Le onde quadrate, un pericolo che viene dall’osservazione del mare “tranquillo”

Il fulmine a ciel sereno rappresenta l’oggettiva possibilità, nonché paura pendente, che senz’alcun tipo di preavviso un’accumulo di elettricità statica accumulatasi tra le nubi in un periodo di ore o giorni possa scegliere di scaricarsi con tutta la sua furia, in un punto completamente casuale del territorio. Potenzialmente privo di entità viventi oppure, per una convergenza infausta della logica progressione degli eventi, cogliendo in pieno colui o colei che ha raggiunto il momento cardine della propria vita, ovvero il lancio del dado attraverso cui sopravvivere, piuttosto che includere la parola fine nel breve capitolo della sua esistenza. Ciò a cui normalmente non ci troviamo a pensare, invece, è che un fenomeno egualmente distruttivo e privo di preavviso possa giungere verificarsi anche mentre il nostro viaggio è configurato attraverso il solcare dell’onde marine, a bordo di uno scafo metallico costruito secondo i più precisi crismi dell’architettura navale. Poiché nulla può effettivamente resistere, da certe angolazioni, al disastroso sopraggiungere dell’onda anomala. Episodio scollegato da alcun tipo di tempesta, ciclone o altro fattore meteorologico evidente. Sembrando provenire a pieno titolo, piuttosto, da un colpo di coda improvviso del grande drago, guardiano che dorme sui lievi fondali delle circostanze. Chiunque abbia studiato la dinamica dei fluidi per un tempo sufficientemente prolungato, tuttavia, ben comprende come nulla possa accadere senza una specifica ragione. Soltanto non tutte le cause, di per se stesse, trovano una collocazione corrispondente ad un punto preciso lungo l’asse cronologico dei giorni.
Il che può emergere, con la giusta inclinazione mentale, dalla presa di coscienza dell’estesa saga videografica e disquisitoria su Internet in merito ad un particolare fenomeno strettamente associato ad un luogo della Francia. Sto parlando dell’Ile de Ré a largo Rochelle, meta turistica famosa per molte ragioni. Tra cui i molti resort turistici, il notevole ponte di 3 Km costruito per collegarla alla terraferma e la conformazione occasionalmente unica delle increspature marittime convergenti in corrispondenza delle sue coste. Una visione falsamente e pericolosamente attraente, a quanto pare e nell’opinione di molti, poiché dovrebbe indurre a una fuga precipitosa verso la terraferma, pena l’improvvido incontro con molte possibili fatalità evidenti. Quando le onde in questione si presentano con la forma approssimativa di una scacchiera, nel susseguirsi di una serie di precisi quadranti, pochi minuti prima che: A – Una forte marea di ritorno trascini a largo i bagnanti. B – Il vortice improvviso risucchi i malcapitati nella silenziosa casa del dio Nettuno. C – La zigzagante andatura dei flussi, a lungo andare, causi stanchezza e confusione, fino all’annegamento. Eventualità più volte smentite, nei vari ambiti in cui qualcuno le ha ipotizzate, sulla base della mera osservazione logica delle cose: ovvero se le onde incrociate hanno un’altezza inferiore al metro, come spesso capita, in quale maniera potrebbero mai condurre ad una tale sequenza di tragedie? Il fatto, tuttavia, è che c’è dell’altro. La catastrofe repentina che può derivare, occasionalmente dal tipo di disastro che non ti aspetteresti. Finché non fosse, drammaticamente, già troppo tardi per poter fare affidamento sulla propria preparazione pregressa di nuotatori, non importa quanto avanzata…

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L’ingegnosa giustapposizione tra il Tamburo Rosso e la Nave Bianca della città di Kobe

