Incredibile animazione dimostra il funzionamento del DNA umano

In questo preciso istante all’interno del nostro corpo, letterali miliardi di minuscole macchine stanno compiendo il loro lavoro quotidiano, assolvendo alla miriade di compiti richiesti per garantire la nostra sopravvivenza. E nessuno, tra questi, è basilare e importante quanto quello dell’auto-replicazione delle cellule superstiti, allo scopo di sostituire tutta la materia biologica che continuamente muore, si disgrega e finisce per essere riassorbita dalla circolazione sanguigna. Ma cosa fa di un globulo rosso, un globulo rosso? E in quali aspetti differiscono i mattoni componenti l’endotelio dei vasi sanguigni, ad esempio, da quelli usati all’interno del fegato, della milza o dell’intestino? Sono molti anni che cerchiamo di comprenderlo, attraverso osservazioni che vanno ben al di la del microscopio elettronico. Il che è per certi versi sorprendente, quando si considera che ogni cellula viene fornita completa di istruzioni straordinariamente precise. Quelle prodotte dall’interazione del proprio codice unico coi ribosomi e le relative proteine, ovvero la lunga e sottile stringa nel nucleo (circa due metri per ciascuna cellula per due nanometri di larghezza) continuamente replicata, che prende il nome di acido desossiribonucleico, comunemente abbreviata con l’acronimo di DNA. Come gli altri campi di studio che trattano l’infinitamente piccolo, tuttavia, il nostro proposito non specialistico di comprendere ciò di cui stiamo parlando resta condizionato da un fondamentale problema: l’impossibilità di visualizzare attraverso la semplice immaginazione qualcosa di tanto piccolo e complesso. A meno di fare ricorso ad artifici non proprio credibili, per non dire del tutto irreali. Pensate al modello dell’atomo di Bohr, che rappresenta l’unita più nota della materia come una sorta di planetoide, circondato da satelliti/elettroni in continua rotazione…Un’immagine che potrà risultare utile per l’analisi teorica dei fatti. Nessuno, tuttavia, pensa davvero che ogni singolo oggetto nell’universo possa essere composto da un agglomerato plurimo di tali cosmici componenti. E la stessa cosa vale per la visualizzazione convenzionale dei processi alla base della vita, in cui si mostrano, generalmente, maestosi corpi fluttuanti nel vuoto, che si spostano sulla base di un intento preciso e proiettano sapienti appendici, ciascuna delle quali appare deputata a una mansione dall’alto grado di specificità. Quando invece, parlando di strutture tanto minuscole, è letteralmente impossibile immaginare che un qualsiasi processo possa riuscire a compiersi, a meno che sia letteralmente impossibile il contrario.
Ecco allora l’intento dell’autore di questo fenomenale video, l’animatore e grafico Drew Berry dell’Istituto di Ricerca Walter and Eliza Hall di Melbourne, Australia: mostrare, per una volta, le cose come potrebbero effettivamente essere e non come vorremmo che fossero, per questioni di mera chiarezza. Il che sorprendentemente richiede, persino all’attuale stato avanzato della ricerca scientifica, un notevole grado d’immaginazione. Il fatto è che tutto ciò che avviene all’interno delle cellule è l’esatto contrario della precisa catena di montaggio mostrata in tutti i libri di biologia, i documentari televisivi e alcuni cartoni animati didattici come Esplorando il Corpo Umano (1989) o l’attuale anime giapponese Hataraku saibou! (はたらく細胞 – Cellule al lavoro) ma un letterale marasma di particelle infinitesimali, che interagiscono scontrandosi tra loro e molto spesso, si distruggono spietatamente a vicenda. Il montaggio di poco più di 7 minuti, pubblicato online in occasione della nuova mostra del Victoria & Albert di Londra, contiene alcune delle sequenze più famose dell’autore, chiamato nel 2010 dal New York Times niente meno che “Lo Steven Spielberg dell’animazione molecolare” anche in forza dei numerosi premi conseguiti nel corso della sua lunga ed insolita carriera. Poco celebrata al di fuori degli ambienti divulgativi eppure, non meno importante anche per la ricerca, vista la maniera in cui permette agli scienziati di visualizzare la risultanza somatica delle proprie ipotesi, potendo così contare su una valutazione istintiva di quanto queste ultime siano probabili, oppure soltanto un passo falso verso la risoluzione del più grande mistero alla base della nostra stessa esistenza. Il risultato è un susseguirsi fantastico di visioni al limite del surreale…

