I microscopici caleidoscopi viventi creati dall’arrangiamento delle diatomee

Con concentrazione e precisione superiori all’umano, Klaus Kemp versa il contenuto della sua provetta all’interno di una bacinella, quindi ne estrae una minima parte mediante l’uso di un contagocce. Finalmente completo il lungo e laborioso processo di depurazione, mediante l’impiego di acido solforico, solventi e conseguente filtratura certosina, il liquido all’interno sembra scintillare come il più incredibile tesoro di tutte le Ere. Mentre socchiude lievemente gli occhi, avvicina l’estremità dello strumento al vetrino precedentemente disposto sotto il miglior strumento ottico di cui dispone nel suo laboratorio, attentamente cosparso dell’apposito fluido appiccicoso. E sorridendo, prende tra il pollice e l’indice l’impugnatura del micromanipolatore, una sorta di pinza da orafo collegata a tre capsule barometriche, capaci di ridurre e riprodurre perfettamente su scala inferiore i gesti messi in pratica dall’utilizzatore. Ora, tutte le luci possibili sono accese alla massima potenza. Ora i raggi del sole stesso filtrano attraverso le finestre volte in direzione dell’alba. Minuscole stelle, affilate stecche o losanghe, perfetti ammassi globulari attendono la sua attenzione. Tempo di mettersi, finalmente, al lavoro!
Nel vasto e variegato genere definito con l’appellativo di fantascienza speculativa, ricorre spesso la tematica della descrizione di una particolare razza aliena. Simile o straordinariamente distante dagli esseri umani, essa viene definita attraverso i propri aspetti esteriori, la fisionomia, le particolari meccaniche sociali ed il sistema politico vigente. Mentre ciò che viene spesso trascurato, fatta eccezione per alcuni autori, sono le particolari forme d’arte. Questo perché, probabilmente, l’esternazione di una propria visione immaginifica attraverso tecniche creative è giudicata in modo universale come una velleità per lo più individuale, inadatta a delineare gli stereotipi impiegati nella creazione di un intera genìa senziente, possibilmente distribuita attraverso diversi strati sociali. Tutto ciò nonostante attraverso gli studi antropologici pregressi siano state individuate alcune linee guida ideali, che ricorrono attraverso civiltà anche del tutto disunite e geograficamente distanti: la ricorrenza di determinate strutture, l’amore per l’ordine, l’applicazione di metodologie stilistiche mirate alla creazione di un qualcosa che possa essere universalmente descritto come bello ed appagante per lo spirito… Dell’uomo. Ciò che diviene determinante in maniera maggiormente significativa, a questo punto, diventa la scelta del mezzo. Sia che si tratti di un qualcosa dall’alto grado di sofisticazione finalizzata a simili scopi, come pittura, scultura, musica, poesia, piuttosto che un’adattamento dall’applicazione pratica di metodi creati appositamente ad hoc. Sistemi che vanno al di là del semplice bisogno procedurale, lasciando intendere l’esistenza di un merito ulteriore nel riuscire a fare un qualcosa di difficile, e proprio per questo tanto più unico ed originale nel grande oceano dell’Universo. Se davvero, prima o poi, dovessimo incontrare popoli provenienti da distanti regioni dello spazio percepibile, non è di certo facile provare a immaginare quali tra le nostre opere degli ultimi 3.000 anni riuscirebbero a colpire maggiormente la “loro” immaginazione. Ma un certo valore oggettivo, innegabile per qualsivoglia tipologia di sinapsi o schema neuronale, potremmo riconoscerlo nell’opera di coloro che prendono un qualcosa di creato dalla natura, trasformandolo attraverso quelle stesse linee guida che ricorrono all’interno della percezione umana della realtà. Veri e propri ponti tra il possibile e l’apparenza, il passato e il futuro e per loro tramite, in un certo senso, la vita stessa e la morte.
L’arrangiamento artistico delle infinitesimali alghe unicellulari note come diatomee è una pratica risalente sulla Terra alla seconda metà del XIX secolo, quando tra i possibili utilizzi del sistema d’osservazione dell’eccezionalmente piccolo, il microscopio ottico, ne venne individuato un tipo sorprendentemente nuovo ed affascinante: la creazione ed esposizione di veri e propri cataloghi di quanto i primi scienziati si mettevano a descrivere nei loro trattati, variegati microbi ed impercettibili creature d’infinite tipologie distinte. Un passatempo spesso complicato da portare fino alle sue estreme e maggiormente valide conseguenze, data la necessità d’individuare e mettere schemi misurabili in una manciata di micron, ben lontani da quanto fosse possibile osservare ad occhio nudo. Mediante l’impiego di strumenti come un ciglio di maiale o la punta di uno spillo, preventivamente liberati da ogni potenziale accumulo d’energia statica, capace di attirare a se le diatomee. Eppure, poiché dove c’è una sfida sussiste il desiderio di dominarla, ben presto determinati ambienti d’epoca Vittoriana si riempirono delle opere di questi eccezionali praticanti, tra cui il più celebre ad oggi resta il tedesco Johann Diedrich Möller (1844-1907) senza pari alla sua epoca per quantità, varietà e perizia delle composizioni prodotte, la stragrande maggioranza delle quali andanti ben oltre la necessità di presentare un catalogo di creature. Sconfinando nell’evidente compiacimento di creare un qualcosa di simmetrico, coordinato e memorabile per lo spettatore, mediante la creazione di composizioni geometriche di vario tipo, cerchi o addirittura figure prese in prestito dall’universo osservabile e l’immaginario collettivo. Così che ben presto, molti avrebbero seguito il suo esempio, aspirando a ricevere almeno un barlume di luce riflessa della sua capacità di regalare un lascito innegabile alla posterità inconsapevole di quanto abbiamo intorno, ogni qualvolta c’immergiamo all’interno di una placida laguna o corso d’acqua…

