Su Internet è particolarmente facile esprimere un giudizio prima di avere sufficienti dati a disposizione, condannando qualcuno per un gesto apparentemente crudele che presenta in realtà uno scopo nobile, persino benefico nei confronti della piccola “vittima” designata. Del resto farebbe anche una certa impressione, all’inizio di questo video prodotto da Barcroft Media, vedere James McKay che solleva uno dei suoi animaletti addestrati, facendolo oscillare su e giù mentre lo tiene per la parte anteriore del corpo, per poi prenderne il fondoschiena e sollevarlo all’altezza della testa, piegando di fatto quella flessibile spina dorsale a 90 gradi. Se non fosse per la qualifica ed il lavoro di costui: fondatore e istruttore capo della Scuola per Furetti Nazionale, una prestigiosa istituzione nel paese di Oxford, Cambridge e la regina Elisabetta. La storia degli inglesi con questo simpatico animale, discendenza addomesticata della puzzola selvatica così come il cane lo è del lupo, è comunque piuttosto antica, risalendo quasi all’epoca nebulosa in cui, secondo gli studi archeologici, l’uomo primitivo scelse di ricorrere all’aiuto di uno dei più scaltri, svelti e potenzialmente mansueti carnivori delle boscose lande della Preistoria. Letterali millenni trascorsi a catturare conigli, estirpare topi e spaventare la volpe all’interno della sua tana, aspettandosi in cambio… Che cosa? Qualche dono di tipo alimentare, rigorosamente a base di carne (queste creature non digeriscono facilmente frutta o verdura) una cuccia sicura e l’affetto del proprio padrone umano, manifestato spesso attraverso manipolazioni soltanto in apparenza “violente”, come quelle dimostrate nello spezzone soprastante, in realtà assai gradite come approccio anti-stress per il vorace mammifero strisciante. Finché raggiunta l’epoca odierna, il ventaglio di possibilità d’impiego si è ampliato, piuttosto che diminuire.
La scena è di quelle capaci di tormentare il sonno di chiunque si occupi di ristrutturazioni, specialmente in case dall’importanza storica pregressa. L’elettricista che, giunto sulla scena del cantiere, sfodera il suo flessibile passacavi per tentare di far raggiungere alla linea l’altro capo di una canalina pre-esistente. Poiché non sarebbe affatto possibile, né in alcun modo proficuo, pensare di rompere il pavimento, il muro o altre parti del prezioso patrimonio architettonico circostante. Così giunto a metà dell’opera, costui che si alza, con una scrollata di spalle: “Impossibile. Ci sono troppe curve a 90°. Non può… Passare…”. Al che si ode nell’incubo la colonna sonora del film Ghostbusters, con il suo ritornello che fa: “Chi chiamerai, chi chiamerai?” Un quesito difficile. A meno di vivere, per l’appunto, presso la city di Londra & dintorni, dove risulta possibile segnalare la propria esigenza all’istituto di studio superiore dall’odore muschiato, l’unico luogo in cui il furetto viene visto come una risorsa, ancora prima che un amico e compagno di giochi per tutti gli amanti degli animali. A venirvi a trovare sarà dunque, idealmente, lo stesso McKay con uno dei suoi striscianti tesorini, scelto tra quelli che si sono dimostrati capaci di completare il “percorso”. Un arzigogolato susseguirsi di gomiti, tratti longilinei, saliti e discese creato in PVC nel giardino della scuola, dedicato ad accrescere uno degli istinti più atavici del Mustela putorius furo, il cui nome scientifico significa in italiano, per l’appunto, “faina puzzolente ladra”. Che nonostante le apparenze non è un trinomio denigratorio, bensì una precisa descrizione delle propensioni innate di una simile creatura, la cui tendenza a prelevare piccoli oggetti (chiavi di casa, monete, telefoni cellulari…) per trasportarli all’interno della sua tana è fin troppo nota, così come l’indole naturalmente curiosa ed inquisitiva. Ragione per cui, una volta messo l’appuntito musetto all’ingresso di un tunnel appena poco più largo di lui, si può essere certi di una cosa soltanto: che il furetto farà di tutto per percorrerlo fino all’estremità opposta. Senza nessun tipo di carico oppure, ed è questo il bello, avendo ricevuto l’orpello di un piccolo gilet di trascinamento, al quale sarà stato legato, con sublime aspettativa, un lungo filo utile a tirare il cavo. E c’è di sicuro una ragione se il Telegraph, già nel 2010, definiva i furetti come il ponte metaforico che dovrà colmare il digital divide, lo scarto tra i servizi digitali disponibili in città e nelle zone rurali, in massima parte non ancora raggiunte dalla banda larga cablata, ovvero le fibre ottiche di ultima generazione. Finché la gente non si troverà a udire quel lieve scalpitìo, di affilati artigli all’interno del condotto, mentre il padrone all’altro capo del passaggio fa il possibile per attirare l’attenzione del suo fidato beniamino. Con risultati, il più delle volte, niente meno che eccelsi…
