La battaglia ninja degli alunni sui pali

Bo Taoshi

Banchi di ferro, lavagne d’acciaio, demoni dietro le cattedre in fiamme. Soltanto sul finire dell’ora di educazione fisica, lo dicono gli astri, ne uccide di più la matita – gigante – che una mera katana. Senza la grafite dentro, per scrivere, ma con una persona sopra, per vincere. Lo chiamano il ninja, ed è uno, di due, ciascuno con schiera di armigeri al seguito. In controluce già si scorge il nemico. Ci sono 75 guerrieri per parte. Soltanto lui resterà, alla fine, sopra quegli altri. Altrimenti, dove lo metti l’onore del clan? Ecco lo sparo del VIA, signori, ammucchiatevi! Ganbare!
Nell’immaginario fantastico del Giappone post-moderno, fatto di manga, cartoni e romanzi, la scuola diventa il più variegato dei campi di battaglia. Spopolano le figure di giovani eroi, prescelti dal destino, evocatori di mostri tascabili o di enormi robot; fanciulle depositarie di antiche tradizioni marziali, vendicatrici di torti subiti; samurai viaggiati nel tempo, figli segreti di antichi guerrieri, con pagelle tutt’altro che immacolate. Non importa quanto la narrazione debba discostarsi dal mondo reale, se siano bizzarri quei suoi presupposti, i viaggi nel tempo, le invasioni aliene…L’analogia di successo è sempre quella: si studia, come si va in guerra. Contro le ingiustizie, verso un bene superiore, a beneficio della propria famiglia e perché no, pure del mondo intero. È un’iconografia ricorrente, che allude a un concetto molto importante per quella cultura dell’Estremo Oriente: la meritocrazia di Confucio. Per questo, nella scena caotica di una partita di Bo-Taoshi (棒倒し) lo sport del “palo che cade”, non si dovrebbe vedere un’incitazione accademica alla violenza. Qui si tratta, piuttosto, di cementare lo spirito di corpo, creare legami tra giovani che durino a lungo. Un po’ come nelle partite di football dei college statunitensi. Con qualche concessione in meno alle implicazioni commerciali ed al merchandising, come, del resto, pure alla sicurezza.
La più famosa di queste tenzoni si svolge, ogni anno, per l’arrivo dei nuovi cadetti dell’NDA, l’Accademia Nazionale di Difesa del Giappone. Loro è l’onore di aprire le danze. Ci sono due squadre, per un totale di 150 persone. Ciascuna deve difendere un palo, facendo cadere quello dei propri rivali. Sopra ci sono i due leader, che inclinandosi prima da una parte, poi dall’altra, dovrebbero contrastare la spinta del fiume nemico. Calci, pugni, spinte sono legali. Il combattimento individuale, invece, viene scoraggiato. Tutti lavorano, combattendo, per l’onorevole collettività.

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Sorvolando le Alpi con gli sci

Vincent Descols

Lo speed flying è quello sport estremo, nato in Francia sull’inizio del 2000, che combina il base jumping, lo swooping col parapendio e gli sci, da praticarsi rigorosamente, pericolosamente fuori pista. Scegliendo un picco sufficientemente dirupato, l’aspirante pilota, un comprovato esperto di ciascuna delle tre discipline costituenti, delinea la sua strada personale verso il predominio di natura e forza gravitazionale, sull’onda in piena dell’adrenalina e dello spirito sperimentale. Come il falco e come il vento, a 140/150 Km/h. A seconda dei casi, questo temerario, inseguendo l’obiettivo dello sguardo, percorre candide distese, vuoti d’aria tra rocce spigolose oppure boschi, sempre, comunque, verso il fondo della valle, sia questo sito a centinaia, oppure migliaia di metri di distanza. Tale pratica potrebbe dirsi, fondamentalmente, la versione più accessibile del folle balzo con la tuta alare. Oppure, a seconda dei punti di vista, del più fantastico, e avventuroso, sistema per saltare con gli sci. Per toccare terra, mirabilmente, un paio di chilometri più giù. Il punto di fuga, dopotutto, è sempre quello – cambia solo il modo di arrivarci.
Non c’era un trampolino, quel giorno sul tracciato alpino scelto da Vincent Descols, detto Le Blond, colui che ha scelto il nome dell’evento: Denivelator. Neanche un precedente, visto che si trattava di “aprire” nuove strade; c’erano soltanto quattro vele, otto sci, molta voglia di provarci. Partecipavano, per l’appunto, anche Julien Fassino, Marine Galves e Anaël Vaquette. Qui compaiono soltanto sul finale, già giunti sull’invisibile linea del traguardo, in attesa del protagonista della scena. Il video dell’impresa, registrato con la sua telecamera da casco, è presente su YouTube da qualche anno, nonostante il medio-basso (in proporzione) numero di visualizzazioni – risale, nello specifico, al 2012. Il nome della montagna, purtroppo, resta misterioso.