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Nuova indagine arricchisce la famiglia della puzzola capace di fare la verticale

Una visione in grado di colpire certamente il visitatore occasionale di un tale ambiente: piccoli uomini vestiti in bianco e nero, piccoli uomini che camminano oscillando nella foresta, girati rigorosamente verso l’altra parte. Individui dalla folta parrucca spettinata, le braccia aperte a salutare il sole (o la luna) una sorta di piccola coda triangolare. O almeno tale descrizione rappresenta l’impressione temporanea che se ne può trarre, finché non ci si avvicina eccessivamente per indagare la creatura molto evidentemente aliena, trovandosi di fronte ad una bizzarra trasformazione. Mentre questa si sposta minacciosamente in posizione quadrupede, trasformando e rivelando l’effettiva entità morfologica della questione: la parte davanti e quella dietro momentaneamente confuse, poiché puntano entrambe nella stessa direzione, che poi sarebbe la stessa di colui che ha scelto di frugare abusivamente all’interno di un simile ambiente. Soltanto momentaneamente perplesso, giusto il tempo di comprendere la situazione di pericolo! Poiché quella che si trova molto evidentemente innanzi, a partire da quel momento tremulo e ringhiante, si rivela all’improvviso per ciò che è davvero: una delle più piccole, ma cionondimeno inferocite, puzzole del continente americano. E se è vero che nella botte piccola c’è il vino buono, è ancor più rilevante tale aspetto nel caso dell’intero genere Spilogale (dal latino “donnola a pois”) le cui celebri ghiandole perianali, direzionabili come fossero bocche da fuoco dell’epoca Rinascimentale, possono lasciare scaturire una miscela di tioli (o mercaptani) molto meno diluita rispetto a quella della più comune moffetta striata, riservando alla sua vittima un fetore del tutto sconosciuto alla flebile mente umana. Ma se davvero simili creature possono costituire un simile terrore per ogni essere dotato del senso dell’olfatto, perché camuffare temporaneamente il proprio aspetto? La risposta, come spesso capita, è nel funzionamento non sempre razionale dei processi istintivi messi in opera dalla natura.
Chiunque abbia avuto incontri ravvicinati di un comparabile tipo conosce, del resto, il tipico atteggiamento del Mephitidae soggetto a fonti di minaccia esterno, con le zampe davanti ben piantate a terra e la coda sollevata verso il cielo, come una sorta di stendardo da guerra all’indirizzo dell’arrogante rivale. Quello che perciò deve essere accaduto nei trascorsi di questo particolare gruppo di specie poco più imponenti di un grosso scoiattolo (35-45 cm) è che attraverso l’inarrestabile processo di selezione, proprio gli esemplari capaci di apparire più grandi riuscissero ad ottenere i risultati maggiormente validi a salvarsi la vita. Portando i piccoli carnivori ad alzarsi progressivamente più in alto, e in alto ancora. Smentita dunque l’iniziale ipotesi che tale posa potesse servire a proiettare il fluido per l’autodifesa contro i bersagli distanti, vista la maniera in cui la posizione con tutte e quattro le zampe a terra risulti comunque preferita durante l’attivazione del meccanismo, la personalità delle cosiddette puzzole a pois ha iniziato ad assumere confini più chiari, da quella di acrobati circensi soltanto successivamente passati allo stato brado, a ragionevoli esecutori di una metodologia comprovata. L’aposematismo, dopo tutto, non è un’opinione… Aprendo la via ad un altro possibile significativo margine d’errore. Nonostante stiamo nei fatti parlando di un genere suddiviso tradizionalmente in quattro specie distinte, l’ultima delle quali classificata nel 1902, un gruppo di scienziati appartenenti all’Università di Chicago, l’Istituto dello Smithsonian e vari centri di conservazione biologica hanno lanciato alla fine dello scorso luglio un’avventurosa ipotesi: che la suddivisione precedentemente data per buona non potesse aver tenuto conto degli approfonditi dati genetici da loro raccolti, dopo il lungo periodo trascorso a raccogliere ed analizzare esemplari provenienti da tutto il paese, fino alla pubblicazione del rilevante studio sulla rivista Molecular Phylogenetics and Evolution. Tale da aumentare a ben sette, il numero complessivo delle specie individualmente distinte, motivando in maniera ancor più significativa l’adozione urgente di nuove misure di conservazione naturale. Questo perché, neanche a dirlo, la stragrande maggioranza di queste creature rientra a pieno titolo nei parametri del rischio d’estinzione incipiente…

