Lo spirito degli animali può rispondere in determinate circostanze al senso metaforico prodotto dalle nostre menti anche troppo sofisticate. Evocando immagini di tipo mitologico che paiono trascendere la mera tangibilità delle cose. Così l’iconico forziere del temuto Davy Jones, che nell’epoca dei grandi progressi navali, mentre gli Imperi moderni scoprivano la posizione dei continenti, diventò l’inevitabile destinazione dei marinai che morivano cadendo ed affogando in mare. Un grande recipiente pieno delle loro ossa residue, dopo che le bestie di là sotto, quietamente, provvedevano a strapparne via le carni commestibili e masticarne i deliziosi organi interni. Memento mori: una sicurezza per chiunque svolga compiti o mansioni inerentemente rischiose. Importante spiazzamento ne sarebbe presto derivato, tuttavia, qualora tali uomini si fossero trovati in un particolare luogo, vigenti circostanze nondimeno singolari e degne di essere rappresentate a parole. Di uno stesso destino in apparenza, al mammifero ailuropode delle foreste di bambù dell’Asia. Il cosiddetto “orso” dalla caratteristica livrea, la cui entità scheletrizzata in tali circostanze può sembrare sproporzionatamente piccola. Ma non per questo meno rappresentativa ed in funzione di ciò, intrisa di un sottile e trasparente alone di fondamentale mistero. Passarono, tuttavia, i secoli affinché ciò potesse materialmente verificarsi.
Nel sistema universale di un mondo digitalizzato parallelo, così come lo è stato lungamente quello sotto il mare per la gente della superficie del globo terracqueo, i corsi ed i ricorsi del grande flusso delle informazioni possono causare dei plausibili sconvolgimenti del vagamente prevedibile processo scientifico mirato alla scoperta e classificazione di tutte le forme viventi. Così a partire da una voce di corridoio, discussa e ripetuta presso il negozio di attrezzatura per immersioni di Shuji Terai, presso la piccola facente parte dell’arco Ryūkyū (come Okinawa) che prende il nome di Kume, una delle creature oceaniche maggiormente caratteristiche ed insolite dell’Era Postmoderna è finalmente assurta fino a una tardiva quanto necessaria comprensione della società accademica dedicata allo studio della biologia. Grazie al coinvolgimento e conseguente spedizione, finanziata da una campagna su Internet di crowdfunding del 2017, dell’esperto di tunicati dell’Università di Hokkaido, Naohiro Hasegawa recatosi in situ nel 2021, per tornare presso il suo laboratorio con alcuni esemplari adulti di quello che sarebbe diventato il Clavelina ossipandae, un esempio particolarmente riconoscibile nella propria unicità, di quella che in lingua italiana prende il nome di un’ascidia di mare…
Magnifica ed al tempo stesso sottilmente inquietante, la creatura che i locali già chiamavano da mezzo decennio gaikotsu-panda-hoya (letteralmente “ascidia dello scheletro del panda”) fu dunque formalmente categorizzata nel sistema binomiale della tassonomia linneiana, trovando in questo modo un piazzamento strategico all’interno della famiglia relativamente poco numerosa, ma di certo ben diversificata dei Clavelinidae. Stiamo qui parlando, per avvicinarsi alla questione da una distanza adeguata, di un ramo della vita molto antico che non per questo risulta essere privo di un suo notevole livello di sofisticazione. Essendo tali ascidie, al pari di quelle presenti nel resto degli oceani terrestri, dei validi rappresentanti della categoria dotata di una notocorda ovvero alternativa semi-rigida rispetto alla colonna vertebrale degli animali dalle dimensioni più grandi. Imparentate alle grandi forme fluttuanti/evanescenti di salpe, dolioli, pirosomi ma che a differenza di questi hanno saputo sviluppare, nel corso della propria evoluzione pregressa, un alto livello di specializzazione che le ha portate ad uno stile di vita sessile, ovvero ancorato a superfici stabili del fondale o eventuali detriti marini. Per fare una volta raggiunta l’età adulta ciò che da ogni punto di vista pratico, gli riesce meglio: filtrare grandi quantità d’acqua, fino a centinaia di litri al giorno, traendone sostanze nutritive necessarie a garantirsi la sopravvivenza. Un’operazione compiuta anche dalle ossipandae giapponesi, benché nel loro caso la caratteristica fisica maggiormente evidente non siano i sifoni posti nella maggior parte dei casi lateralmente, bensì quella serie di vene disposte in senso perpendicolare al di sotto della loro “tunica” trasparente esterna, così suggestivamente in grado di richiamare una serie di costole sovrapposte. Nella stessa maniera in cui tre puntini neri sulla sommità, sulla cui funzione pratica lo stesso Hasegawa ha dovuto alzare le braccia e dichiarare temporanea ignoranza, finiscono per costituire l’immagine fedele di occhi e muso del pacifico (?) divoratore orsino della più alta e prolifica pianta erbosa al mondo. Non che tale propensione a diffondersi estensivamente sia comunemente sconosciuta alle ascidie, data la loro ben nota capacità di venire risucchiate, quando ancora allo stato larvale, all’interno delle sentine delle navi, per poi fuoriuscire nuovamente una volta giunte a destinazione, attecchendo al fondo dei porti riuscendo raggiungere rapidamente la maturità sessuale. Un processo di poche settimane, necessarie affinché la forma giovane dell’animale, simile sostanzialmente a un girino, si trasformi in quel tipo di animale ormai incapace di muoversi che la lingua inglese chiama polyp, per analogia con le creature coloniali che costituiscono il corallo, benché nel caso dei tunicati esso sia generalmente incapace di trarre giovamento dalla fotosintesi clorofilliana tramite simbiosi con le amichevoli zooxantelle. Laddove un altro aspetto del loro ciclo vitale, invece, risulta inerentemente simile giacché le gaikotsu-panda-hoya (ed i loro molteplici cugini) necessitano per sopravvivere della formazione di colonie di esemplari multipli solidali tra loro, ed in tal senso definiti zooidi, interconnessi grazie ad una sorta di radice basale che prende il nome di stolone.
In attesa che ulteriori studi possano chiarire a fondo la natura ed il significato dell’esistenza della C. ossipandae, oltre all’articolo solitario pubblicato da Hasegawa e Kajihara sulla rivista Species Diversity, gli addetti ai lavori non potranno fare a meno d’interrogarsi sulle due domande interconnesse al centro dell’intera questione: che cosa lega in modo indissolubile questo essere sottomarino al suo specifico, ed almeno in apparenza totalmente esclusivo ambiente di appartenenza? E quale caratteristiche non subito apparenti, all’interno di quest’ultimo, portano a modificare in modo tanto singolare le sue caratteristiche esteriori evidenti? Misteri che attendono, possibilmente, la prossima distribuzione virale delle immagini a supporto di riferimento. E la conseguente spinta universale, sempre pronta a palesarsi, per un’ulteriore ricerca di nozioni scientifiche di riferimento. Per aspera ad astra dei nostri vigenti giorni. O in altri termini: per likes ad stripes. Conformi a sincretistici, universalmente validi taxonomic types.