Il problema indissolubile del fucile da guerra francese MAS-36

Il soldato di ventura Bob Denard, mercenario e oppositore dei governi rivoluzionari che si erano formati nell’intero corso degli anni ’70 nelle colonie disseminate attraverso gli ampi spazi della franco-sfera d’influenza, incluso l’arcipelago delle Comore, guardò il suo ufficiale di controllo sul campo, responsabile delle operazioni di riconquista di quest’isola “imprendibile” di Anjouan, mentre l’odore di cordite cessava lentamente di permeare l’aria. “Lo stratagemma di far saltare in aria la vecchia quercia non ha funzionato, signore. I fratelli sono ancora operativi e pronti a far fuoco.” Già, due giovani cecchini in grado di guadagnare fama attraverso i numerosi colpi di stato che si erano succeduti a partire dalla dichiarazione d’indipendenza operata dal governo socialista nel 1976 e che ora, collocati in una posizione strategica in cima a quel fatale promontorio e sparando a turno con un singolo fucile, rischiavano di rallentare sufficientemente la conquista delle postazioni d’artiglieria sul fronte nord dell’isola. Le quali a loro volta, continuando a far rumore, avrebbero impedito lo sbarco delle truppe nella capitale, inficiando una sconfitta tempestiva delle truppe lealiste del governo dell’ex Ministro della Difesa, recentemente auto-dichiaratosi Presidente, Ali Soilih. “Capisco. Quanti anni hai detto che avevano? Diciannove?” Quindici secondi di meditazione “Cessa il fuoco di sbarramento per un tempo di due ore. Credo di aver avuto un’idea.” Chiamando quindi il suo soldato più imponente e muscoloso, gli chiese di operare uno strano gesto: prendere un fucile d’ordinanza in dotazione all’esercito di liberazione, il vecchio e onnipresente attrezzo con otturatore girevole-scorrevole risalente alla seconda guerra mondiale MAS-36, e lanciarlo all’indirizzo dei ragazzi in posizione fortificata. Con un foglio d’istruzioni in dotazione sul “corretto impiego” della spaventosa baionetta cruciforme in abbinamento all’arma. Quindi fece mettere da parte i suoi soldati, per l’intero pomeriggio a seguire. Verso l’ora del tramonto, organizzando una sortita, confermò le sue più rosee speranze: nessun nemico sembrava più sparare verso il sentiero. Facendo il proprio ingresso nella postazione dei cecchini, dopo essersi sollevato dalla posizione del leopardo, Denard scrutò quindi entro la fossa, confermando i suoi sospetti: due ottimi fucili frutto di tecnologia francese con le canne unite tra di loro, perfettamente uniti in una sorta d’inservibile doppia clava. Nessuna traccia dei fratelli, costretti necessariamente a ritirarsi. “Avanti, mon vaillant dell’orgogliosa Legione. La GLORIA attende gli audaci!”
Il Fusil à répétition 7 mm 5 M. 36, spesso abbreviato alla sua sola cifra d’identificazione finale, è uno di quegli oggetti la cui semplice esistenza, per alcuni versi, sfida la logica e la convenzione. Prodotto per ben 15 anni a partire dal 1937, ben prima di trasformarsi in modo tardivo nell’arma d’ordinanza delle forze armate delle isole Comore, aveva infatti la caratteristica di funzionare grazie al tradizionale metodo di sparo, dipendente dall’inserimento manuale nella canna di ciascun singolo proiettile, mediante l’utilizzo ben preciso del succitato otturatore. Perché mai produrre, dunque, alle soglie ormai della seconda guerra mondiale con le sue armi semi-automatiche e a ripetizione, un dispositivo tanto anacronistico nel suo funzionamento? E sopratutto, perché farlo in quelli che sarebbero diventati a un certo punto oltre un milione d’esemplari, facendone il principale fucile usato contro le forze d’invasione tedesche ma non solo, fino alle guerre successive d’Indocina, Algeria e la crisi del canale di Suez? La risposta, come spesso avviene, è che nulla di tutto questo era stato in effetti pianificato. Quando gli ufficiali responsabili decretarono di rinnovare l’ormai antica dotazione dei fucili Berthier e Lebel in dotazione alle forze armate, residuati della grande guerra, mentre i paesi del resto d’Europa erano già in avanzata fase di preparazione per quanto di tragico stava per accadere, alla soglia del quarto decennio del ‘900. Mediante lo schieramento, rigorosamente temporaneo, di un vettore di transizione, destinato successivamente a andare in dotazione ai riservisti, che fosse economico, rapido da produrre mentre venivano perfezionati i progetti di armi migliori e soprattutto adatto a chi non avesse ricevuto un lungo addestramento preparatorio. E fu così, che nacque una tale arma. Se non che come sappiamo anche troppo bene, nel 1940 i generali al servizio di Hitler avevano già terminato di aggirare agilmente la solidissima ed inutile linea dei forti d Maginot. E fu allora, che il MAS-36 si ritrovò letteralmente in prima linea, in mano a dei soldati che la guerra l’avevano immaginata solamente in potenza…

Far fuoco a ripetizione con un fucile dotato di otturatore scorrevole, anche se del tipo con la leva di manovra ricurva al fine di essere facilmente accessibile dalla mano sul grilletto come il MAS-36 francese, è un’impresa decisamente più macchinosa rispetto a quella di un equivalente implemento moderno. Benché tale approccio sottintenda, resta importante sottolinearlo, una precisione di sparo decisamente superiore alle alternative ingegneristiche coéve.

