa primario: un paio di elitre non più leggere e mobili, bensì fuse assieme con la finalità di proteggere dagli urti la parte centrale del corpo; la conseguente incapacità di spiccare il volo, anche quando minacciati da famelici predatori, si è quindi occupata di fare il resto. Ecco dunque presentarsi la situazione corrente, soggetto dell’approfondita analisi da parte dello studio di Rivera, in cui la corazza dello scarabeo non è più soltanto resistente, bensì letteralmente impenetrabile da parte degli aguzzi denti o becchi di qualsiasi possibile divoratore del suo habitat d’appartenenza, mentre costui adotta la soluzione universalmente utile di fingersi morto. Almeno finché l’indistruttibile vittima, soltanto dopo il trascorrere di un tempo ragionevolmente lungo (si può giungere anche alla metà di un pomeriggio intera) ricomincerà a muoversi, come se nulla fosse avvenuto. Un obiettivo perseguito grazie all’espediente, come dimostrato ed illustrato nel testo, di una quantità di proteine d’ispessimento superiori a quelle di qualsiasi altro appartenente alla famiglia dei già corazzati Zoferidi, nonché uno speciale meccanismo d’incastro tra le due metà dell’armatura in questione, concepito per scaricare eventuali impatti nelle parti del corpo senza organi vitali, fino al punto estremo d’incrinarsi, ma in una maniera che l’insetto può riuscire comunque a rigenerare. Questo grazie alla conformazione simile a lamelle sovrapposte, ciascuna delle quali in grado di sfaldarsi in modo graduale, senza necessariamente andare incontro a una rottura disastrosa e totale. E qualora desideraste saperne di più, lo studio è disponibile sul sito Internet della rivista Nature, benché offuscato dietro il solito paywall d’ordinanza. Benché l’opinione pubblica sembrerebbe essersi focalizzata, come sempre tende ad avvenire, sul concetto secondo cui lo scarabeo sarebbe “In grado di sopravvivere all’esperienza di essere schiacciato da una ruota d’automobile” un’affermazione solo in apparenza esagerata come dimostrano i numeri acquisiti durante i test di laboratorio di Rivera et al, nei fatti, capaci di rimpiazzare un’ipotesi pindarica con l’inconfutabile, quanto inalienabile verità. E di sicuro causa un certo dispiacere immaginare la quantità di esemplari totalmente inconsapevoli, necessariamente schiacciati uno dopo l’altro al fine di determinare i limiti strutturali della loro straordinaria insettile fisicità.

Tra le specie più attraenti, lo scarabeo corazzato texano (Zopherus nodulosus haldemani) presenta una colorazione bianca e nera del dorso, che è stata ipotizzata avere lo scopo d’imitare l’aspetto del guano degli uccelli.

Con un agile balzo, l’entità corazzata Nr. 4789 lasciò quindi lo spazio verticale della zampa del tavolo, per per occupare quello orizzontale del pavimento. Mentre l’umano faceva ritorno con l’arma elettrica che ne avrebbe decretato l’irrimediabile disattivazione, un potente trapano a percussione, ma potendo fare affidamento sul suo colore scuro vista la ragionevole penombra della sera.
Nei 15 minuti successivi, come documentato nel rapporto consegnato alla base ad opera degli scout del tronco-madre, egli avrebbe conosciuto il formidabile impatto di 5 ruote; tre appartenenti a un autoveicolo, una di una moto certamente non in grado di fermarlo e l’ultima, molto più pesante, quella posteriore di un grosso autoarticolato. Che ne avrebbe decretato, sfortunatamente, l’ora dell’improvvida quanto inevitabile fine. Poiché nulla è più diabolico che il desiderio di tornare a tutti i costi presso il luogo d’origine e di appartenenza. Senza accettare, con rassegnazione, di rifarsi una vita dall’altro lato del grande fiume (asfaltato) delle circostanze. Non è mai una colpa mantenere chiari gli obiettivi fino all’ultimo, come un guerriero con la visiera dell’elmo permanentemente abbassata. Sebbene qualche volta, possa avere il prezzo più salato della Terra.

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