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Risplendi magica farfalla sussurrante, che tutti si ostinano a chiamare pipistrello

Lo gnomo Ygor si appoggiò alla radice sporgente dell’albero, mentre saliva l’irto declivio per tornare verso il villaggio segreto. “Un pericolo, un pericolo e non c’è niente da dire” Mugugnò tra se e se, pensando alla concisa profezia del suo vecchio amico, il Loris Lento dello stagno in fondo alla radura gialla: “Un giorno una creatura proveniente dalla Luna ti morderà. E volerai lontano assieme ad essa, lasciando dietro ogni persona a te cara” Ma talvolta, occorre fare il giro delle trappole in orari strani, soprattutto quando si ode rapido il frinire di una cicala. Segno imprescindibile, che un artropode perduto sta aspettando di ricevere la misericordiosa liberazione… E non si può lasciare un insetto nobile, a soffrire dentro il cappio fino alle ore tarde della sera. Calcando giù il cappello consumato, la corta spada segnata d’emolinfa rassicurante al suo fianco, Ygor tese le sue orecchie a punta per meglio capire da dove venissero i suoni poco familiari di una notte d’autunno come questa: il sommesso parlottare della civetta delle palme; il sibilo della vipera dalle labbra bianche; il richiamo insistente del barbagianni delle erbe orientale. Ma soprattutto, un sommesso rumore di passi proveniente dal suo fianco destro, dietro un gruppo di funghi abbarbicati alla corteccia ruvida di un tronco particolarmente antico. Appena il tempo di girarsi, e lei era lì: spietata e terrificante. Alta poco più di lui, 4 cm di appariscente figura coperta da uno spettacolare mantello arancione e nero, la fata lo guardava con occhi desiderosi e la bocca leggermente aperta, canini bianchissimi che s’incontravano sul fondo vermiglio. “Vieni, vieni a me” Sembrava quasi pronunciare, coi movimenti economicamente eleganti delle sue gambe affusolate, tra cui pendeva un’impossibile coda a ventaglio. Ygor, d’un tratto perfettamente immobile, pensò per qualche attimo di tentare la fuga. Ma non è possibile cambiare il tuo destino, non più di quanto si possa resistere al morso di un vampiro, primo capitolo di un cambio d’esistenza radicale. La spada cadde rumorosamente a terra. “Loris mio, ti ringrazio. Tu l’avevi sempre saputo.” Due passi avanti, il secondo un po’ titubante. Prima che fosse lei a farsi avanti, mordace.
Non c’è metamorfosi, non c’è stregoneria, non c’è mistero. Se vogliamo usare termini di paragone razionali, nel discutere la singolare faccenda del Kerivoula picta o pipistrello dipinto, o ancora traducendo in maniera letterale dalla lingua bengalese, il solo ed unico “pipistrello farfalla”. Chiamato anche il singolo mammifero volante più magnifico al mondo, grazie al possesso di una splendida livrea creata in alternanza, formata da tonalità scure contrastanti inframezzate a pelo rosso, giallo, marrone o ogni altra possibile via di mezzo visibile nell’ampio catalogo delle livree animali. Una creatura piccola e divoratrice d’insetti, come ogni altro volatore notturno del genere tassonomico Vespertilionidae, risultando capace d’apportare un contributo indubbiamente positivo per la vita umana nella parte meridionale dell’Asia, notoriamente caratterizzata da una grande quantità di vettori patogeni proveniente da quel mondo di creature che ronzano dopo l’arrivo della sera. Il che, del resto, non è stato sufficiente a preservarne l’esistenza indisturbata nel procedere dei giorni, visto l’usuale carico di problematiche superstizioni fino all’epoca moderna, e successivamente a tutto questo l’esistenza problematica di un animale tenuto in considerazione particolarmente elevata, ma soltanto dopo che è stato ucciso, preservato ed esposto all’interno di una pratica cornice da esposizione. Proprio come una farfalla, una falena, uno scarabeo dalla schiena chitinosa troppo variopinta per poter continuare a vivere indisturbato. E finisce per essere soprattutto quella, la sua condanna…