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Lo strillo penetrante della rana mangiatutto

Budgetts Frog

Quel dito, che dito. Gli occhietti della bestia, affioranti dall’acqua paludosa, lo seguivano con attenzione. Uno scatto fulmineo verso destra! Lei, rapida batrace, si ritrasse con fare minaccioso. Non pareva veramente spaventata, piuttosto, dimostrava un chiaro languorino. Gli uccelli tropicali e i molti insetti del Gran Chaco, schegge colorate d’ineffabile natura, cantavano la loro melodia. Spiccavano degli esseri umani tra le fronde, con due bianchissimi elmetti coloniali. Chinati su…Qualcosa. L’acqua si agitava, increspata da un leggero movimento. Si ode una profonda voce, dall’ineccepibile inflessione british: “Scommetto 2 sterline che non osi farlo” Mesi di viaggio, per terra e mare, li avevano portati a questo punto. L’esperto esploratore John Graham Kerr, laureato di Edimburgo, con il suo assistente, ancora un ragazzo, dentro agli occhi l’entusiasmo puro per la scienza. “Io non ce lo metto, quella morde” Rispose il primo. “Fallo e gli darò il tuo nome”. Gobble-gobble, fece la rana. “Allora O-K, mio stimatissimo collega”. D’un tratto i grilli tacquero, come fossero meditabondi.
Lo zoologo inglese John Samuel Budgett, nato 13 anni dopo la pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin, visse in un’epoca di grandi scoperte e classificazioni. Ben volendo fare la sua parte, viaggiò fino in Gambia e risalì l’interminabile fiume Niger, alla ricerca del mitico polipteriforme, un pesciolino primitivo, cardine fondamentale per la mappatura dell’evoluzione. A causa delle molte peregrinazioni, tra cui la spedizione in Sudamerica di Kerr, contrasse la malaria in gioventù. Nonostante questo, da patriota convinto quale era, contribuì all’addestramento dei soldati da inviare presso il secondo fronte Boero. Morì a soli 32 anni, lasciandoci parecchie cose. La più buffa, probabilmente, è proprio questa qui. Misura circa 13 cm.
La creatura verde oliva della palude boliviana si erse sulle zampe posteriori, balzando goffamente fuori dallo stagno. Bella cicciottella, era, con la bocca larga quanto il corpo. La spalancò feroce. La sua mascella superiore, come quella di un serpente, si presentava con parecchi denti sottilissimi ed aguzzi. In opposizione a questi, sulla mandibola, due zanne puntute da ippopotamo, rivolte verso l’alto. La tecnica del dito non fallisce mai. “Oh, crickey!” Fece Budgett, tirando indietro il braccio. “Uno, due, tre, quattro…Ci sono ancora tutti.” Kerr pareva ipnotizzato: “Credo che stia per…” Fu in quel momento memorabile, che la ranocchia per la prima volta urlò.

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Rami sporgenti, pale rotanti, spade taglienti

Helicopter Air Saw

Ci sono due modi per tagliare un prato: velocemente, oppure bene. Nel caso di una foresta come quella della Michigan’s Upper Peninsula, invece, che stava disturbando i pali della luce, rischiando di ridurre al buio cittadine intere, c’era questo modo, e basta. Il quale, almeno giudicare dalle semplici apparenze, non si è rivelato lento, né tantomeno inefficace. Il pendolo della deforestazione. L’alabarda fulminante della potatura. Ovvero la speciale pratica che consiste nel brandire con perizia dieci seghe circolari, messe in fila su di un palo, alimentate da un motore a benzina indipendente, appese sotto a un elicottero lanciato a gran velocità. L’addetto ad un simile strumento aviotrasportato, con rombo di tuono e abili manovre, può svolgere in appena un’ora l’equivalente di una giornata di lavoro tradizionale, condotto da un’intera squadra di esperti tagliaboschi. Niente più camion, quindi, che per giungere in quei luoghi remoti avrebbero richiesto l’edificazione di sentieri temporanei, dal significativo impatto ambientale. E neppure scale, imbragature, funi di recupero, bracci meccanici o altri mezzi ponderosi. Soltanto lui, il pilota, la folle macchina e molto, moltissimo carburante. Il risparmio, alla fine, si ritrova anche nell’ambito della sicurezza. C’è sempre un elemento di rischio in simili missioni, che nel caso in cui siano coinvolti molti operatori, piuttosto che ridursi, si moltiplica in modo esponenziale. Insieme alle ingenti spese di assicurazione.
Tale soluzione, nonostante ciò che saremmo portati a pensare, non è poi tanto insolita nei vasti Stati Uniti. La temibile “sega volante” proviene dal settore privato, ma per sua natura vive un rapporto simbiotico con le compagnie statali di distribuzione dell’energia. Questo video in particolare, pur provenendo dal canale ufficiale della American Transmission Co, raffigura le gesta di un elicottero chiaramente brandizzato con il logo della Aerial Solution Inc, un’azienda che opera dal 1985. Proprio loro, guarda caso, si definiscono inventori dell’idea, che però con gioia mettono al servizio, volta per volta, di chi ne ha maggiormente bisogno. L’efficacia del sistema, assolutamente innegabile, non può comunque prescindere dal suo effetto estetico spettacolare. C’è un senso pionieristico, in un attrezzo come questo, che rasenta l’arte fanciullesca di arrangiarsi. Pare l’arma di un gigante.

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