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Un serpente solitario nella terra dei lombrichi

Nella divisione in caste operata dalla cultura sociale indiana, quella maggiormente degna di rispetto è rappresentata dai bramini, coloro che proteggono e trasmettono gli insegnamenti di ambito religioso. Come la propensione nominale, pressoché assoluta nei veri fedeli induisti, alla virtù della Ahimsa, la non-violenza verso tutti gli esseri viventi. Non è perciò insolito, in un sistema di valori che prevede la reincarnazione in altre forme di vita, che ogni animale, persino il più apparentemente insignificante, venga trattato con il massimo  rispetto ed ogni qual volta se ne presenti l’occasione, protetto dai pericoli del fato. Ed è forse proprio da una simile interconnessione di fattori, che prende il nome l’Indotyphlops braminus, il secondo più piccolo rettile della Terra (dopo il camaleonte lungo 30 mm del Madagascar) e senz’ombra di dubbio quello ad essere dotato di un aspetto maggiormente predisposto al fraintendimento. Sarebbe una visione strana e per certi versi addirittura comica: quella di un devoto del culto di Brahma o quello di Ganesh che, chinandosi nel giardino del tempio, scorge la forma lunga 5 cm di ciò che poteva essere soltanto un piccolo lombrico. Quindi con un’espressione compassionevole, allunga la sua mano allo scopo di prenderlo e spostarlo in una zona sicura all’interno di una fioriera, soltanto per vederlo scattare improvvisamente in avanti. Con una velocità impossibile, configurata in sinuoso movimento che nessuno attribuirebbe normalmente ad un anellide, forse la creatura più pacata tra tutti gli abitanti della zona fossoriale. Eppure l’animale oblungo è anche: marrone, dal diametro e colorazione uniforme, con una testa larga esattamente quanto la coda e apparentemente suddiviso in segmenti. È soltanto avvicinandosi maggiormente con lo sguardo, dopo essersi affrettati innanzi per osservare meglio i dettagli, che ci si rende conto di come i segni che suddividono il suo corpo siano in realtà la risultanza di un certo numero di squame, e nella parte frontale corrispondente alla sua indistinguibile testa, siano presenti anche un paio di piccolissimi occhi neri. Non che questa creatura si affidi in modo particolare al senso della vista. Anche considerato il suo soprannome internazionale: serpente cieco comune. Un nome che si sente in molte aree del mondo perché, dalla nativa India, questa creatura ha avuto la fortuna di diffondersi praticamente in ogni continente, raggiungendo anche aree isolate come le Hawaii, dove rappresenta l’unico serpente del suo intero ecosistema. Con un metodo forse tra i più semplici e diretti: scegliere come residenza il vaso da fiori, oppure cumuli di terra trasportata via mare a scopo per lo più agricolo o industriale.
Di sicuro, ad ogni modo, ci sono creature ben peggiori che possano varcare accidentalmente la frontiera. Laddove l’I. braminus, fortunatamente innocuo per l’uomo, non ha altri effetti che ridurre lievemente la popolazione di animali come le termiti o le formiche, la cui straordinaria proliferazione basta a porle in posizione diametralmente opposta al rischio potenziale di estinzione. Così l’animaletto giunge, ben pasciuto e pronto a fare il necessario per nutrirsi, in un ambiente totalmente nuovo e inizia pressoché immediatamente a riprodursi. Questo perché la maggior parte dei serpenti ciechi presenta una suddivisione dei sessi assai particolari. O per meglio dire, la quasi totale assenza di essa, visto che la totalità degli esemplari studiati in maniera formale fino ad oggi era femmina, per di più dotata del grande vantaggio biologico della partenogenesi, ovvero la capacità di fecondare da sole le proprie uova. E che uova! Grandi esattamente quanto lo spazio disponibile nell’apparato corrispondente, affinché il singolo figlio per stagione riproduttiva, una volta venuto al mondo, sia già abbastanza lungo da trovare fonti di cibo adeguate a fornirgli un sostentamento. Come da prassi tipica dei rettili, creature che non praticano l’allattamento. È una sorta di partita cosmica a Snake, se vogliamo, il vecchio gioco per cellulari in cui i pallini commestibili hanno tutti la stessa identica dimensione. E il serpente morirebbe ben presto di fame, se non fosse sufficientemente grande da riuscire a mangiare il primo. Questione assai importante, quando si considera che il Leptotyphlops carlae, più piccolo tra i serpenti ciechi scoperto nelle Barbados nel 2008, può facilmente raccogliere il suo corpo sopra una moneta da 50 centesimi di euro. Ma le particolarità di questi inusitati esseri, pervasivi quanto poco noti in Europa, non finiscono certamente qui…

