L’essenza taurina del Texas riassunta tra le corna di un bue

Nella gerarchia diabolica dei cerchi che ricevono i peccatori del mondo, la lunghezza delle corna può costituire un importante indicatore per lo status di chi ha il compito di amministrare ricompense & punizioni (soprattutto le seconde) tra gli stimati ospiti di tali occulte profondità. Diavoli simili a mufloni, antilopi, orici o stambecchi della Nubia. Qualche cervo, all’occorrenza… Ma c’è un solo tipo di creatura, nell’iconografia che si perpetra lungo i secoli, per Belzebù in persona, Satanasso ovvero il grande dirigente o manager di quest’azienda: l’esemplare maschio del bovino addomesticato, perfetta rappresentazione della massa muscolare, l’imponenza, la presenza di un’inamovibile possenza. Colui che tira innanzi il grande carro degli eventi, indipendentemente dal fatto che il campo sia già stato arato, oppure no (coperchi? Non fatemi ridere, per piacere!) D’altra parte esistono, per vasta cognizione acquisita, diavoli buoni o cattivi, dediti all’una, oppure l’altra strada di quel bivio che costituisce la struttura largamente artificiale del pensiero umano. E non che credo che molti potrebbero conservare alcun tipo di dubbio, su quale sia la strada intrapresa da Poncho Via di della cittadina di Goodwater, Alabama, forma tangibile o vera e propria personificazione di un tale personaggio, per quanto ci è dato di comprendere dalla larghezza del suo ineccepibile “manubrio cranico”: 323.74 centimetri che corrispondono, tanto per usare le metafore ufficiali, a due pianoforti a coda formato baby uno di seguito all’altro, oppure al volto della Statua della Libertà, quella Lady che da sempre viene sopravvalutata nelle proprie dimensioni tangibili, più che altro per la potenza simbolica delle sue forme.
Bovino che con il rivoluzionario messicano Pancho Villa assassinato nel 1923, grande generale e trionfatore di molteplici battaglie contro i Costituzionalisti, ha ben poco da spartire tranne l’assonanza del nome, data l’indole straordinariamente pacifica e bonaria, incapace di nuocere in qualsiasi modo salvo il presentarsi di possibili incidenti, come quando uno dei suoi padroni e allevatori si trovava accanto a lui a pescare, e per il gesto istintivo di scacciare via una mosca, finì per spingerlo col palco impressionante direttamente dentro l’acqua dello stagno. Il che tra l’altro, rientra totalmente nell’analisi etologica del Texas Longhorn, bovino simbolo dell’eponimo stato nonché razza nota per l’indole mansueta che la rese straordinariamente adatta, assieme alla capacità di resistere agli sforzi e la siccità, per percorrere le molte centinaia di miglia, a partire dal 1860, dei grandi traslochi di mandrie dal più vasto e povero degli stati verso il facoltoso settentrione, facendo la fortuna di quell’intera categoria sociale, che oggi siamo soliti riassumere nell’iconica figura americana del cowboy. Ma questa, come si dice, è tutt’altra storia…

Particolarmente popolari nelle aste in cui vengono descritti dal bizzarro “canto” del banditore, secondo il rinomato metodo dei mandriani nordamericani, i Texas Longhorn di nome e di fatto (nota: longhorn vuol dire lungo corno) rientrano spesso tra gli esemplari più notevoli e costosi dell’intera offerta commerciale in corso.