Nei primi film sui mostri giganti kaiju, proiettati a partire dalla metà degli anni ’50, il bersaglio della furia di Godzilla & Co. era sempre la grande città metropolitana di Tokyo. Un luogo istantaneamente riconoscibile, sia in patria che all’estero, e per questo tanto più soddisfacente da ridurre fantasiosamente in polvere, mentre l’esercito tentava per l’ennesima volta di bersagliare il lucertolone di turno. Quale altro luogo del Giappone, d’altra parte, vantava una serie di punti di vista altrettanto iconici, degni di essere raffigurati sulle locandine e gli altri materiali promozionali a corredo dell’innovativo franchise d’intrattenimento? Tanto che il primo cambio di registro può essere individuato solamente dieci anni dopo, con l’avventura apocalittica dal titolo ガメラ対バルゴン (Gamera Vs. Barugon) in cui il tartarugone alieno titolare si ritrova ad affrontare un gigantesco rettile cornuto dalla coda a frusta, nella sua ingrata missione autogestita di difendere l’umanità sulla Terra. E finisce per farlo, tra tutti i luoghi possibili, nell’operoso e “friabile” porto di Kobe, importante città portuale situata nella parte centro-meridionale della grande isola di Honshu. Prima vittima designata: l’interessante torre panoramica alta 108 metri di colore rosso e dalla forma paraboloide di un oblungo tamburo tradizionale di tipo tsuzumi (鼓) , costruita tre anni prima nel 1963 grazie ad un’iniziativa fortemente voluta dal sindaco Chujiro Haraguchi, sul modello della popolare Euromast di Rotterdam, da lui visitata durante un viaggio in Olanda. Il successo internazionale del film costituisce l’inizio di un processo di sdoganamento mediatico, tanto a lungo ricercato da tutti gli abitanti di quei centri urbani che non sono delle capitali, ma possiedono allo stesso tempo un fascino del tutto degno, e qualche volta giustamente capace, di raggiungere i quattro distanti angoli della Terra. Ora nel caso specifico di Kobe, un luogo strettamente legato alla storia marittima e commerciale del Giappone, è possibile osservare luna singolare inclinazione pubblica a celebrare la fondazione del suo porto moderno nel 1867 con grandi opere architettoniche, sebbene la torre avrebbe finito per anticipare di cinque anni il primo secolo trascorso da un tale fatidico momento. Non così, d’altra parte, l’edificio costruito accanto ad essa nel 1987 (120° anniversario) quello che oggi viene conosciuto come Kōbe kaiyō hakubutsukan (神戸海洋博物館) o in maniera più accessibile il Museo Marittimo di Kobe. Il cui edificio, recante la sola firma architettonica della commissione edilizia cittadina (che metodo tipicamente asiatico di attribuire i meriti!) risulta impreziosito dalla caratteristica configurazione del tetto a forma di vela gonfiata dal vento, rappresentata grazie all’utilizzo di una serie di elementi tubolari in metallo. Simili a quelli della torre preesistente, ma lasciati questa volta di un più sobrio color bianco, grazie al cambiamento nel frattempo delle norme di sicurezza aeronautica, in modo tale da formare, assieme, i due colori della bandiera nazionale del Sol Levante. Possibile che si sia trattato di una semplice… Coincidenza?

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Il castello spagnolo che incorpora tre navi pronte per partire alla ricerca del Nuovo Mondo

Il surrealismo come arte visuale, narrativa o poetica, è quella tecnica che tenta d’integrare panorami concettuali noti con creazioni mistiche o di fantasia, associazioni metaforiche mostrate al mondo nella più istintiva delle interpretazioni, quella nata dal disegno puro e limpido delle idee. “Castelli che danzano sul mare” ad esempio, può configurarsi come un valido riferimento al mondo della navigazione, ovvero quello in cui l’ingegneria sia trovi ad essere applicata alle necessità inerenti del principio di Archimede, fin da quando volgendo lo sguardo oltre l’orizzonte, ci si pose la domanda sulle terre che potessero persistere al di là del vasto spazio ove spariscono i continenti. Forse l’unico degno di nota, almeno fino alla creazione di un complesso tanto straordinario e fuori dagli schemi, come quello concepito originariamente nel 1987, da parte di un facoltoso medico ginecologo ormai prossimo alla pensione, che decise di trascorrerla rendendo omaggio a Colón. Non l’organo ma il grande esploratore Cristoforo, che qui chiamavano, per l’appunto, Cristóbal. Nella speranza rivelatosi poi vana, di riuscire a completare l’opera in tempo per il cinquecentenario della scoperta dell’America del 1992, missione destinata invece a realizzarsi con “appena” due anni di ritardo. Una tempistica da nulla quando si considera la complessità, e soprattutto le modalità di costruzione impiegate al fine di perseguirla. E guarda caso, il risultato… Capace di gettare la sua ombra intricatissima dinnanzi a quella strada provinciale andalusa, che costeggia il paesino di Benalmádena in provincia di Malaga, lungo cui il dottore di origini catalane in viaggio dagli Stati Uniti scelse di acquistare un vasto terreno dove scegliere finalmente di realizzare il suo sogno. Una svettante allegoria, la letterale manifestazione tangibile della Storia. In altri termini, il castello monumentale di Colomar.
Interpretazione a dire il vero piuttosto libera di quel concetto, vista la mancanza di effettive fortificazioni, che d’altronde a molto poco sarebbero servite in quest’epoca di assedi di tutt’altra natura, così come l’eventuale ponte levatoio, un salone principale o le vaste residenze del padrone di casa. Questo perché nel progetto fondamentale del Dr. D. Esteban Martín nessuno avrebbe dovuto effettivamente vivere all’interno del suo grande lascito, destinato piuttosto a costituire una visione ed un suggello, relativo al personaggio che più d’ogni altro seppe dare il proprio contributo alla passata egemonia spagnola sull’Europa e il mondo durante l’intero periodo rinascimentale. Alla destinazione di quel viaggio, compiuto grazie all’opera di caravelle che fatte non furono senz’altro in muratura. Eppure in questa guisa ricompaiono, con fedeltà d’intenti mentre volgono a Ponente, nella più straordinaria commistione d’influenze e allegorie composte a beneficio dei visitatori…