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La rotazione ipnotica dei campioni di cartelli pubblicitari

Un poco alla volta, il capannello si forma nella piazzola di parcheggio recante l’identificativo di “Whiskey Licker Bar”. Siamo a Las Vegas e simili scene d’iperattività giovanile, a seconda della stagione, tendono ad essere tutt’altro che rare. Un’età media di poco più di vent’anni e strani oggetti al seguito, tuttavia sono ciò che caratterizza in modo particolare l’istante presente. Pannelli piatti grossomodo rettangolari, se non fossero chiaramente appuntiti da un lato. Perché come ripete spesso il leader di questo gruppo: “La freccia è la forma più forte del mondo!” L’annunciatore ufficiale pronuncia il suo breve discorso. L’addetto alla colonna sonora, dopo una pausa ad effetto, accende gli altoparlanti del caso. “BENVENUTI ALL’EDIZIONE 2018 DEL CAMPIONATO MONDIALE!” D’un tratto tutto è pronto per la tenzone e tra gli applausi del pubblico, viene chiamato il primo ineccepibile partecipante. Come la pala di un fantastico ventilatore, il suo orpello bianco, rosso e blu comincia lentamente a girare. Quindi si solleva in aria, accelerando verso le vette di un elicottero leonardesco ad energia muscolare…
La necessità di estendere la propria clientela per chi offre un servizio all’interno degli spazi urbani trova spesso espressione attraverso il sistema della pubblicità, anche negli immediati dintorni dei propri spazi operativi. Le dinamiche della densità abitativa, unite alla naturale propensione umana a prestare attenzione nei confronti di tutto ciò che è colorato, dinamico o in qualche modo attraente, ha permesso ai semplici cartelloni pubblicitari d’imporsi come strumento primario non soltanto della pubblicità sul larga scala, ma anche di tutti coloro che pretendono semplicemente di figurare al di là della mera linea visiva delle persone. Il che ha inevitabilmente portato, nel corso delle generazioni, a stringente norme su cosa si possa e non possa fare, al fine di prevenire la letterale invasione delle strade con loghi, numeri di telefono e illustrazioni più o meno suggestive. Ecco la maniera, dunque, in cui la mentalità americana affronta il problema. Terra di frontiera, luogo d’intraprendenza, mondo sostenuto dalle logiche d’impresa. Per cui tutto è lecito, purché legale, e ciò che si tenta di comunicare rappresenta molto spesso la letterale “furbizia” o capacità di manipolare le regole a proprio vantaggio. Ma forse sarebbe più corretto associare un tale modus operandi all’intero ambito anglosassone, se è vero che i primi cartelli umani furono denunciati dal nobile tedesco trasferitosi a Londra Pückler-Muskau (1785-1871) e lo stesso Charles Dickens, che arrivò a definirli con un senso d’orrore latente “Pezzi di carne tra due fette di cartone stampato.” Che un cartello potesse andare letteralmente ovunque, a patto che fosse indossato da un essere umano, veniva dunque considerata una prassi assai utile. Ed anche terribilmente degradante, almeno per colui che doveva agevolare in prima persona questa specifica forma di pubblicità. Poi le cose, per fortuna, hanno assunto proporzioni di un tipo profondamente diverso.
Da una parte per la cognizione, tipica dei tempi moderni, per cui ogni lavoro è temporaneo, rappresentando più che altro un mezzo verso finalità nobili successive. E dall’altra, c’è stata l’opera di un paio d’aziende, entrambe californiane, che per vie indipendenti trovarono il modo d’infondere un’arte all’interno della più noiosa tra tutte le mansioni: stare fermi e aspettare che qualcuno ci guardi, per poi indicare il negozio, con un tenue sorriso. Già: “Che cosa accadrebbe” si chiesero questi pionieri, “se il cartello iniziasse letteralmente a GIRARE?”

