Disney propone un sistema per la stampa in 3D a colori

Comp Thermoforming

Non più soltanto Pippo e Paperino. Dai laboratori della Disney Research di Zurigo, divisione tecnologica del grande colosso dell’intrattenimento associata al politecnico del capoluogo del cantone omonimo, provengono ogni anno alcune significative invenzioni dalle evidenti potenzialità commerciali, che tuttavia sono così distanti dal quotidiano, e di avveniristica concezione, da ritrovarsi tranquillamente associabili al mondo della scienza pura. Robot che camminano sui muri, algoritmi semplificati per il movimento della stoffa, sistemi virtuali per il calcolo dei castelli di sabbia, approcci alternativi per animare le marionette… Tutto questo presentato al pubblico, spesso durante prestigiose fiere internazionali della tecnologia, con un’assoluto candore e completezza, senza porsi il problema di proteggere la propria proprietà intellettuale, con finalità difficilmente associabili alla mera generazione di un profitto. Eventi come il SIGGRAPH (Special Interest Group on GRAPHics and Interactive Techniques) la cui edizione estiva del 2016 si è appena conclusa presso la città di Anaheim, nell’Orange County californiana, e per la quale Disney ha nuovamente presentato una proposta che si colloca nel campo tanto spesso rivisitato della stampa tridimensionale. Si tratta, essenzialmente, della risposta alla seguente domanda: sarebbe possibile, per un hobbista, una piccola azienda o un dipartimento universitario, creare con semplicità un quantità variabile di oggetti, dalla forma altamente specifica e per di più, in technicolor? Fino ad oggi, la risposta sarebbe stato un chiaro ed immediato “no”. Perché anche con l’attuale semplificazione intercorsa del processo per creare dei prodotti a partire dall’estrusione e/o deposizione della plastica, successivamente al raffreddamento di quest’ultima non è possibile che prevedere una seguente procedura per limare, togliere le parti in eccedenza e quindi, solo successivamente, applicarsi di buona lena con le proprie vernici d’ordinanza. Non per niente, uno degli ambiti in cui l’impiego di simili macchinari ha colpito maggiormente il grande pubblico è la realizzazione di miniature per i giochi da tavolo, per le quali è già previsto, è viene considerato addirittura desiderabile, l’uso diretto del pennello da parte dell’utente finale. Ma un conto è fare le cose per scelta, ed un altro perché non ci sono alternative. Ed una valida soluzione, per chi forse la stava ancora cercando, eccola finalmente qui per noi. Si chiama computational thermoforming, ed ha MOLTO a che vedere con la realizzazione della grafica per film e videogiochi.
È una visione affascinante, che molti siti e blog hanno già definito “magica” per probabile associazione con l’aggettivo che da sempre Disney ama attribuirsi nelle sue campagne di marketing o nel branding ufficiale. Sarebbe del resto difficile negargli simili prerogative, per lo meno in questo specifico, rivoluzionario caso. Su quella che parrebbe essere una scatola di metallo, è posta una stampa di forma pressoché quadrata raffigurante in 2D i soggetti più diversi: un ceppo di legno, un pezzo di pane, la carrozzeria di un’automobilina, la maschera del teatro cinese che raffigura il generale Wei Qi Gong, nume tutelare delle abitazioni. Quindi l’operatore preme un tasto fuori dall’inquadratura, e le immagini sembrano all’improvviso prendere vita, sollevandosi verso l’alto in una ragionevole approssimazione della forma reale di ciò che stavano rappresentando. E non è finita qui: uno sbuffo d’aria, un brusco suono, e subito dopo l’estrusione rientra in parte, aderendo in modo puntuale alla perfetta forma che palesemente era desiderabile allo scopo. Tutto è perfetto e pienamente allineato, la forma con l’immagine, il profilo con la sua profondità. Manca soltanto di chiarire come, effettivamente, un simile fenomeno possa essersi compiuto sotto i nostri spalancati occhi?!

