La rivincita informatica del commerciante di formaggi

C’è una fiducia che deriva da anni di conoscenza, il rassicurante aspetto di quell’insegna e quella vetrina. Sulla pacata strada di Alkmaar, comune di 93.000 abitanti del settentrione d’Olanda, il negozio di Jan Kaan è una vera istituzione. Così come lo era stato altrove, tanti anni prima, quello di suo padre. Assieme ai suoi due figli, dietro un bancone di legno, il venditore di formaggi offre il suo prodotto con una solennità che è quasi rimpianto, al pensiero di separarsi da una merce che considera preziosa e straordinariamente importante. Un vero segno, questo, della sua decennale esperienza. Quest’oggi, tuttavia, l’atmosfera del negozio è diversa. Le persone in carne ed ossa, che entrano come di consueto dalla porta principale, devono infatti aspettare il loro turno. Mettendosi in fila con qualcuno che a dire il vero, non si trova neanche lì. Parlando verso una telecamera, Kaan prende in mano un pezzo di Gouda ben stagionato, mentre con in un inglese stentoreo e un po’ meccanico chiede: “Questo, signore, questo è il più vecchio che abbiamo. Devo preparare il pacco per la spedizione?”
La crisi dei piccoli è una gravosa realtà del moderno settore della distribuzione: con il progressivo diffondersi dei centri commerciali, ma ancor più quello dei grandi siti universali sul modello di Amazon, la massa dei clienti che preferiscono fare i loro acquisti online, senza fare la fatica di uscire di casa, è in continuo aumento, cambiando le regole ed i presupposti di successo per molte valide realtà locali. Alcune catene tra le più importanti, nei settori dell’elettronica, dell’abbigliamento e la gastronomia, per primeggiare tra la concorrenza, hanno applicato i princìpi di un approccio di vendita noto come omnicanale: creare un sito, una brochure, un call center, una serie di pubblicità, che riprendono tutte lo stesso stile grafico e comunicativo, inducendo nella mente del cliente una chiara linea guida che può invogliarlo, ad esempio, a provare un prodotto in negozio e quindi ordinarlo da casa, dopo aver rimuginato per mezza giornata sull’impiego che desidera farne. Utile, perché crea un’ulteriore occasione di acquisto. Funzionale, in quanto genera ulteriore visibilità senza un’eccessiva spesa di marketing in grado di condizionare il budget aziendale. Già, ma come si può giungere a virtualizzare l’esperienza del proprio negozio, quando l’elemento fondamentale di quest’ultima è proprio il contatto umano? Ovvero il fatto di trovare un esperto, appassionato da tutta la vita a ciò che vende, in grado di guidarti ed incoraggiarti durante l’esperienza di acquisto… La risposta è nascosta ovviamente nel moderno Web social ed interattivo. Taluni siti includono sezioni con una guida, il rimando una pagina Facebook o magari persino un canale di YouTube che permetta di apprezzare l’atmosfera di una visita al negozio “in mattoni e malta”, come si usa dire in America (brick & mortar). È pur vero che alla rapida velocità con cui progredisce ciò che fa tendenza online, persino tali metodi sono ormai superati: l’ultimo grido, come esemplificato dal successo della piattaforma di sharing ludico Twitch, è la trasmissione in diretta online.
