In un video la classifica dei migliori tipi d’incrocio stradale

Chi ha detto che giocare ai videogiochi non possa contribuire, in qualche maniera trasversale, al bene collettivo della società? Come in questa iniziativa dell’utente di YouTube Euverus, nonché membro della community informale del gestionale urbanistico Cities: Skylines (erede del vecchio SimCity) che applicando svariate modifiche fatte in casa alla logica di funzionamento dello stesso, ha realizzato una delle classifiche divulgative più complete in materia d’ingegneria stradale, molto più completa di quella offerta da una comune enciclopedia. Questo perché qualsiasi progetto simile, con l’aiuto Internet, tende a seguire la strada operativa di un cosiddetto wiki, l’approccio collaborativo che vede l’opera di molti convergere, come il flusso automobilistico di uno svincolo, nel grande flusso che conduce alla meta finale. Sicuramente ci sarebbero svariati appunti da muovere, all’effettivo merito simulativo di tutto questo, anche visto il modo in cui il suddetto passatempo informatico si preoccupa di simulare l’apparato circolatorio del grande organismo normalmente chiamato “città”: automobiline che si sovrappongono a vicenda, talvolta, mancando di occupare specifiche corsie, o che mancano di comprendere il funzionamento di una rotatoria, fermandosi a ogni svolta anche in assenza di un semaforo. Ma come per chi tenta di anticipare le partite di campionato usando l’A.I. di Fifa o Pes, si può almeno affermare che le condizioni siano le stesse per ciascuno dei concorrenti “virtuali”. E poi, nel caso specifico, il vero merito risiede altrove. Non credo in effetti che tra i tre milioni e mezzo di persone che hanno visualizzato la sua creazione a partire da dicembre dell’anno scorso, molti conoscessero la differenza tra un interscambio sovrapposto o a diamante, oppure la varietà di approcci possibili al concetto d’incrocio a flusso continuo. E chi può dire che qualcuno di abbastanza giovane, improvvisamente affascinato da questo mondo, non abbia scelto proprio un simile momento per intraprendere la carriera universitaria che potrebbe condurlo un giorno ad aiutarci nell’ora di punta, croce irrisolvibile dei pendolari!
I diversi incroci sono stati ordinati dall’autore, dunque, a partire dal meno efficiente in assoluto, una letterale equivalenza sottodimensionata della famosa enorme piazza Meskal di Addis Abeba, in cui centinaia se non migliaia d’auto vengono costrette ogni ora ad uno smistamento autogestito senza nessun tipo di semaforo o regola di contesto, in un costante rischio d’incidente miracolosamente sventato. Un letterale caso di realtà che simula la fantasia, visto il modo in cui le automobiline del gioco si ritrovino ben presto in un incastro collettivo persino peggiore del previsto. E le cose migliorano, con un punteggio di traffic flow aumentato da 191 (flusso d’auto… Al minuto? Non viene specificato) mediante l’aggiunta di semafori fino alla cifra di 303, ma è soltanto col diamante di quattro slip lanes (corsie ausiliarie o vie di fuga) che le cose iniziano a farsi decisamente più interessanti, totalizzando 465. C’è quindi un significativo peggioramento con il passaggio alle rotatorie, visto il già menzionato errore di programmazione compiuto in merito dagli autori del gioco, il quale purtroppo non sembra ancora aver trovato una soluzione pienamente funzionale da parte del suo pubblico di appassionati. Ma anche questo, dopo tutto, ha senso nel contesto del mondo reale…