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Le illusioni ottiche perdute del creatore dei cilindri ambigui

Ambiguous Garage etc

Un’automobilina gialla è parcheggiata al sicuro sotto la sua piccola tettoia, dall’apparente forma di un rettangolo convesso o sezione di un cilindro che dir si voglia. Ma basta osservare la scena allo specchio, per scoprire una visione alternativa della realtà: la struttura assume la forma, a quanto pare, di un paravento disposto a zig-zag, decisamente meno utile a far scivolare via la pioggia… Qual’è dunque la realtà, l’una oppure l’altra delle due visioni? O magari la più improbabile via di mezzo tra le due? Nel proseguire della carrellata, un cerchio che rappresenta la luna viene fatto ruotare su se stesso. Raggiunta la posizione dei 180°, esso diventa all’improvviso…Una stella! Un fiore si trasforma in farfalla. Una bottiglia di vino, in bicchiere. È difficile, raggiunto un tale punto, immaginare quale sia il segreto di quest’uomo…
Si, potremmo chiederlo alla Francia, in forza della conclusione dei recenti Europei di calcio: vincere non è facile, ma ciò che costa veramente fatica, alla fin fine della fiera, è giungere secondi nell’assegnazione degli onori del torneo. Perché se è vero che hanno inventato quella cosa, il podio che è struttura metaforica e/o effettivamente calpestabile (ne vedremo molti laggiù a Rio) va anche detto che posizionarsi sui due cubi laterali comporta quasi sempre un senso di rimpianto inalienabile, ricolmo del “forse avrei dovuto fare la tale cosa” oppure “perché mai ho scelto di rispondere a quel modo!” La strategia: un punto fondamentale degli sport, siano questi di squadra oppure individuali, il valore oggettivo che condiziona l’esito della disfida. Mentre diverso è il caso di una gara che, per quanto prestigiosa, comporta la selezione di un qualcosa di creativo. L’àmbito contestuale, da che il mondo è tondo, dell’assoluta soggettività dell’individuo, che seleziona sempre ciò che maggiormente colpisce il SUO modo di vedere le cose e l’Universo, la SUA inclinazione perfettamente personale. Il che ci porterebbe a chiederci, in ultima analisi, a cosa serva l’annuale competizione “Illusione dell’Anno” che si tiene presso il Centro Filarmonico delle Arti di Naples, in Florida, con lo scopo di premiare colui o colei che ha saputo dimostrare la migliore capacità di trarre in inganno le pupille ed i neuroni degli umani. Quando è chiaro che persino la giuria più esperta, in ultima analisi, non potrà che far classifica di ciò che in quel particolare momento, tutto considerato, gli è sembrato maggiormente fantasioso, creativo, originale. Se poi si dovesse addirittura decidere di far votare i migliori tra i finalisti al “grande pubblico” attraverso un semplice sondaggio online, come orgogliosamente dichiarato dall’organizzatrice dell’evento, la Neural Correlate Society, allora apriti cielo!
Disinteressato, spontaneo, sincero: tre meriti che l’utente medio di Internet, pur possedendoli nella sua vita reale, tende a non mostrare in ciò che clicca e tenta di portare alle più estreme conseguenze. Così è capitato che quest’anno, al termine della prestigiosa kernesse, una proposta visivamente sorprendente come quella dei “cilindri ambigui” di Kokichi Sugihara, professore di matematica all’Università Meiji di Tokyo, siano giunti dietro a una realizzazione che si è rivelata secondo l’evidente opinione dell’ancor più grande prova popolare, a conti fatti, molto meno significativa. Intendiamoci, non si può certo dire che la breve sequenza di Mathew T. Harrison e Gideon P. Caplovitz dell’Università del Nevada, intitolata “Motion Integration Unleashed: New Tricks for an Old Dog” sia stata priva d’interesse o meriti di sorta. E i loro gabors in traslazione, pallini astratti in grado d’ingannare l’occhio con il movimento interno di un pattern, certamente avranno stupito più di un occhio ed un cervello privi di alcun preconcetto pre-esistente. Ma quando la maggior parte dei blog mondiali, Reddit e persino alcuni quotidiani online di fama, pubblicano un raro articolo sulla gara (più che altro per mostrarne i video) ponendo nel titolo non il primo, ma il secondo classificato…È chiaro che qualcosa non è andato per il verso giusto.