Ed è questa, in parole povere, l’idea innovativa veicolata attraverso il negozio di Kaan: con il supporto del gruppo olandese ABN AMRO, ottavo istituto bancario più grande d’Europa, la costituzione di un nuovo sito Internet per l’E-Commerce, che vada a sostituire quello semi-amatoriale prodotto da un amico dei figli, lanciato attraverso qualcosa di letteralmente mai visto prima: cinque giorni di trasmissione video continua, durante l’orario di apertura, con un interfaccia per porre domande direttamente a colui che in effetti, preparerà il nostro ordine dal suo magazzino. L’esperienza è quasi surreale: rendendo nota la propria presenza in chat, si riceve un numero che è integrato con il sistema dei bigliettini forniti effettivamente ai clienti; uno dopo l’altro, gli spettri del sistema ricevono l’attenzione del negoziante, che risponde alle loro domande. Quindi, una volta convinti, effettuano l’ordine tramite la piattaforma online. Il fatto che il negozio di formaggi sia attrezzato per accettare pagamenti tramite Paypal e spedisca in tutto il mondo, ovviamente, aiuta. Ma si capisce subito che dietro questa iniziativa c’è stata l’assistenza di un intero reparto marketing, mirato ad elaborare ed implementare per la prima volta l’idea. Ed un domani, chi può dirlo? Tutto questo potrebbe anche diffondersi come un nuovo standard del commercio online.

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Questa mosca nera salverà il mondo

Nello studio del ciclo vitale di un insetto, c’è sempre il momento in cui ci si trova di fronte all’affermazione: “Quindi la femmina depone le uova e si ricomincia da capo.” Bruco, farfalla, bruco. Libellula, larva, libellula. Niente può fermare o rallentare il bisogno funzionale di riprodursi né la pulsione a trovare un luogo idoneo a farlo. Ma per noi esseri umani è diverso. Poiché preponderante è in noi la necessità di raggiungere lo stato di benessere, le nostre priorità sono differenti. Piuttosto che preservare, consumiamo, invece che osservare le inviolabili norme della natura, le calpestiamo ricercando metodi per aggirarle. L’essere umano, allo stato attuale dei fatti, ha drammaticamente bisogno di aiuto, principalmente perché ha perso la capacità di occupare un raggio della grande ruota del cosmo. Ma piuttosto pretende di guidare il carro, puntandolo dritto verso il più profondo baratro dell’entropia. E chi potrebbe mai darcelo, se non i nostri amici artropodi, che per secoli interminabili abbiamo scacciato, bruciato, avvelenato ed odiato qualora invasivi, velenosi o sporchi… Eppure sentite a me, senza mai andare incontro ad un fato terribile, come quello che potrebbe aspettarli nelle prossime generazioni. Adesso che chi di dovere ha capito, finalmente, che essi possono essere prevedibili ed efficaci come una macchina che non si guasta mai. Soprattutto quando mangiano la spazzatura.
La mosca soldato nera (Hermetia illucens) diffuso in tutto il mondo nell’area tropicale e sub-tropicale, è un dittero piuttosto atipico, poiché una volta raggiunta l’età adulta non può più mangiare. La sua bocca viene rimpiazzata da una struttura ad uncino, che usa per fuoriuscire dal substrato e spiccare il volo, per un lungo periodo di due settimane durante le quali, salvo particolari sfortune, dovrebbe riuscire a trovare la sua compagna. In funzione principalmente di questo, la forma adulta dell’insetto (imago) non è infestante, né viene naturalmente attratta dalle abitazioni e dagli insediamenti umani. Nel caso in cui dovesse entrarti accidentalmente in casa, poi, non ha i riflessi straordinariamente rapidi delle mosche nostrane, non punge e può essere facilmente raccolta e lanciata fuori da una finestra. Una volta completato l’accoppiamento, quindi, la femmina va in cerca di una certa quantità di materia marcescente, che può essere di origine vegetale o animale, dove deporrà le sue uova. Poco dopo, muore. La sua numerosa prole, una volta emersa nel mondo a distanza di quattro giorni, avrà un aspetto e uno stile di vita molto diverso: piccole larve biancastre simili a vermi, create esclusivamente per mangiare e diventare più grossi, diventare il più grossi possibile nel giro di poco tempo. Chiunque conosca la leggendaria voracità dei pirañha, connessa all’immagine tipica (ma esagerata) della carcassa di mucca gettata nel fiume e fatta sparire nel giro di pochi minuti, ancora non potrà facilmente prevedere la velocità con cui le BSF (Black Soldier Fly) effettuano il loro lavoro di acquisizione e stoccaggio dell’energia. Nel tempo necessario a maturare, un metro quadrato delle loro larve consumerà 15 Kg giornalieri di materiale organico, qualunque sia la sua provenienza. A questo punto, capite di cosa stiamo parlando? Siamo dinnanzi a una risorsa potenzialmente fondamentale per il nostro futuro.