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L’imponente attrezzatura usata per forgiare un moderno albero di trasmissione navale

Mai sottovalutare l’incisività di un video nella promozione aziendale, specialmente quando si dispone di una fabbrica che sembra l’officina stessa del Dio Efesto, che arrossò la cima vulcanica dell’Etna nelle notti di lavoro ininterrotto per intere generazioni. Un colpo dopo l’altro, oppure… Sotto la pressione incalcolabile di una possente volontà manifesta. Perché plasmare il metallo non deve per forza richiedere, in maniera inerente, l’applicazione momentanea e ripetuta di una serie d’impatti, scaturiti dalla forza cinetica di un maglio. Quando risultati altrettanto validi possono essere ottenuti, per così dire, con le buone ovvero grazie all’uso del tocco “leggero” di una cara macchina, capace di veicolare una pressione pari o superiore alle 3.000 tonnellate per centimetro quadrato. Appena sufficiente per poter comprimere qualsiasi agglomerato d’atomi, inteso come il reticolo cristallino dell’acciaio riscaldato al calor arancione-rossastro (circa 870 gradi) così da essere perfettamente malleabile, morbido e cedevole dinnanzi al desiderio implicito di raggiungere uno Scopo finale. Ma indurre i semi della trasformazione a germogliare, ricercando il frutto originariamente richiesto dall’ignoto committente, non è sempre facile e per questo la sequenza, accompagnata in questo caso unicamente dai soli effetti sonori, senza musica o commenti fuori luogo, finisce per estendersi oltre i 12 minuti complessivi, offrendo una finestra siderurgica verso una delle industrie più spettacolari ed infuocate dei nostri giorni.
Un passo dopo l’altro, a partire dall’estrazione del billetto (blocco di metallo) ortogonale dalle profondità di una gigantesca fornace, che scopriamo presto appartenere alla compagnia tedesca di Remscheid, Dirostahl, grazie all’impiego di quella che può essere soltanto definita come una grande pinza motorizzata, simile a un muletto fuoriuscito dalla cinematografia della serie Terminator. Il cui passaggio, fino alla matrice di compressione, viene doverosamente seguito dalle telecamere, mentre il fluido che alimenta i macchinari si concentra nei condotti sovrastanti al macchinario principale dell’intera operazione. Ed è all’arrivo di un segnale del tutto inaudibile, sopra il frastuono dei motori e gli ingranaggi, che la cosa attentamente surriscaldata inizia ad essere premuta e poi girata, premuta e poi girata per un certo numero di volte. Ciascuna corrispondente alla creazione di una singola sfaccettatura del componente desiderato, che nel contempo continua imprescindibilmente ad allungarsi. È questo l’effettivo inizio, un colpo alla volta, di un procedimento in cui le tolleranze sono minime, così come le occasioni di distrarsi dall’esecuzione di un copione ben collaudato. Perché non è di sicuro facile creare un pezzo del peso di almeno 35 tonnellate, che dovrà ruotare vorticosamente a circa 250 giri al minuto…

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