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La precisione della stampa ad acqua computazionale

Computational Hydrographics

Tirare fuori dalla vasca un gatto, normalmente, è un gesto che comporta unicamente la rimozione delle proprie stesse mani dalla schiena del felino, ove erano state apposte con fermezza per immergerlo nel presentarsi del periodico frangente del bagnetto. Alla cessazione di un tale stato di gentile costrizione, l’animale lancerà immancabilmente un forte grido, a metà tra il soffio di uno stantuffo e la nota stridula di uno stonato pianoforte, per poi dardeggiare verso l’alto con le unghie sguainate ma, si spera, ben lontano dalla faccia del suo amato padroncino. Molto problematico, preferibilmente da evitare. Eppure tristemente, pienamente necessario. A meno di avere a disposizione un micio artificiale, perfettamente in grado di restare immobile per tempi brevi, medi o pure lunghi, senza neanche un lieve muoversi della sua coda. Come quello, bianco quanto l’osso, che la studentessa Changxi Zheng ci ha presentato l’altro giorno presso il suo canale, assieme alla stupenda evoluzione di quello che era e resta un approccio molto antico alla colorazione degli oggetti, ovvero la sospensione degli inchiostri sulla superficie calma di una vasca ad immersione. All’interno della quale o di una similare, molto presto costruita sulla base del principio qui mostrato, saranno assai probabilmente trattati gli oggetti che di più si prestano all’applicazione di livree: caschi, borchie o cerchioni, calci dei fucili, carene delle moto, strumenti musicali, scocche esterne per computer… Chi più ne ha, ne inzuppi, come biscotti incommestibili ma assai preziosi, per l’accrescimento del valore intangibile della personalizzazione individuale, prima o poi. Perché non è ancora il tempo di bagnarsi le mani: siamo in fase prettamente sperimentale, ovvero durante l’annuale conferenza del SIGGRAPH, l’occasione di presentare al mondo le ultime o recenti evoluzioni nel campo estremamente vasto della grafica virtualizzata. O come in questo caso, l’applicazione inversa della stessa cosa, cioè un processo, totalmente innovativo, che prende il concetto digitale della texture (la resa di un’immagine per così dire “spalmata” su dei solidi a tre dimensioni) e lo trasla nel mondo reale, facendo interagire le due tecnologie della scansione volumetrica e la stampa idrografica, per l’applicazione precisa al millimetro d’immagini di ogni complessità. Bisogna vederlo, per crederci.
Il video si apre con la dimostrazione dell’approccio classico, che consiste nell’impiego largamente manuale di una pellicola galleggiante biodegradabile, contenente un pattern grafico ripetuto ad infinitum. Con il dissolvimento dello stesso nel fluido trasparente per eccellenza, si genera un sottile velo variopinto, pronto a legarsi indissolubilmente con il primo oggetto solido che dovesse passarci attraverso, vedi quelli già citati, oppure come nel presente caso, la sagoma della VW Beetle che il pioniere dell’informatica Ivan Sutherland misurò famosamente nel 1972, destinata a diventare una figura standard nel campo della grafica tridimensionale. Una volta completata l’immersione, tutto ciò che resta è disperdere la vernice con un rapido colpo di mano, affinché in fase d’estrazione non si verifichino indesiderate sovrapposizioni. E il gioco è fatto! Tale tecnica specifica, oggi fatta risalire ad un brevetto registrato nel 1982 ad opera di Motoyasu Nakanishi, presenta grossi lati positivi: è più veloce e semplice dell’applicazione di un vinile, può impiegare stampe di quasi qualsiasi complessità o risoluzione, può durare (previa l’applicazione successiva di uno strato di vernice protettiva trasparente) per l’intera vita del prodotto sottoposto al trattamento. Ma ha una singola, enorme limitazione: l’allineamento del prodotto va necessariamente effettuato a mano, vista la fluidifica natura del medium di sospensione. Ciò significa che, essenzialmente, può essere impiegata solo nella realizzazione di figure senza dei confini definiti, come un succedersi di macchie in stile militare o l’approssimazione di un particolare materiale, vedi ad esempio le venature del legno, il marmo, oppure la spazzolatura del metallo. In campo automobilistico, l’idrografica è impiegata spesso per simulare nel veicolo degli accenti in carbonio, metallo estremamente leggero e resistente, spesso usato nei veicoli sportivi di fascia alta. Ma pensate per un attimo, adesso, di potervi approcciare a tale soluzione da un lato precedentemente inesplorato: quello dell’automazione a controllo numerico. Allora si potrebbe immergere nell’acqua una figura dalla forma anche complessa, allineandovi alla perfezione occhi, naso e bocca. Addirittura una coda serpeggiante di felino, a questo punto, potrebbe ricevere l’estetica fedele del leopardo. Anzi, perché immaginare, quando basta…