È naturale che nell’attuale scenario della spazzatura prodotta dal consumismo, questo tipo di rifiuti non occupi il primo posto tra le nostre preoccupazioni. Dopo tutto, gli scarti di cibo, le bucce della frutta e gli avanzi sono naturalmente biodegradabili, giusto? Beh, fino ad un certo punto. Benché i microbi presenti nell’atmosfera possano riuscire a scorporare molte di queste cose, in effetti, essi non riusciranno a farlo quando la maleodorante materia si trova pressata contro se stessa in situazione anaerobica all’interno una discarica, dove tenderà a decomporsi in maniera straordinariamente lenta. Generando, conseguentemente, ingenti quantità di gas metano, uno degli agenti più pericolosi nel riscaldamento terrestre. Così per eliminare il pattume ancora ricco di nutrienti, alcuni paesi si sono rivolti storicamente al suino. Ma i maiali richiedono spazio, lavoro ed attenzioni assolutamente non comparabili a quelle di un’ammasso di larve di mosche. E questo senza considerare il nesso finale della questione: alla fine, senza falla, vengono mangiati da noi. E chi vorrebbe mai consumare una carne che ha nutrito se stessa in siffatta maniera… Anche se, cosa forse piuttosto sorprendente, anche le larve di potranno entrare, in maniera indiretta, a fare parte della nostra dieta. Ne è la prova uno studio prototipico messo in atto dalla EAWAG, l’ente svizzero per lo studio e lo sfruttamento dell’acqua, nel distante arcipelago indonesiano…

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L’oceano di mirtilli che riemerge dalla palude

Molti sono i segni della primavera nella boscosa regione geografica del Wisconsin, confinante con le acque gelide del lago Michigan e quello Superiore: la viola sororia, presente sull’emblema dello stato, sboccia in un tripudio di viola dall’emozionante intensità; il tasso nazionale si risveglia dal letargo, per andare in cerca di lombrichi, radici e frutti, prima di essere di nuovo sufficientemente in forze da tornare lo spietato carnivoro che era; mentre il pettirosso sugli alberi emette il suo canto melodioso, ettolitri di acqua vengono risucchiati dalle torbiere, permettendo a un tesoro di riemergere dal buio cupo delle Ere. Quel tipo di acquitrino, particolarmente tipico del continente nordamericano, in cui freddo e moto lento delle acque cooperano per creare un ambiente acido e limoso, in cui soltanto alcuni batteri e piante possono permettersi prosperare. Il che è fantastico per i contadini, che più di ogni altra cosa, aspirano alla purezza incontaminata delle proprie preziose messi, auspicabilmente impervie alle erbacce e ai bruchi predatori. Che fortuna! Dico questo, perché tra il vasto erbario locale, persiste da tempo immemore un particolare frutto, che non è una bacca nonostante le apparenze, la cui prerogativa principale è proprio il vivere felicemente sotto l’acqua che ristagna per l’intero inverno. È il cranberry (Vaccinium oxycoccos) altrimenti detto, per analogia genetica, mirtillo rosso americano. Oppure “Quella cosa con cui fai la salsa che poi metti nel tacchino degli amati Padri Fondatori” un punto fermo della Festa del Ringraziamento e del Natale, paragonabile per diffusione stagionale ad un’alimento come i nostri panettone o torrone. Il che pone, molto chiaramente, l’ora del raccolto non adesso ma in autunno. Quando finalmente, la mano sapiente del contadino ricoprirà di nuovo l’acquitrino di una rinnovata marea, tale da nascondere le piante per il tempo di qualche lungo minuto. Prima che il passaggio di un trattore, con le sue pale spietate, le separi dal loro dono “spontaneo” per l’intera umanità.