Leggi tutto

Prova su strada di un’auto elettrica dei primi del Novecento

Non tutti hanno avuto modo di conoscere in maniera approfondita, anche qui in Italia, la figura del conduttore, comico ed autore televisivo Jay Leno, conduttore del popolare Tonight Show statunitense per un periodo di 22 anni. Ma tra tutte le attività condotte nel corso di una lunga carriera, probabilmente ciò che gli ha consentito di acquisire una maggiore fama internazionale è la sua straordinaria capacità di realizzarsi come collezionista d’auto d’epoca, attraverso un oculato investimento delle sue significative finanze, l’opera di restauro condotta, talvolta, in totale autonomia e la costituzione attraverso lunghi anni dell’ormai rinomato “garage/museo” con circa 286 veicoli, risalenti a un periodo che si estende dall’invenzione del concetto di autovettura fin quasi all’epoca moderna.
Il che gli ha permesso di essere il protagonista, tra le molte altre, di interviste altamente specifiche come questa del programma My Classic Car, in cui l’eccezionalmente baffuto Dennis Gage viene portato a conoscere in maniera MOLTO ravvicinata, e persino guidare con le sue stesse mani, uno dei pezzi in assoluto preferiti della sua collezione: l’Inside-Driven Coupé del 1910 della Baker Electric, un “tardo modello” di quella che giunse a costituire, per un importante benché fugace momento, la più grande promessa dell’automobilismo americano d’inizio secolo, in un momento di svolta tecnologica che avrebbe cambiato la storia di questo ambiente. Nella cronologia in lingua inglese viene chiamata brass era ovvero epoca dell’ottone, con un riferimento al materiale usato di preferenza per rifinire componenti come i fari, gli specchietti o l’essenziale griglia del radiatore. Non che il veicolo oggetto del video, certamente bizzarro ai nostri occhi per composizione e funzionamento, si presenti in effetti fornito di una alcuna caratteristica similare.
Dovete considerare, al fine d’inquadrare storicamente l’intera questione, come le automobili dell’inizio del secolo scorso fossero tendenzialmente oggetti sporchi, brutti e spaventosi. Il tipico “carro senza cavalli” a vapore, ancora popolare in quegli anni, creava una quantità impressionante di fumo e rendeva l’aria del tutto irrespirabile, mentre le prime vetture con motore a combustione interna avevano la pessima abitudine di espellere lubrificante o altri liquidi poco gradevoli all’indirizzo dei loro utilizzatori mentre questi ultimi s’impegnavano di buona lena a girare vorticosamente la leva del loro dispositivo di avviamento. Ciononostante, si percepiva che l’autonomia, velocità e affidabilità superiore di quest’ultime avrebbero contribuito a renderle il solo ed unico possibile futuro. lo stesso Thomas Edison, in un famoso aneddoto del 1986, passò durante una cena un biglietto al suo amico Henry Ford con la scritta “l’automobile elettrica è finita”. Eppure sarebbe stato proprio lui, soltanto tre anni dopo, a progettare il nuovo modello di batteria ricaricabile per una nascente azienda di Cleveland, Ohio, diventando successivamente il secondo orgoglioso possessore del loro nuovo approccio al problema, più che mai attuale, di riuscire a spostare le persone, possibilmente senza finire per terrorizzarle.