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Trastulli matematici e stampanti tridimensionali

Shapeways

Nella mia casa c’è una piccola vetrina quasi tutta in legno di betulla, senza chiavi e senza serratura. Ha la forma di un parallelepipedo perfetto. Il suo sottile sportellino, fatto in vetro trasparente, ruota su tre cardini dorati. La luce della stanza si riflette a specchio sul suo fondo metallico brunito. Quando è giorno, appesa a un muro, assorbe luce dalla scienza. E di notte la restituisce, a beneficio di chi è in grado di vederla. Tre sono i ripiani, al suo interno:  matematica di base, algebra platonica e purissima filosofia. Bianco, nero e marroncino, per altrettante collezioni di balocchi, nati nello spazio immaginario di un computer, plasmati dalla plastica vinilica, spediti da oltreoceano e messi lì da contemplare, per i minuti e le lunghe settimane di quest’epoca imminente. Il secolo della manifattura personalizzata, dicono, inizierà stasera o giù di lì. Voi dove sarete?
Shapeways è l’azienda americana che realizza su richiesta innumerevoli gingilli, soprammobili matematici, gadget, gioielli e statuette, per poi venderli attraverso il suo portale, a prezzi variabili tra i pochi dollari e le diverse centinaia degli stessi. Costituisce la più significativa di una lunga serie di realtà commerciali, nate tutte in questi ultimi mesi, che stanno inseguendo la propria fortuna grazie all’innovazione tecnologica delle stampanti tridimensionali, con diversi gradi di successo. In questo video di Mark Bruce, recensore di YouTube con il pallino di Halo e della scienza, vengono mostrati in sequenza alcuni dei loro pezzi migliori, tra cui l’ipercubo, il giroide (non quello di Animal Crossing) la spugna di Menger e la banda di Moebius (non il fumettista) con un solo lato. Un cupo virus pieno di rostri acuminati, l’unica comparsa biologica del gruppo, aggiunge il giusto grado di terrore repulsivo. Potrebbero sembrare poca cosa, questi pupazzetti, soprattutto dal punto di vista dell’utilità, eppure forse annunciano una svolta, quella dell’oligarchia industriale massificata, che per la prima volta dice: “Tu che se sei da solo, puoi avere ciò che vuoi.”
Non è facile da immaginare, per noi, l’impatto che ebbe sull’Europa l’invenzione della pressa da stampa in senso moderno, quando a partire dal 1450 proliferarono le bibbie sul modello di Gutenberg, sacri testi riprodotti all’infinito. Ciò che prima era solamente un suono, udito dai lontani scranni della chiesa, concretizzatosi come tangibile cartaceo, ma che non fosse più appannaggio dei potenti, bensì liberamente disponibile in ciascuna abitazione. L’industria di scala dovrebbe servire a questo, soprattutto: ampliare il numero dei riceventi di un soggetto, dunque di un concetto. Di questi ultimi, va da se, ce n’è di tutti i tipi. Primordiali, semplici e complessi. Ricorsivi persino, come un frattale, la figura matematica che contiene al suo interno la sua propria forma, ripetuta all’infinito, sempre più piccola e difficile da concepire. Basterebbe avere un modellino in plastica lucente, pieno di polvere ma impreziosito dagli sguardi.

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