La produzione industriale dei mirtilli su larga scala è un’attività che non appartiene in modo particolare alle nostre terre, e benché la coltivazione della varietà nera (Vaccinium myrtillus) sia attestata, soprattutto sui monti del Centro e del Nord, nell’ora della raccolta ci si limita ad assumere un numero sufficiente di braccia, per coglierli uno ad uno esattamente come fossero dei pomodori. Mentre negli Stati Uniti d’America, luogo d’origine del vermiglio ossicocco, esiste un intero business plurisecolare dedicato a questa pianta, che attraverso numerosi esperimenti e qualche errore, è giunto alla codifica di un chiaro rituale delle stagioni, attraverso cui si ottengono due tipi di prodotto: imperfetto, pronto alla lavorazione (per fare succhi o salsa/marmellata) e perfettamente integro, inscatolato e pronto alla vendita nel reparto ortofrutta del supermercato. Forse contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il più importante mercato dei due è il primo citato, poiché il mirtillo rosso mangiato a morsi ha un gusto piuttosto amaro che definire acquisito, sarebbe riduttivo. Chi lo acquista il più delle volte, vuole in effetti usarlo per fare la marmellata in casa. E a questo punto, perché non eliminare questo oneroso passaggio? Gli eventi, dunque, prendono il seguente corso: per tutto il corso dell’estate le piante, scoperte dallo strato protettivo d’acqua per stimolare la crescita con maggior quantità di luce e ossigeno, vengono mantenute umide e protette dal calore tramite l’impiego di sistemi d’irrigazione a getto. Nel corso di tale periodo, vengono noleggiate delle api al fine di impollinare il maggior numero possibile di nuovi virgulti, che assicureranno la continuazione della redditizia venture per ancora il prossimo anno a venire. Quindi, mentre il tasso torna finalmente satollo nel suo rifugio pedemontano, il contadino trascina le pompe idrovore fino alla torbiera e sposta l’interruttore sulla posizione “immettere”. Al che succedono, in rapida sequenza, due cose: le piante spariscono di nuovo e i loro frutti iniziano ferocemente a galleggiare. Questo perché all’interno del mirtillo maturo c’è uno spazio, attorno ai semi, in cui riesce a penetrare l’aria e resta lì dentro intrappolata. Il che significa che i frutti galleggiano, esattamente come innumerevoli boe di segnalazione. E per quelli più recalcitranti, il passaggio del trattore basterà a fare il resto. A questo punto lo spazio viene recintato con dei galleggianti morbidi in materia plastica, costringendo i mirtilli a raccogliersi attorno alla macchina che molto semplicemente, li raccoglierà.

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La bacca che hackera il sistema dei sapori

“Tu sei uno schiavo, Billy. Nient’altro che uno schiavo, come ogni altra persona vissuta nel secolo della gastronomia. La tua è una prigione dolcissima, fatta di cioccolata, dolci e caramelle.Nessuno può comprendere la vera natura dello zucchero, da solo. Dovrai scoprire con la tua lingua quale sia l’unica alternativa.” A sottolineare perfettamente l’affermazione, un fulmine globulare sbocciò nel cielo, illuminando la grande finestra della sala mensa universitaria. L’interlocutore dal marcato accento russo sorrise brevemente, mettendo in mostra una fila di denti perfettamente bianchi e regolari. Le strisce altrettanto candide della tuta dell’Adidas parvero dilatarsi, mentre estraeva dalla tasche dei pantaloni due piccoli oggetti dalla forma sferoidale. “Non te lo chiederò di nuovo. Pillola azzurra: dimentichi tutto. Domani tornerai da Starbucks per prendere il tuo milkshake “dietetico”, pranzerai da McDonalds e crederai ciò che ti fa più comodo. Fine della storia. Pillola rossa, resti con me nel paese dei sapori. E allora scoprirai davvero, quanto è profonda la gola del Sarchiapone.” Billy