Ora, nessuno avrebbe mai potuto dubitare che la nuova arma francese fosse, per sua stessa natura, niente meno che perfetta ad un simile scopo. Concepita secondo crismi tecnici che gli storici degli armamenti (come il sempre puntuale, informatissimo Ian McCollum del canale Forgotten Weapons) non esiterebbero ad accomunare ad una visione per così dire russa della questione: il che significa, pochi componenti ma ben assemblati, solidi, letteralmente impossibili da utilizzare in maniera sbagliata. Con appena una manciata di parti mobili, di cui appena cinque rimovibili dall’utilizzatore: il corpo dell’otturatore, la parte posteriore dello stesso, il percussore, la sua molla e la baionetta. Già, la baionetta: un dispositivo dalla punta cruciforme non dissimile da quello dei precedenti fucili Lebel, se non fosse per l’intrigante sistema che era stato concepito, affinché i soldati potessero averla pronta in ogni momento. Un letterale tubo, posizionato sotto la canna, con un sistema di blocco in grado di funzionare in entrambi i sensi: sia che tale estensione dell’arma fosse inserita con la punta rivolta verso l’interno, scomparendo letteralmente come fosse la lama di un coltellino svizzero, sia voltata in quello opposto, orribilmente pronta a trafiggere un qualsiasi nemico in grado di dimostrarsi abbastanza sciocco da venire così vicino. Anch’esso un sistema ritenuto così semplice da risultare, nei fatti e per usare un’espressione cara agli anglofoni, a “prova d’idiota” (foolproof). Ma come afferma un corollario del credo internazionale degli ingegneri/progettisti, non è mai saggio sottovalutare il proverbiale idiota. Poiché esso risulta essere, nella maggior parte dei casi, un vero e proprio genio.
Ecco dunque il contenuto di un particolare memoriale d’armeria degli anni ’30 rintracciato da Ian McCollum, durante la compilazione del suo nuovo libro sulla storia militare francese, in cui si parlava di: “Praticare un foro laterale nel sottocanna dei Fusil à répétition in corrispondenza del meccanismo di sblocco della baionetta, affinché sia possibile compiere tale gesto dall’esterno.” Con una ragione chiaramente desumibile in funzione delle circostanze: è chiaro che soldati annoiati, in attesa di un’invasione tedesca che avrebbe anche potuto non giungere mai, avevano iniziato a chiedersi “Che cosa sarebbe successo” se un MAS-36 con la baionetta innestata fosse stato avvicinato frontalmente ad un suo simile, fino all’inevitabile blocco inverso dello stesso su quest’ultima estensione. O forse chissà, poteva essersi trattato di uno scherzo o scommessa; fatto sta che a seguito di un tale gesto potenzialmente innocente, ben due armi del fiero esercito francese diventavano del tutto inservibili per un tempo piuttosto lungo. Ciò anche in funzione dei metodi di assemblaggio particolarmente insidiosi ed effettuati mediante viti non-standard, proprio affinché i soldati non potessero smontare facilmente il proprio fucile, rovinando in conseguenza di ciò la calibrazione (non modificabile) del mirino fornito in dotazione all’arma.

L’otturatore scorrevole del MAL-36, esempio da antologia di semplificazione progettuale, viene descritto da Ian McCollum come inerentemente simile a quello dei fucili giapponesi Arisaka Type-38. Affermazione in merito alla quale, a fronte della sua evidente preparazione in materia, sarei incline dargli tutta la mia fiducia.

Ecco, dunque, la morale inaspettata dell’intera bizzarre faccenda: quella subdola ed inaspettata maniera in cui una progettazione assolutamente perfetta non risulta essere, quasi in nessun caso, anche idonea per il suo contesto d’impiego. Ciò in quanto, come sanno estremamente bene i programmatori dei moderni software informatici, l’utente finale è un personaggio spesso disattento, non sempre informato in materia delle sue mansioni e soprattutto, incline a cali d’attenzione derivanti dalla noia, dai momenti di stanchezza o l’esponenziale riduzione della prudenza, che deriva dall’essere giovani, circondati da altri giovani ed in cerca di un momentaneo svago.
Così sarebbe ben difficile affermare, con la coscienza di uno storico, che una scena come quella descritta in apertura possa essersi svolta per filo e per segno nel corso delle numerose insurrezioni armate delle isole Comore, successive alla sofferta dichiarazione d’indipendenza e relativa adozione del MAL-36 come strumento bellico ufficiale, antesignano dell’oggi irrinunciabile AK-47 (arma sinonimo dei gruppi armati non riconosciuti). Benché più di un soldato tedesco, durante l’avanzata lungo le valli erbosi della Provenza, debba aver trovato quel bizzarro manufatto composito, inscindibile e inservibile, composto dalla coppia di fucili portati vicendevolmente a “baciarsi”. Riuscite ad immaginarvi d’altra parte un miglior tiro mancino da riservare al proprio nemico, prima di gettare via letteralmente le armi e ritirarsi, o disertare, dinnanzi alla furia inarrestabile di un’intera compagnia meccanizzata della Wehrmacht, inarrestabile macchina bellica che il mondo non aveva mai neppure concepito… Senza alcuno spazio riservato ai valori aggiunti, precedentemente fondamentali nella guerra, del genio, la sregolatezza e la creatività individuale! Che soltanto i più esperti soldati veterani, nel corso del mezzo secolo a venire, avrebbero imparato, nuovamente, a padroneggiare.

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