La storia dei furetti nei tubi è piena di episodi particolarmente gloriosi, strettamente interconnessi con alcuni dei momenti più memorabili della storia contemporanea inglese. Famoso è rimasto il momento, ad esempio, in cui ci si rese conto che il primo matrimonio reale da un bel po’ di tempo, quello tra Carlo e Diana del 1981, avrebbe dopo tutto richiesto una cablatura completa della cattedrale di San Paul, affinché tutto il mondo potesse assistere in diretta alla cerimonia. Un bel problema perché, ricordando quanto abbiamo evidenziato poco fa in merito alla natura intoccabile delle proprietà storiche, non c’è probabilmente nulla di più prezioso che l’integrità della grande chiesa, capolavoro barocco dell’architetto Christopher Wren. E tutto sembrava perduto se non che qualcuno, tra lo staff del palazzo, ricordò a chi di dovere come fosse ancora possibile far ricorso, in tempo ampiamente utile, all’assistenza dei piccoli quadrupedi striscianti, e con essi degli esperti uomini e donne che li avevano addestrati. Ed è così, dunque, che uno dei matrimoni più importanti dello scorso secolo ebbe modo di compiersi, grazie all’assistenza del più piccolo, e spesso ingiustamente sottovalutato divoratore di topi tra gli animali vicini all’uomo. Un altro significativo momento si sarebbe quindi palesato verso la fine del dicembre 1999, quando tre furetti di nome Beckham, Posh e Baby (nomi chiaramente ispirati alla vasta popolarità delle Spice Girls) ricevettero l’incarico tardivo di cablare il parco per il Millennium Concert, evento che avrebbe dovuto coinvolgere personalità musicali del calibro degli Eurythmics, Bryan Ferry e l’Orchestra Sinfonica di Londra. A patto, ovviamente, che si riuscisse a risolvere tardivamente il problema di come trasportare i segnali audio e video sotto la complessa struttura edificata sull’erba del Greenwich Park, prima che il giorno fatidico voltasse l’ultima pagina del calendario. Ma i tre mustelidi, questo vuole la leggenda, parvero quasi animati dal fuoco di una sacra missione, mentre percorrevano agevolmente i molti chilometri di angusti pertugi sotterranei, portando ogni volta a destinazione il conquibus necessario, per l’unica trascurabile ricompensa di un pezzo di porchetta o prosciutto lanciati al volo dai loro padroni. Altri esempi di utilizzo funzionale dei furetti si trovano negli Stati Uniti, sia in ambito edilizio che in quello decisamente più complesso dell’esplorazione spaziale. Si dice infatti che ogni qualvolta, a partire dall’anno 2000, il Comando della NASA doveva apportare dei cambiamenti dell’ultimo minuto all’impianto elettrico di una delle ultime missioni dello Space Shuttle, il tecnico incaricato fosse particolarmente piccolo e peloso, essendo nient’altro che un’affidabile furetta bianca di nome Misty. La quale lavorava in cambio dell’unico dono di una merendina Pop-Tart al gusto di fragola (incidentalmente, non proprio un cibo ideale per i furetti, ma si sa…)
L’impiego di esemplari di sesso prevalentemente femminile per l’apprendimento di compiti complessi è una prassi ampiamente nota nell’universo dei furetti, in funzione dell’indole più mansueta e flessibile delle cosiddette jills (in lingua inglese il maschio di chiama, invece, hob) benché fosse noto il caso in cui, all’interno di una tana di conigli, lei si fermasse una volta catturata la preda per divorarla del tutto. Caso in cui, convenzionalmente, veniva inviato all’interno della galleria il suo compagno, legato ad un lungo guinzaglio, che la facesse ritornare in superficie per poi essere bruscamente tirato indietro, possibilmente con la preda orecchiuta ancora saldamente stretta tra i suoi dentini acuminati. Una prassi, quest’ultima, che potrebbe anche essere alla base di quella ideata in epoca contemporanea per il trascinamento dei fili, benché la concatenazione possa risultare meno diretta di tante altre.
L’attività di perfezionamento degli impianti elettrici mediante l’impiego di questi discendenti della maleodorante puzzola, considerate simili storie di successo attraverso molteplici continenti, costituisce quindi un’importante occasione di profitto per chiunque abbia l’abilità e la pazienza necessarie ad insegnare qualcosa ad alcuni degli animali più iper-attivi e frenetici che abbiano mai collaborato alla creazione di un pianeta migliore. Il che dovrebbe voler significare, nel caso specifico e non particolarmente ambizioso, abitazioni a misura dei suoi padroni. Ma non è forse vero che esiste questo valore universale, che accomuna esseri umani e animali, noto con il termine di empatia? Un profondo sentimento innato, per cui se loro sono felici, anche noi siamo felici. E viceversa.
Così il furetto che s’inoltra al di sotto del pavimento o al di là dei muri, non capisce neppure che cosa gli abbiano legato per appesantirlo, pur sapendo che all’altro capo dell’Odissea tascabile troverà, senza falla, un delizioso pezzetto di carne. E sarà proprio quello, come Arianna nel labirinto del Minotauro, a spingerlo nuovamente verso la luce e le moine del suo ipertrofico possessore. Apritore di tutte le gabbie. Filosofo di ogni palla da tennis, dominatore delle lenzuola. Verso cui, secondo l’usanza dei furbi mustelidi, inscenerà quindi la propria “danza di guerra”, una serie di movimenti ritmici che sottintende sfida, minaccia e una feroce dimostrazione di forza. Ma anche palese, chiara ed imperitura felicità. Questa è l’usanza, molto prima di Leonardo da Vinci con il suo dipinto “La dama con l’ermellino” (1490) il cui aspetto, complessivamente, faceva più che altro pensare a un furetto. Ma forse neppure uno degli uomini più colti che siano mai vissuti, avrebbe voluto avvicinare l’amante favorita del Duca di Milano al concetto di un animale che tutti chiamavano, già allora, faina puzzolente ladra.