fece un mezzo passo avanti, esitante, per guardare cosa avesse effettivamente nel palmo delle mani lo strano individuo, al cui ingresso in scena ogni proposito di prudenza pareva essersi squagliato come un ghiacciolo in un pomeriggio d’agosto. Era sera inoltrata, adesso, e nessuno percorreva le ampie sale della Columbia University, il cui motto era sempre stato: In lumine Tuo videbimus lumen. Ma di luce in questo preciso momento storico, lui lo sapeva, non ce n’era granché. Per quanto concerneva la sinistra, non ebbe alcun dubbio. Quello poteva essere soltanto un mirtillo. In quale maniera il frutto dell’ericacea Vaccinum potesse indurre in lui uno stato di trance tale da trasportarlo indietro nella sua solita realtà, questo non era chiaro. Ma forse era meglio non indagare. Nella mano destra, invece, c’era qualcosa di mai visto prima. Un frutto lievemente oblungo, della dimensione approssimativa di un’oliva, il cui color vermiglio sfolgorava per l’effetto dei riflessi dell’unica fonte di luce soprastante, inesplicabilmente lasciata accesa dall’ultimo dei custodi. Billy dovette ammettere in un primo momento, nonostante la sua prossimità alla laurea in scienze agrarie, di non avere affatto chiara la specie di ciò che stava osservando. Ma poi, gradualmente, gli ritornò alla memoria un vecchio articolo letto sul sito del New York Times, e il video che accompagnava lo strano racconto…
Miracle berry, Miracle berry, esattamente come una “berry” (bacca) ma infusa del “miracle” (sia lode a Te!) di alterare e modificare le percezioni umane. Come sagome stagliate nel fuoco, apparvero nella mente le figure dei convitati, composti dal popolo variegato della Spropositata Mela. Lì un avvocato, ancora in giacca e cravatta, desideroso di cancellare lo stress di una dura giornata in tribunale. Là una possibile casalinga, senza il marito, i lunghi capelli sciolti e un mezzo sorriso sornione, che dimostrava l’intenzione, almeno per questa sera, di sfuggire alla monotonia delle sue giornate passate tra faccende di casa e compiti dei bambini. Studenti, pompieri, vigilesse. E in mezzo alla folla, muovendosi come un fantasma, lui: alias Supreme Commander, l’immodesto governatore del convito, una “festa del trip dei sapori” potenzialmente vietata dalla FDA (Food & Drugs Administration). O per meglio dire dalle sue lobby, le industrie dello zucchero e dei dolcificanti, che attorno agli anni ’70 dello scorso secolo fecero tutto il possibile per insabbiare e rendere indesiderabile la potenziale scoperta del secolo, un metodo per liofilizzare, senza una repentina perdita delle sue speciali caratteristiche, il rosso frutto del Synsepalum dulcificum, sapotacea cespugliosa in grado di crescere facilmente soltanto in alcune regioni riarse dell’Africa occidentale. Il cui uso era diffuso, almeno dal XVIII secolo ma potenzialmente assai prima, alle genti indigene, come documentato dal cartografo e navigatore francese Chevalier des Marchais. Il quale aveva notato, durante i suoi viaggi, le usanze di quell’ensemble di popoli e tribù che era costretta, dalle sconvenienti condizioni ambientali, a nutrirsi di alcuni dei cibi più aspri e insapori al mondo. Se non che, prima di farlo, i suoi esponenti erano soliti masticare la strana bacca, per poi divorare tuberi, radici, frutti parzialmente maturi, come fossero vere delizie degne dei più rinomati gourmand parigini. La cosa, ovviamente, dovette apparirgli improbabile e non sappiamo se mai in effetti, egli abbia avuto il coraggio di provare su di se l’effetto dell’improbabile stupefacente. Ma sarebbero passati altri tre secoli e mezzo, prima che a qualcuno decidesse finalmente di trasportare questa esperienza nel mondo dei semafori e delle cabine telefoniche in via d’estinzione.

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