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L’enorme farfalla che combatte per il territorio con gli uccelli della Nuova Guinea

Le popolazioni native della seconda isola più grande del mondo possiedono un metodo tradizionale per catturare gli imponenti e variopinti lepidotteri della loro terra, perfezionato attraverso gli ultimi due secoli al fine di preservarne l’integrità e poterle conservare con finalità turistiche e commerciali. Il ricercatore, naturalista e collezionista di uccelli Albert Stewart Meek, inviato presso tale territorio nel 1906 grazie ai finanziamenti ricevuti dal miliardario Lionel Walter Rothschild, non aveva il tempo, né la pazienza, di costruire una leggera rete fatta di rametti e fili di ragnatela, accuratamente raccolti nel sottobosco. Soprattutto dopo aver inseguito per settimane la leggenda di una farfalla “grande come un colombo della frutta”, senza scorgerne neppure l’ombra in mezzo ai rami del fitto sottobosco australe. Così quando vide qualcosa che poteva corrispondere alla descrizione, senza neppure mettersi a pensare alle conseguenze, impugnò il suo piccolo fucile da caccia a canna liscia, prese la mira e… Questa è la storia, tutt’altro che inusitata, di come mai l’olotipo di uno degli insetti più grandi e notevoli al mondo, oggi custodito presso il Museo di Storia Naturale di Londra, presenti alcuni fori da parte a parte nella vasta superficie delle sue ali. 27 cm di apertura, con una caratteristica forma angolare ed un’interessante livrea in alternanza tra marrone e giallo. Il che la identifica, senza necessità di ulteriori approfondimenti, come un’esemplare femmina della specie, vista la maniera in cui i maschi siano tendenzialmente più piccoli, e di un colore tendente al verde acqua con sfumature nere. Non ci mise perciò molto, il naturalista d’assalto, a comprendere di aver trovato quanto aveva sognato fin dall’origine della sua carriera, facendo quello che molti suoi colleghi avevano contribuito a definire come il comportamento standard in questo tipo di circostanze: usare come ispirazione il nome della regina. Che per quanto riguardava l’Inghilterra in quegli anni era niente meno che Alessandra di Danimarca, moglie di Edoardo VII e nuora della regina Vittoria. Ed è più o meno questa la storia di come la dinastia degli Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg si sarebbe trovata a contenere, dall’inizio del XX secolo, una vera e propria creatura fantastica, degna di essere fuoriuscita direttamente dalle pagine dello scrittore speculativo H. G. Wells. Niente viaggi nel tempo o all’interno di misteriose valli perdute, tuttavia, bensì una semplice applicazione dei princìpi recentemente scoperti dell’evoluzione, ovvero nella fattispecie in quella naturale tendenza verso il gigantismo isolano, quando in assenza di pressione da parte dei predatori nativi le creature tendono a diventare sempre più grosse e longeve, fino agli estremi resi possibili dalle loro rispettive categorie d’appartenenza. E sotto questo punto di vista la Ornithoptera alexandrae, della famiglia delle papillionidi e il genus Ornithoptera (anche detto Birdwing– Ali d’uccello) rappresenta una vera e propria Matusalemme viste le tempistiche capaci di raggiungere i quattro mesi dalla fuoriuscita dell’uovo fino alla trasformazione nella forma adulta, ed ulteriori tre trascorsi a svolazzare da un lato all’altro della foresta, in cerca di una valida compagna per procreare. Un periodo durante il quale la farfalla si trasforma in una vera e propria tiranna all’interno del suo territorio elettivo, attaccando con ferocia ogni possibile rivale in amore ma anche altre creature volatili come i piccoli uccelli locali, che molto spesso non possono far altro che battere in ritirata dinnanzi alla sua massiccia imponenza. In una letterale battaglia combattuta strenuamente, fino all’esecuzione di un notevole rituale di corteggiamento in cui la femmina vola bassa mentre il suo partner compie evoluzioni a qualche metro d’altezza da terra, assumendo l’ineccepibile guisa di un vero e proprio acrobata nei cieli dell’eterna primavera papuana. Come unica via d’accesso possibile alla deposizione di una quantità variabile di circa 200 uova nel corso della vita di ciascuna lady, ovvero non pochissime ma neanche pari alle vette raggiunte da altri esponenti di questo vasto e diffuse ordine di artropodi. Ma soprattutto non abbastanza, per riuscire a sopportare la pressione ecologica di un territorio sempre più ristretto, causa eventi indotti dagli umani ma anche un notevole disastro naturale: l’emersione, all’inizio degli anni ’50 dello scorso secolo, dell’imponente monte Lamington, un vulcano la cui eruzione avrebbe causato un gran totale di 3.000 vittime umane. Nonché la distruzione di svariati ettari di foresta, nella preziosa ed irrecuperabile regione di Oro…

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