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Le strane abitudini delle api che non pungono l’uomo

Ogni giorno, da mattina a sera, sempre e comunque insieme. Fino al giorno dell’estinzione. Api, le adorabili amiche-nemiche dell’uomo, il cui esercizio mandibolare permette l’esistenza delle piante e dei fiori. E in ultima analisi, noi stessi. Poiché alla base del sistema trofico stesso, inteso come complessa macchina biologica che trasforma la luce del sole in cibo, si trovano alcuni degli esseri più umili dell’intera catena. Che sono anche, per tacita definizione, i più essenziali. Ma sarebbe senz’altro un ingenuo colui che pensasse che il metodo a noi più familiare, con tutte le sue implicazioni, è l’unico possibile per fare le cose. La stessa teoria quantistica degli infiniti universi parla di luoghi simili, ma diversi, in cui ogni strada presenta una svolta alternativa, molte delle quali sono state, nel corso degli eoni pregressi, scelte come sentiero principale. Alcuni di questi luoghi, secondo il volere del caso, sono a qualche ora d’aereo di distanza. Si chiamano: Sudamerica, Australia, Africa, Madagascar. Per conoscerli davvero, basta armarsi di sufficiente pazienza, prestando un orecchio capace di percepire i distanti ronzii del tempo.
Nel profondo della foresta brasiliana, il membro della tribù primitiva si avvicina alle radici di un albero. Uguale agli altri, dal nostro punto di vista, ma non così per lui, che ha seguito con la massima attenzione la sagoma iridescente, di un insetto intento a fare ritorno nel proprio nido. Semi-sepolto, tranne la piccola torre d’ingresso, rastremata all’estremità, e alcune propaggini del labirinto, costituite in cera e propoli, la speciale mistura di resina d’albero e saliva d’api. Senza paura, quindi, il giovane infila il braccio tra le propaggini legnose, facendo sparire l’intera mano all’interno dell’alveare. In un attimo, la sua forma diviene indistinta, per il sollevarsi di una terribile nube. Sono la casta guerriera della città segreta, un gruppo velenifero e in armi, pronto a sacrificare la propria stessa esistenza per annientare il gigantesco nemico. Passano i secondi, che ben presto diventano minuti. L’indio, ormai ricoperto d’api semi-appiccicate alla pelle nuda per il polline sulle zampe, non sembra avere alcuna fretta nel continuare a rimuovere pezzi d’arnia, grondanti il dolce fluido splendente per cui si era messo a scavare. A giudicare dalla sua espressione calma e determinata, non sta provando alcun tipo di dolore. Nessuno l’ha punto. Ancora? Il sistema dell’evoluzione convergente è il principio per cui animali senza alcun grado di parentela, dovendo affrontare problemi simili, finiscono per assomigliarsi in qualche maniera. Vedi l’esempio del colibrì e la falena falco, che fluttua in aria sopra i fiori con la sua proboscide, mentre succhia il suo nettare beneamato. Meno noto è il caso di mutazioni attraverso i secoli mirate a cambiare, ciò che era simile, creando degli esseri sostanzialmente diversi. La natura, tendenzialmente, agisce con il massimo grado d’economia. E farebbe di tutto per eliminare un tratto biologicamente costoso, ogni qualvolta se ne riconferma la prolungata inutilità. Il potente veleno dunque, ed il forte pungiglione dell’Apis mellifera, grande impollinatrice dei territori europei, serve a difendersi da un certo tipo di predatore. L’opossum, il lupo, il procione e la loro versione sovradimensionata, l’orso. Mammiferi troppo grandi e forti, perché persino un milione d’api possa ricoprirli per togliergli l’aria, e causarne la morte tramite surriscaldamento. Senz’altro meglio, a quel punto, pungerli al fine di metterli in fuga. Ma cosa succede, invece, nei luoghi in cui gli unici nemici di cui preoccuparsi sono altri insetti?
La tribù dei Meliponini, di cui fa parte la specie cacciata dal nostro amico sudamericano, è composta da un tipo d’api diverso: molto più piccole, con una dimensione massima di 4, 5 millimetri. E che pur possedendo un veleno, preferiscono somministrarlo mediante l’impiego dell’apparato boccale. Attraverso dei morsi che, per quanto poderosi, soltanto a volte riescono a penetrare la pelle umana. Il che le rende, quasi sempre, marcatamente innocue. Eppure, tutt’altro che inutili…

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