Leggi tutto

F1 containers: la macchina dei trasporti dietro il grande show

Oltre il formidabile rombo dei motori, dopo l’innalzamento della bandiera a scacchi e prima che il semaforo diventi ancora una volta verde, la gente della Formula 1 combatte una battaglia lunga e complessa, che come la base di una piramide, rende possibile l’esistenza continuativa del vertice sotto l’occhio delle telecamere internazionali… Già, il mondo! Forse ci sono altri sport che si spostano e viaggiano da un recesso all’altro dei diversi continenti. Magari. Ma nessuno fino a questo punto, e soprattutto nessuno che comporti il trasporto sistematico di 2.000 tonnellate prima che inizi ciascuna gara, ovvero in altri termini, l’equivalente di 240 elefanti. Elefanti come quello dei pezzi di ricambio, o il pachiderma del paddock, composto di attrezzi, strumenti e chincaglieria tecnica di varia natura. Per non parlare di sedie con la proboscide, tavoli e il necessario per il catering, talvolta inclusivo di alimenti. Nessuno di sicuro, vorrà vedere i membri del team che staccano a pranzo, prima di crollare a terra causa un calo degli zuccheri residui nel sangue versato fino a quel momento. Questo perché tutto, letteralmente ogni cosa nella Formula 1, è determinato e finalizzato dalle norme utili al massimo grado di velocità. Particolarmente in questa stagione 2018 che ci ha riservato, oltre all’introduzione del sistema di rollcage halo per la protezione del pilota e una mescola delle gomme più morbida e performante, un calendario dall’itinerario straordinariamente complesso, inclusivo fino ad ora di una serie di tre gare in week-end successivi in Europa e spostamenti altre l’arco stesso del globo, causa il passaggio diretto da circuiti come Sakhir in Bahrein a quello di Shangai, per poi trovarsi la volta successiva presso Baku in Azerbaijan. Per non parlare del gran finale previsto a novembre, in cui i piloti e tutto il loro seguito si troveranno a fare, nel giro di neanche un mese, una triplice trasferta Città del Messico/San Paolo in Brasile/Abu Dhabi. C’è di che far girare la testa a chiunque debba occuparsi di pianificare tutto questo, sia per quanto concerne i materiali fisici che il viaggio, e il soggiorno di fino a 80 persone per ciascuno dei dieci team partecipanti alle gare, ragione per cui l’organizzazione di ciascun singolo week-end viene curata con molti mesi d’anticipo, ovvero talvolta, l’intero arco di un anno nel caso dei passaggi più complicati. Ciò detto, non ve ne sono davvero di semplici; neppure nella serie di gare dislocate nei diversi paesi d’Europa, per le quali ci si aspetta che tutto il necessario sia pronto all’utilizzo nel giro di letterali tre giorni, quelli che trascorrono tra il finire della gara di domenica e la metà della settimana dopo, affinché gli addetti possano avere la situazione pronta entro le prove di venerdì. Un po’ tutti ne eravamo in qualche misura coscienti. Ma poiché il diavolo risiede, come si dice, nei dettagli, è soltanto approfondendo le specifiche della questione che riusciremo davvero a comprendere quanta straordinaria abilità sia implicata anche nel far girare i più umili tra gli ingranaggi, di un carrozzone che tutti ammiriamo pur conoscendolo, nella maggior parte dei casi, soltanto dall’esterno.
Ci aiuta a comprendere esattamente ciò di cui stiamo parlando Wendover Productions, un canale di YouTube che affronta tematiche per lo più tecniche attraverso l’impiego di immagini di repertorio, diagrammi e la spiegazione pacata della voce del titolare, in questo caso sponsorizzato da una famosa casa produttrice di videogame. Ma pubblicità a parte, come sempre, è la completezza della spiegazione a rendere l’opera meritevole di essere condivisa, anche visto l’argomento di palese e pubblico interesse. Il primo aspetto al centro della sua dinamica, dunque, è la natura triplice dell’approccio logistico al problema: con mezzi, come diceva qualcuno all’incirca 7 decadi fa “Di terra, di cielo e di mare!” ciascuno sfruttato in funzione dei suoi vantaggi inerenti e punti di forza maggiormente efficaci. Ovvero nel caso dei camion usati per i tragitti intra-europei, quasi sempre di proprietà del team, la spesa decisamente minore. Ma nel caso degli spostamenti verso molte delle mete fin quei elencate, Ferrari & company non possono fare a meno di ricorrere ai Boeing 747 forniti tramite il sistema dei voli charter dalla stessa associazione della Formula 1, per i quali pagano una cifra commisurata al numero di container di cui ritengono di avere necessità. Tutto ciò che può essere considerato di minor valore o importanza, nel frattempo, parte verso i diversi scenari di ciascuna gara già con mesi e mesi di anticipo, venendo scaricato in ambienti portuali e tenuto in magazzino, fino al giorno in cui verrà posizionato nel rispettivo paddock di appartenenza. Soltanto in questo modo, è possibile garantire che ogni cosa si trovi al suo posto, nel momento in cui viene dato il figurativo fischio d’inizio e si apre l’accesso del personale di gara alla pista, che dovrà letteralmente ricostruire un ambiente utile a progettare una vittoria sull’asfalto reso incandescente dallo spirito di battaglia e il desiderio eterno di prevalere. E chi può dire, davvero, di avere assistito a un simile spettacolo? Il primo e più lungo dei pit-stop, in cui le vetture fatte a pezzi vengono estratte dagli imballaggi estremamente accurati e gradualmente ricomposte, a partire da motore, trasmissione, alettoni e strumentazione di bordo, proprio mentre a poca distanza gli addetti dei team principali assemblano i loro “uffici mobili” su più piani, composti da pareti ultraleggere e inclusivi di servizi come ristoranti, sale di svago, letti per trascorrere qualche *ora* di riposo ed altre simili amenità. Niente viene considerato eccessivo, per un’industria capace di generare svariati miliardi d’introiti mensili, soltanto attraverso l’estrema precisione ed abilità di alcuni dei più formidabili organizzatori operativi in qualsiasi campo…