Il Texas Longhorn, diretto discendente autonomo delle prime mucche trasportate fin quaggiù dai primi conquistadores spagnoli, rappresenta una delle forme del bos taurus maggiormente indipendenti a seguito dell’alterazione dei tratti ereditari operata da parte degli umani. Tanto che, per il principio dell’evoluzione convergente, potremmo definirlo in qualche modo maggiormente prossimo, o persino rappresentativo, dell’antico uro, grande bovino della Preistoria asiatica ed europea. In un mixup genetico evidentemente rappresentato dall’ampia gamma di colori, forme e soprattutto orientamento delle corna dimostrato da questi animali, che tutto potrebbero sembrare, tranne che conformi all’uniformità di standard tipica delle razze ufficialmente riconosciute. Detto ciò, quando esattamente 7 anni fa la famiglia Pope decise di adottare uno di questi vitelli per l’ammirazione egualmente coltivata da padre e figlio, amministratori della loro fattoria in Alabama, nei confronti di un così simbolico animale, nessuno di loro poteva essenzialmente immaginarsi quale interessante futuro avrebbe coronato la loro coesistenza rurale. E fu soltanto verso il quarto anno di esistenza del pacifico animale, che notarono la maniera in cui le sue corna stessero crescendo dritte verso l’esterno, piuttosto che ripiegarsi in alto come avviene nella maggior parte dei casi. Cosa che sottintende, molto spesso, un valore d’asta misurabile nelle decine di migliaia di dollari se non addirittura oltre, per una metrica particolarmente dedita al valore estetico di un qualcosa, ben prima che i suoi meriti funzionali finalizzati alla produzione di un qualcosa di utile all’umanità. Un problema non da poco quest’ultimo, quando si considera come all’inizio del secolo scorso sia stata proprio la difficoltà nell’inserire questi particolari bovini all’interno di una carrozza ferroviaria, per l’ampiezza delle corna e non solo, a fargli preferire altre varietà, portandoli fin quasi al baratro dell’estinzione. Per non parlare della preferenza, tipica dell’epoca contemporanea, per carni maggiormente ricche di grassi e il conseguente accantonamento di una varietà tanto dinamica, che la nadir della sua esistenza fu considerata ancor più rara dell’intera specie, famosamente in bilico, dei bisonti nord-americani. Se non che l’ente governativo dello USFS (United States Forest Service) prese da parte un branco e si mise ad allevarlo sulle montagne di Wichita in Oklahoma giusto attorno all’epoca in cui lo storico Pancho Villa lasciava questo mondo, ponendo le basi di quello che sarebbe stato il nuovo Rinascimento di una così preziosa e significativa discendenza. Facendone, ad oggi, uno dei simboli maggiormente stimati e rinomati dell’intera parte meridionale degli Stati Uniti, infinitamente riproposto come mascotte di squadre sportive, insegna dei ristoranti, personaggio ricorrente della comunicazione pubblicitaria. E qualche volta, perché no, detentore di stimati record generazionali…

Il concetto di gestire veri e propri “branchi istituzionali” di razze particolarmente rappresentative fa parte dello stile di vita statunitense, come esemplificato dal branco di longhorn presso il sito storico di Fort Griffin vicino Albany, gestito dallo stesso ente preposto alla conservazione ecologica di quello stato.

“Niente di remotamente simile al bonario Pancho…” sembrano dunque concordare numerose testate online, “Aveva mai calcato la terra smossa di un ranch bovino!” Il che risulta essere vero, come spesso avviene, soltanto fino ad un certo punto e volendo concedere il beneficio dell’iperbole agli articolisti del caso. Poiché se è vero che la media di esemplari considerati “eccezionali” precedentemente si aggirava sulla cifra decisamente inferiore dei 2 metri e 50, lo stesso non può dirsi dell’attuale secondo classificato di una così impressionante congrega bovina, quel Sato con le corna dai 320,99 cm di ampiezza, inferiore di appena 3 al successore tra le auree pagine del Guinness World Record.
Un risultato, assai probabilmente, destinato a crescere ancora, data la selezione artificiale condotta dagli allevatori di questa razza, più che mai dediti a coltivare lo specifico distinguo che, più di ogni altro, sembra far lievitare il prezzo e il valore di questi animali. Peccato soltanto che Pancho, data l’intercorsa castrazione (come dicevamo, non si tratta di un toro, bensì di un bue) difficilmente potrà contribuire al prossimo capitolo di un simile viaggio evolutivo. E credo che proprio questo, in ultima analisi, ci permetta di comprendere chi sia il vero diavolo dell’intera faccenda.

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