Leggi tutto

Gli strani antenati dei moderni navigatori satellitari

È curioso e magnifico a vedersi: quel momento, durante un’occasione familiare o un pranzo di lavoro, in cui uno dei presenti nomina, intenzionalmente o per caso, la presenza amica nel traffico, quella signora contenuta nel cubo, l’essere virtuale che porta il suggestivo nome ripetuto: Tom, Tom. In una frase che suona in genere simile a: “E poi, c’è il TomTom, che…” Ed è lì, come da programma, che la situazione tende a sfuggire di mano: “Ooh, mi ricordo quando dovevo andare da…” Il navigatore è una meraviglia della tecnica che risolve ogni problema… Il navigatore è un diabolico marchingegno, concepito per mandare fuori strada le persone! Tutti sembrano avere un “aneddoto” o un “caso” da aggiungere alla discussione. “Quella volta in cui ho dovuto allungare, soltanto perché gli <algoritmi> di un dannato sistema <intelligente> avevano ricevuto notizie del traffico sulla tangenziale.” Ma sarà stato veramente così? OPPURE, quella volta in cui mi ha fatto imboccare un dedalo di vicoletti a senso unico, svoltando a destra, a destra, a sinistra, a destra, quando sarebbe bastato allungare di 2 Km per metterci la metà. Ah, quello stolto, imbelle “TomTom”. Di certo le specifiche del discorso possono variare, e qualche volta il colpevole viene identificato come Mr. Garmin, o addirittura qualcosa di avveniristico come l’app per cellulari Waze (nel quale, signora mia, le mappe vengono fornite dagli UTENTI, gli UTENTI si rende conto? E chi controlla la qualità!?) mentre l’opinione comune, un po’ come quella sui “disumanizzanti centri commerciali” o “l’inutile televisione” sembrano convergere sempre verso un consenso marcatamente negativo. Eppure, come l’oppio nelle fumerie del XIX secolo in quel di Macao, nessuno sembra poter fare a meno di questa gateway drug, l’allucinogeno che ci fa pensare, per qualche esilarante minuto, di conoscere veramente un itinerario verso destinazioni precedentemente inesplorate. La verità trasversale resta comunque configurata sul fatto che un moderno navigatore GPS, pur restando inferiore ad avere la strada perfettamente impressa nella memoria, consiste di un concentrato di tecnologia tutt’altro che indifferente. E la gente non comprende, davvero, la fortuna che abbiamo oggi, rispetto ai nostri predecessori generazionali.
L’uomo ha iniziato a perdersi, per strada o per mare, fin da quando esistono la ruota e il timone. Ma potremmo dire, in un certo senso, che una vera e propria soluzione abbia iniziato ad essere ricercata solamente a partire dal 1971, quando un’ignota azienda inglese, secondo questo video coévo del programma Tomorrow’s World presentato da Michael Rodd, produsse qualcosa di precedentemente considerato assolutamente inimmaginabile. Un sistema capace d’indicarti la strada. Già, ma come? Stiamo parlando di un’epoca in cui il posizionamento satellitare era ancora una tecnologia militare segreta di nome TRANSIT, usata per localizzare i sottomarini sovietici. Il che voleva dire che nessuna automobile, per quanto intelligente, avrebbe potuto comprendere di sua iniziativa dove si trovasse effettivamente in un dato momento X. Ma l’ingegnoso inventore di questo meccanismo, dal canto suo, seppe dimostrare un’interpretazione specifica del problema: “La necessità di sapere dove siamo serve soltanto se sbagliamo strada. Altrimenti, tutto quello che occorre per raggiungere l’obiettivo è un copione.” Il che significa in altri termini che l’apparato mostrato orgogliosamente nel video, in senso lato, non è altro che un mangianastri con diverse cassette corrispondenti ad altrettanti tragitti da A e B, oppure C e D. “Svolta a destra tra 100 metri, a sinistra alla rotatoria” e così via. Soltanto che, per ovvie ragioni, la registrazione non poteva essere riprodotta in maniera continua, e neppure si poteva chiedere al guidatore, mentre guidava l’automobile e cambiava le marce, di agire continuamente sui tasti stop, play e rewind della sua autoradio. Ed è qui che risiedeva, in buona sostanza, l’idea innovativa: poiché ciascuna di queste cassette presentava all’inizio di ciascuna indicazione un beep di lunghezza crescente, che poteva essere identificato automaticamente. Mentre il mangianastri in questione risultava collegato, tramite un sistema elettrico, al contachilometri dell’automobile, mentre una serie di schede perforate rimovibili permettevano di selezionare il diametro degli pneumatici sottostanti. Il che voleva dire che il sistema poteva conoscere l’estensione del tragitto già percorso dall’automobile, ed adattare le sue indicazioni di conseguenza. Naturalmente, un simile approccio diventava completamente inutile nel caso di variazioni benché minime dal sentiero preposto, come esemplificato dal presentatore che a causa di un cantiere  finisce per seguire indicazioni errate fino in fondo a un molo e giù, oltre gli argini del Tamigi. E scherzi a parte, tutti sembravano comprendere che al mondo servisse qualcosa di più…

Leggi tutto